Gli immigrati rubano il lavoro?

Di quanti immigrati ha bisogno l’Italia?
Forse un numero piu’ grande di quello autorizzato dalle norme attuali?
E` vero ad esempio il bassissimo tasso di disoccupazione tra gli immigrati. Lavoro immigrato e lavoro italiano non sono normalmente sostituti. Non e` corretto il motto “se lavora il marocchino, non lavora l’italiano”. Il lavoro dei nati in Italia e il lavoro dei nati all’estero sono spesso complementi. E` spesso vero che "se c’e` abbastanza lavoro immigrato, allora ci sara` abbastanza lavoro per gli italiani". Ogni X lavoratori immigrati impegnati in lavori pesanti o di cure personali, c`e`  bisogno di Y  contabili, W impiegati, e Z addetti al marketing  che in molti casi saranno piu’ probabilmente italiani. Se la famiglia italiana non puo’ assumere la badante per curare la vecchia nonna o i bambini piccoli, qualcuno, spesso la moglie, dovra` restare a casa e non potra` lavorare, con danno per il reddito di quella famiglia e per l’economia nazionale. Lo stesso in certi casi puo’ valere per alcune professionalita` di immigrati ultraspecializzati.  La loro presenza puo’ creare posti di lavoro per italiani. Il lavoro immigrato puo’ creare lavoro italiano. Il semplice calcolo "mors tua, vita mea" non e` egoistico, per lo piu’ e` autolesionista.

La rivincita di Marco Polo

Per vari secoli la rotta piu’ importante del commercio mondiale e’ stata
quella che da Genova, Venezia, Pisa ed
Amalfi conduceva verso Costantinopoli e
la Terra Santa e da li’ verso l’oriente e la Cina. La rotta di Marco Polo. I mercanti tedeschi, francesi ed olandesi
erano quasi costretti ad avvalersi dei servizi dei porti italiani, i quali su
cio’ costruirono la loro fortuna. I porti inglesi erano del tutto marginali in
questo commercio.
La scoperta dell`America da parte di Cristoforo Colombo e della marina
spagnola fece si’ che la rotta fondamentale del commercio internazionale
divenisse un’altra: la rotta atlantica. Porti spagnoli, portoghesi, inglesi ed
olandesi divennero molto piu’ importanti di quelli mediterranei e di quelli
italiani in particolare e cio’, insieme con il crollo di Costantinopoli in mani
turche, contribui’ grandemente alla decadenza italiana. Gli Italiani persero
rilevanza per la loro incapacita` gestionale e miopia (sfruttavano il loro
quasi monopolio sul commercio con l’oriente in modo esoso) e per la loro
ubicazione molto svantaggiosa. Il percorso di Marco Polo verso l’oriente non
contava piu’. La rotta di Colombo lo aveva reso obsoleto.
La rotta fondamentale da Colombo in
poi e` stata quella atlantica e negli ultimi cinquanta anni per le merci e`
stata la Rotterdam-New York; Rotterdam  e` tuttoggi il primo porto
d’Europa.

L’affermarsi della Cina come centro manifatturiero del pianeta sta
cambiando questi equilibri. Per gli Stati Uniti la rotta atlantica sta
diventando meno importante con i porti del pacifico (Los Angeles e Long Beach)
che sono ormai i due primi porti in termini di valore importato; New York e
Houston , per ora, sono ancora i due porti da dove parte la maggior parte
dell’export americano. Va pero’ detto che gli Stati Uniti hano un disavanzo commerciale strutturale per cui le
merci da loro importate contano molto di piu` di quelle esportate. Se da Los
Angeles nel 2003 e’ passato un valore pari a 122,050 milioni di dollari
per New York sono passati solo 101,176 milioni di dollari di merce. In
parallelo osserviamo la crescita vorticosa dei porti cinesi. Anche per l’Europa le importazioni cinesi stanno progressivamente diventando piu’ importanti. La rotta che collega la Cina con l’Europa sta aumentando sempre piu’
d’importanza.

In questo cambiamento i porti dell’Atlantico e del Mare del Nord  stanno perdendo parte del loro vantaggio
naturale. Rotterdam e` ancora il porto della zona piu’ ricca d’Europa cosi’
come e’ ancora bene organizzato, ma non e` piu’ nel posto migliore.

L’Italia in questo contesto non e’ piu’ naturalmente svantaggiata, potrebbe
divenire il naturale molo di sbarco delle merci orientali in Europa, cosi’ come
era, quando le citta` italiane primeggiavano in Europa.

