Nittish e gli immigrati che ci insegnano legalita’

Come spiegava Saviano gli immigrati entrano nelle zone controllate dai criminali come un corpo estraneo.

Se talvolta sottostanno alle regole criminali o ne diventano leader, e' vero che molte altre volte si ribellano, come ad esempio a Rosarno, chiedendo quella legalita' cui gli italiani hanno gia' rinunciato da tempo.

Mutatis mutandis qualcosa  del genere e` successo anche a Torino.

Che il Grinzane di Soria fosse qualcosa di anomalo, quasi uno stato nello stato, era sotto gli occhi di tutti noi. E' stato per quattro anni sotto gli occhi di Mercedes Bresso presidente della Giunta  Regionale ed e` stato per cinque anni sotto gli occhi di Roberto Cota, presidente del Consiglio Regionale. Nessuno ha detto nulla.
Ha dovuto arrivare da Mauritius il signor Nittish, uno straniero, perche' a Torino si facesse un po' di pulizia.

Invece delle code al freddo

Si e` gia` parlato dell’incivilta` di far attendere in coda al freddo quelli che volevano regolarizzare se’ stessi o altri, secondo le vigenti leggi italiane sull’immigrazione.
Condivido.

Vediamo pero’ cosa si sarebbe potuto fare in un paese un po’ piu’ civile e meglio organizzato.
Il problema da risolvere era come assegnare un numero limitato di “posti” ad un un numero largamente piu’ grande di richiedenti.
Ammettiamo, che effettivamente il numero di posti disponibili non potesse essere piu’ grande di quello stabilito dalle norme emanate. Che criterio utilizzare per distribuire in modo giusto i pochi posti disponibili? Ci permettiamo di suggerire due strade: sorte o merito.

SORTE
Il metodo della sorte consiste nell’organizzare una lotteria. Ci si iscrive per posta o via internet  e non conta l’ordine d’iscrizione; il tempo per iscriversi e’ lungo, non serve a nulla fare code di notte. La lotteria e` pubblica, trasmessa per televisione, controllata da un notaio e svolta in presenza di rappresentanti degli immigrati gia` residenti. Chi vince, se ha i requisiti previsti dalla legge, ha il posto.

MERITO
Qualcuno dira` che in fondo un permesso di soggiorno in Italia  va dato a chi piu’ lo desidera e piu’ intende sacrificarsi per l’Italia. In fondo far la coda al freddo e` un modo per dimostrare cio’. Si’, ma e` un modo umiliante, inutile, stupido e che non beneficia nessuno, salvo chi vende prodotti contro il raffreddore e la polmonite. Inoltre e` un sistema che ha fatto perdere al paese migliaia di ore di lavoro, di euro di prodotto e di tasse (non incassate).
Oltre, ovviamente, la faccia. Se si ritiene che un permesso di soggiorno vada dato a chi piu’ e` disposto a sacrificarsi per esso, allora lo si dica esplicitamente. Un modo sensato potrebbe essere una specie di asta di offerte per cause meritevoli, tipo l’ INPS, il Sistema Sanitario Nazionale o i fondi per gli aventi diritto all’asilo politico. Supponiamo che ci siano 100,000 posti disponibili. Ogni candidato propone di dare una somma, a sua scelta, a favore, per esempio, di  un fondo per i rifugiati politici. Questi ultimi attualmente in Italia ricevono un trattamento indegno. Il richiedente potra’ fare la sua domanda via internet o via posta. Le offerte generano una graduatoria di analisi delle domande; si comincia a considerare quelle di chi ha offerto di piu’; ad essi, se hanno i requisiti previsti dalla legge, si da un permesso di soggiorno. Gli altri non dovranno pagare nulla e non riceveranno il permesso di soggiorno, ma almeno si saranno risparmiati una notte al gelo.