L`agricoltura e` anche affar nostro

Troppo spesso pensiamo che la politica agricola dell’UE non sia affar nostro e che la si possa lasciarla nelle mani delle associazioni agricole, dei ministri e della commissione UE. Pero` la spesa agricola e` circa il 42% di tutta la spesa comunitaria. La spesa comunitaria in termini percentuali e` solo l’1% del prodotto europeo, ma sono comunque 112 miliardi di euro all’anno. Se e` fatta male, fa perdere la faccia all`  UE. Noi abbiamo un bisogno disperato di una UE forte e ben gestita e quindi dobbiamo far qualcosa perche` la spesa agricola non sia palesemente assurda.

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Nel 2002 in Europa c`erano  610 aziende agricole ricche  che ricevevano un sussidio  di circa €768,333 ciascuna. Questi erano i veri beneficiari della politica agricola europea.
C`erano anche 2,397,630 aziende agricole povere che ricevevano circa €405  ciascuna, meno di un millesimo degli altri. Il contributo medio annuo era di € 5000.
La giustificazione di tipo sociale per questo tipo di aiuti non sta in piedi. Riceve chi e’  piu` ricco ed al povero contadino di montagna vanno briciole.
I soldi UE sono dati in proporzione alla superficie posseduta e a quanto si produceva un tempo: chi possiede di piu’ riceve di piu’. Cio’ potrebbe anche avere senso se il possesso della terra fosse collegato a stringenti obblighi concernenti l’ambiente, la qualita` dei prodotti ed il benessere degli animali (in eurocratese questa si chiama “multifunzionalita` dell’agricoltura”), ma per ora i vincoli qualitativi ed ambientali non sono cosi’ severi da giustificare queste  grosse somme. Chi le riceve puo’ continuare ad inquinare il terreno ed i fiumi e a maltrattare gli animali.

L`agricoltura UE puo’ solo venire riformata dai governi nazionali, perche` il Parlamento Europeo non ha quasi voce in capitolo, quando si tratta di  sussidi all’agricoltura. Quindi sara` il governo che eleggeremo noi il 9 aprile che dovra` dire la sua, possibilmente formando una coalizione con altri governi.
I candidati vi han detto cosa intendono fare in merito?

Un ospedale impara osservando Toyota

Un articolo del Corriere della sera riiferisce di un esperimento effettuato dal Virginia Mason Medical Center di Seattle, in collaborazione con Toyota.
L’ospedale ha investito un milione e mezzo di dollari, per mandare i
suoi dipendenti negli stabilimenti della Toyota in Giappone, per apprendere le metodologie di lavoro ed organizzazione. Il risultato è un risparmio di 10 milioni di dollari dal primo anno….
Credo che questo articolo sia uno degli esempi lampanti per quanto
riguarda  il discorso sulle best practices.L’innovazione in questo caso è una innovazione di processo e non di prodotto, non è svolta da centri di ricerca, non ha bisogno di finanziamenti o bandi di concorso…è solo basata sull’esigenza di migliorare ogni giorno le proprie attività, andando a studiare come altre realtà o organizzazioni si siano comportate per risolvere i propri problemi. E’ una questione di idee e di mentalità innovativa.
Nicolas Nervegna
http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2006/03_Marzo/06/ospedale.shtml 

La logica degli eventi eccezionali.

Le Olimpiadi, come il Giubileo o le Colombiadi sono eventi tramite i quali una comunita` locale riesce a farsi dare dalla collettivita` nazionale delle somme, che, in tempi normali, non le verrebbero assegnate. Qualcosa di simile, anche se piu’ cruento, avviene con le guerre. Grazie alle guerre, tante spese, che non verrebbero mai tollerate in tempi di pace, vengono accettate e finanziate. Volenti o nolenti, tanti, che in tempi di pace avrebbero contestato una certa spesa ed avrebbero  rifiutato di farsi tassare, in tempo di guerra sono costretti a pagare.
E` per questo motivo che le guerre sono state spesso considerate strumenti per stimolare l’economia.
Dobbiamo rallegrarci del fatto che il nostro sistema politico possa spesso fare a meno delle guerre, e le sostituisca con eventi piu’ innocui.
Dobbiamo rattristarci che la maturita’ civica della nostra nazione spesso non permetta di far finanziare certe spese (trasporti, pubblicita` di citta`, restauri di monumenti, ampliamento di ospedali, creazione di impianti sportivi, ecc.) semplicemente perche’ sono necessarie o utili. Si deve invece ricorrere alla scusa del grande evento  per renderle finanziabili. Purtroppo il grande evento eccezionale ha una logica tutta sua e cosi’ esso richiede tante spese di cui non ci sarebbe bisogno, sottraendo risorse preziose da usi piu’ produttivi e  benefici alla nazione. Per la nazione in generale cio’ porta a delle perdite, ma per una comunita` locale cio’ puo’ portare dei benefici. Cio’ funziona a patto che altre comunita` locali non imparino il trucco, dirottando su di esse le risorse, con opportuni eventi eccezionali. E` un po’ la logica di chi passa avanti nella coda: il suo vantaggio esiste finche` gli altri stanno in coda buonini; se anche essi non rispettassero la coda, il vantaggio di tagliare la coda non ci sarebbe piu’.
Torino va almeno un po’ giustificata perche` in passato il valore aggiunto (salari e profitti) prodotto a Torino servi’ a creare stabilimenti moderni altrove (Melfi, Cassino, Termoli). In qualche misura le olimpiadi sono state un modo per una Torino in crisi per chiedere un indennizzo (qualche miliardo di euro)  alla comunita` nazionale. Se fossimo andati a chiedere qualche miliardo per i trasporti, la ricerca scientifica e la promozione del turismo in Piemonte, non ce l’avrebbero dato.
Pero’, se fosse stato possible, sarebbe stato meglio farlo a viso aperto; ci avremmo guadagnato tutti. Il nostro sistema (cioe` la mentalita` di tutti noi) pero’, per ora, non lo permette.

Il Tenda vietato a camion e pulman

La Stampa del 4 marzo riporta il grave danno arrecato alle piccole aziende cunesi dalla chiusura a pulman e camion del traforo stradale di Tenda.
Perche` chi protesta non chiede invece di avere un servizio merci ed un miglior servizio passeggeri sulla linea ferroviaria? Oggi essa non e` fortemente sotto-utilizzata?
Certo chi fa affari deve disporre di mezzi di trasporto, ma devono essi necessariamente essere su ruote di gomma?

In provincia di Cuneo si sta perseguendo il progetto di alterare il vicino parco del Mercantour per far passare un tunnel autostradale, mentre nulla si fa per utilizzare bene e potenziare il collegamento ferroviario con Nizza, con Torino e con Asti. Il protocollo di Kyoto forse non riguarda la provincia di Cuneo. Speriamo che anche il cambiamento climatico si fermi al Colle di Tenda, anche se lo scioglimento dei nevai e ghiacciai del Mon Viso farebbe pensare il contrario.

ENI + ENEL = Valore Aggiunto

Il Financial Times di Martedi` primo marzo riferisce che secondo vari  analisti della City la fusione tra un produttore di elettricita` ed un’azienda che compera, vende e distribuisce gas puo’ creare del valore aggiunto.
Una buona ragione per pensare alla fusione tra ENI ed ENEL. Se poi la Commissione Europea ce la vieta, dovra’ anche vietare la fusione tra Suez e Gas de France. Se non ce la vieta, e` un buon affare.

5 anni di giurisprudenza: a chi giovano?

La nuova norma sull’universita` recentemente applicata dalla Facolta` di Giurisprudenza di Torino  istituisce un corso unico in Giurisprudenza
di 5 anni.Secondo me essa e` inopportuna e triste.

Parte da una
visione che vede nei libri e nei professori l’unica fonte di sapere, quando
essi sono si’ importanti, ma vanno presto integrati con altre fonti, prima fra
tutte la pratica.

Inoltre la nuova legge italiana e la Facolta` di Torino presuppongono che un avvocato debba avere una conoscenza
giuridica di tipo enciclopedico, che probabilmente la stragrande maggioranza
dei membri dello stesso Consiglio di Facolta`e degli avvocati non ha. Quando anche l’avessero,
e’ lecito chiedersi a che serva, ad uno che debba svolgere bene il mestiere di
avvocato in un determinato campo, la conoscenza di tutto lo scibile giuridico.

Uno dei gravi
problemi del nostro paese e` che si tiene troppi anni i giovani sui libri,
senza che a cio’ segua un corrispondente incremento delle loro capacita`
professionali, sia in termini di servizio che possono prestare al prossimo sia in termini di reddito, che possono percepire.

In particolare in campo giuridico, se e` vero
che in Italia ci sono alcuni studi legali prestigiosi e con reputazione
internazionale e’ altresi’ vero che certo non abbiamo una struttura di studi
comparabili a quelli inglesi o americani.  Che ci piaccia o no  la tendenza europea va verso studi piu` grandi con avvocati  piu` specializzati in specifici campi. Questa  e` la battaglia che ci troviamo a combattere e per la quale siamo particolarmente mal attrezzati a combattere.
Non  e’ un caso che sia in corso  un parziale
processo di colonizzazione da parte dei grandi studi stranieri in Italia.