Vorrei usare la mia laurea in Inghilterra

Da Domenico M. riceviamo e volentieri publichiamo:
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Salve,
    ho letto con molto interesse i suoi post sulla carriera di avvocato
    all’estero, e volevo porle delle domande.
    Attualmente frequento il secondo anno del corso di Scienze giuridiche
    presso la facoltà di Giurisprudenza di Foggia. Sono pendolare, in quanto
    sono nato e vivo a Trani (situata ad 80 chilometri da Foggia). Mi trovo
    bene, anche perchè non sono frequentante, e i viaggi (per qualche
    tutorato e gli esami) mi portano via poco tempo. Mi piacerebbe però
    intraprendere studi e lavoro all’estero, in particolare in Inghilterra.
    Mancando informazioni presso l’università, così come presso qualunque
    sito internet (che almeno io non ho ancora trovato) in che modo potrei
    spendere la mia laurea (dall’anno prossimo quinquennale) all’estero? E’
    possibile diventare avvocato in un sistema di Common law, senza gli
    estenuanti e mal retribuiti anni di specializzazioni – praticantato –
    esame di stato? Non che non abbia voglia di fare tutto questo, è solo
    che ho una voglia ancora più grande di fare, invece che di meditare,
    memorizzare per poi in ogni caso dimenticare.
    Le faccio infine i complimenti per il suo sito, completo e interessante.
    La ringrazio anticipatamente per l’aiuto che mi vorrà dare.
    Un cordiale saluto
   
Domenico M.

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Buongiorno  Domenico,
la laurea italiana da sola normalmente non apre la strada ad un praticantato inglese. Per questo io suggerivo una laurea inglese.
I casi, che io conosco, di laureati in Italia che lavorano in studi legali inglesi riguardano  studi di bassa qualita` specializzati nell’assistenza legale ad inglesi che comperano case di vacanza in Italia. I salari sono bassi 10-15 mila sterline e le prospettive di carriera modesta, a meno che uno, mentre  lavora, prenda un "degree" (laurea triennale)  inglese.
Pare che le probabilita` di una buona carriera aumentino con un LLM (master in diritto) ottenuto da una buona universita’ (ad es. London School of Economics, King`s College,  Cambridge, Oxford, Manchester  e  per una lista si veda:
http://extras.timesonline.co.uk/gooduniversityguide2005/20law.pdf
Ognuna di queste universita` ha un sito internet, con informazione sui corsi "post graduate" (i master)  disponibili. Su  www.google.co.uk   trova i siti relativi.
Bisogna pensare di spendere circa 20-25.000 euro in un anno. Dopo il quale pero’ si dovrebbe poter concorrere per avere accesso alla pratica in studi legali inglesi.
Le materie con mercato piu’ internazionale sono quelle legate agli affari: diritto commerciale, bancario, societario, della proprieta’ intellettuale, della navigazione, borsistico, ecc.

MOLTO IMPORTANTE: Prima di iscriversi ad un LLM (master in legge), comunque,  consiglio di  inviare un e-mail agli uffici  del personale di grandi studi inglesi. Ci si puo’ presentare, far vedere il proprio CV  e chiedere conferma se considerano i laureati italiani con LLM inglese preso in una certa universita`. Per trovare i nomi degli studi legali inglesi si va su:

http://www.legal500.com/l500/frames/l500_fr.htm
Ci sono i primi  500 piu’ grandi studi inglesi.  L’opinione degli studi legali e’ cio’ che conta, alla fine, per trovare un lavoro.Essa conta molto piu’ della mia opinione o di quella delle universita`, che hanno principalmente  interesse a vendere corsi e diplomi. Non e` male contattare gli studi legali  al piu’ presto. Da quando si inizia a pensare ad una carriera del genere a quando si inizia a praticarla passano anni.
Gli studenti di universita` inglesi  al  primo/secondo anno d’universita` fanno domanda presso gli studi legali per poter passare durante  gli anni di universita` qualche settimana nello studio, magari anche solo facendo fotocopie, ma facendosi un’idea dello studio e facendosi conoscere. Questo e` un modo che li aiuta poi ad avere accesso al praticantato negli studi migliori.
Ora anche gli studenti delle superiori inglesi vanno , se possono, una settimana sui luoghi di lavoro (studi legali inclusi) per farsi un’idea sul tipo di ambiente.

Su altri lavori nel Regno Unito parleremo un’altra volta.
G.R.