Il nostro
sistema vuole che un giovane desideroso di divenire avvocato, che in Italia
inizia l’universita` a 19 anni (in altri paesi potrebbero essere 18 o 17) debba
poi seguire 5 anni di corsi universitari. A 25 anni lo studente dovrebbe poi
iniziare la scuola di specializzazione delle scuole legali (2 anni). Il tutto
andrebbe poi finalmente seguito da 3 anni di praticantato. A 30 anni gli allievi
modello possono dare l’esame da procuratore. A 33 possono legittimamente
fregiarsi del titolo di “avvocato”.

Un ragazzo
inglese potra` andare all’universita` a 17 anni, finire a 20 o 21 e finire la
pratica a 23 o 24, divenendo “associate solicitor”. A 26-27, se vorra`, potra` anche mettersi in
proprio o divenire partner in uno studio. L`ironia della sorte vuole che in certi casi  il ragazzo inglese venga mandato in Italia da qualche studio internazionale, dove potra` avere come praticanti degli italiani molto piu` vecchi di lui, forse con piu’ conoscenze teoriche, ma certo senza nessuna pratica.

Il problema del corso universitario  3
+ 2 (un triennio per tutti e poi un master specialistico dopo)  non e` che fosse sbagliato in se’, bensi’ che non si e’
imposto che la pratica potesse iniziare dopo il primo triennio, cosi` come ad esempio avviene nel Regno Unito; si poteva poi  lasciare il
biennio successivo per coloro che proprio vogliono approfondire specifici temi giuridici e per i magistrati.

De Villepin: se non lo si puo’ bloccare, imitiamolo

Il caso Gas de France- Enel- Suez lascia molte perplessita` sul concetto di Europa del governo francese guidato da De Villepin. Come possiamo reagire?
1) Appelliamoci alla Commissione UE; che ci spieghino se queste mega-fusioni nazionali sono legittime o no. Se no lo sono, le blocchino.
2) Facciamo una legge che favorisca sia la crescita delle imprese sia le fusioni tra grandi gruppi; non possiamo permetterci di avere cosi’ poche imprese medio e grandi. Si diano per esempio 3 anni di sgravi fiscali a due gruppi che si fondono. Siano essi gruppi energetici o bancari o di qualche altro settore.
3)Smettiamo di fare di tutto perche’ le nostre imprese restino piccole. Basta con norme punitive per chi vuol crescere. Le piccole aziende non fanno quasi mai ricerca scientifica e tecnologica. Avere solo piccole aziende e` un lusso che non possiamo permetterci.
4) Eventualmente l’azionista Stato/Governo pensi a promuovere una fusione tra cio’ che resta dell’Enel e dell’ENI; se la Commissione Europea tollera le fusioni francesi allora dovrebbe tollerare anche questa fusione nostrana. Poniamo  in evidenza la contraddizione.

In generale, facciamo vedere che vogliamo un mercato competitivo ed europeo, ma che, se  qualcuno vuole giocare alle fusioni nazionali, siamo capaci anche noi a fare la nostra parte. Detto cio`,  non cadiamo in stupido nazionalismo e non facciamo di tutte le erbe un fascio; in Francia c`e` gente, come i giornalisti di Le Monde, che hanno capito perfettamente la natura nazionalista dell`azione di De Villepin e la condannano severamente.

Gustavo Rinaldi

L`articolo di "Le Monde":

http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0@2-3232,36-745553@51-744701,0.html

Abbiamo bisogno dei notai?

In Inghilterra e Galles con una popolazione di meno di 55 milioni di persone ci sono 116,000 solicitors.
Ciascuno di essi potenzialmente puo`rappresentare un cliente in una vendita o compra di casa e puo` raccogliere e far eseguire le volonta` testamentarie di una persona.

Ad essi vanno aggiunti almeno 20,000 "conveyancers" , dei professionisti non necessariamente laureati, che possono anch’ essi assistere il cliente nella compera o vendita della casa. Sia chi vende che chi compra deve essere assistito da un avvocato o da un conveyancer. Non esiste una figura mediana come il notaio.
In Inghilterra la proprieta` non e` meno certa che in Italia, possibilmente lo e` anche di piu’. Il mercato immobiliare e` molto liquido con tanta gente che vende e compra.
In Italia dove vivono piu` di 58 milioni di persone oggi l’atto di vendita ed acquisto di casa e` esclusiva di meno di 10.000 notai. Evidentemente la concorrenza tra loro e` minore.
Non a caso un notaio in Italia fa normalmente assai piu’ fortuna di un un avvocato esperto in immobili in Inghilterra.
E` una situazione sensata? Che vantaggio ne trae la societa` nel suo insieme?