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P.S.
Vedere  anche:
http://www.lawsociety.org.uk/becomingasolicitor/qualifying/common.law#certificate
Esso sembra indicare che l’Ordine degli Avvocati (Law Society of England and Wales) possa ammettere ad un corso di formazione (CPE/GDL) laureati stranieri di cui esso riconosca la laurea. Cio’ eliminerebbe il bisogno di un LLM, ma comunque richiederebbe il corso CPE/GDL. Il laureato straniero deve chiedere alla Law Society di riconoscere la sua laurea e la Law Society puo’ accettare o meno.Una volta che la laurea sia accettata dalla Law Society of England and Wales, uno dovra` iscriversi al CPE/GDL e quindi potra` iniziare la pratica.

Anche in questo caso avverto che c’e’ una grande differenza tra cio’ che e’ legalmente fattibile e cio’ che davvero serve a dare un lavoro da avvocato. Quindi consultare anche in questo caso gli studi legali del legal500.

 

Studi troppo lunghi: la protesta di chi se ne va

Abbiamo presentato  la differenza tra diventare avvocato in Italia ed in Inghilterra:
http://gustavorinaldi.blog.lastampa.it/il_mio_weblog/2006/03/5_anni_di_giuri.html

Molte famiglie potranno legittimamente pensare di ribellarsi a questa situazione, anche tenendo conto che in Europa esiste un diritto dei professionisti a spostarsi da un paese all`altro.
Le possibili via d’uscita da questa situazione sono state ben riassunte da Hirschman: exit, voice and loyalty.

Una e` molto praticata: e la via della “lealta`” (loyalty) o connivenza. Ci si adatta, non si cerca una via d’uscita, si cerca di convivere con il sistema che c’e’ (troppo spesso e` la via piu’ praticata, purtroppo).
La seconda e` quella del far sentire la propria “voce” (voice), votando e protestando.
La terza e` quella di uscire  (exit) dal sistema che non ci soddisfa.
Vediamo quest`ultima.

Se una ragazza/o  sa abbastanza bene l’inglese (attestato dal TOEFL, vedi www.toefl.org), puo` isciversi ad una delle migliori universita` inglesi e, con un costo  totale di circa  22.000 euro all’anno (vitto + alloggio + tasse universitarie + spese varie)  per 3 anni,conseguire una laurea  inglese (bachelor). Alla fine  dei tre anni, la probabilita` di iniziare una pratica retribuita (dalle 700 alle 1500 sterline al mese, a seconda dello studio) e` assai elevata.
Sembrano tanti 66.000 euro ?
Tutto sta nel confrontare questa spesa con il  costo di mantenere un figlio in Italia  per 10 anni. Pensate  che la famiglia spenda per lei/lui meno di 7000 euro all’anno?
I vostri calcoli includono il costo della camera che lo studente  occupa e che la famiglia  potrebbe far rendere in qualche modo, ad esempio affittandola ad uno studente fuori sede o traslocando in un alloggio un po’ piu` piccolo?

Quando molte famiglie si ribelleranno al sistema, forse esso dovra` cambiare.

Albert O. Hirschman: http://www.hup.harvard.edu/catalog/HIREXX.html

 

5 anni di giurisprudenza: a chi giovano?

La nuova norma sull’universita` recentemente applicata dalla Facolta` di Giurisprudenza di Torino  istituisce un corso unico in Giurisprudenza
di 5 anni.Secondo me essa e` inopportuna e triste.

Parte da una
visione che vede nei libri e nei professori l’unica fonte di sapere, quando
essi sono si’ importanti, ma vanno presto integrati con altre fonti, prima fra
tutte la pratica.

Inoltre la nuova legge italiana e la Facolta` di Torino presuppongono che un avvocato debba avere una conoscenza
giuridica di tipo enciclopedico, che probabilmente la stragrande maggioranza
dei membri dello stesso Consiglio di Facolta`e degli avvocati non ha. Quando anche l’avessero,
e’ lecito chiedersi a che serva, ad uno che debba svolgere bene il mestiere di
avvocato in un determinato campo, la conoscenza di tutto lo scibile giuridico.

Uno dei gravi
problemi del nostro paese e` che si tiene troppi anni i giovani sui libri,
senza che a cio’ segua un corrispondente incremento delle loro capacita`
professionali, sia in termini di servizio che possono prestare al prossimo sia in termini di reddito, che possono percepire.

In particolare in campo giuridico, se e` vero
che in Italia ci sono alcuni studi legali prestigiosi e con reputazione
internazionale e’ altresi’ vero che certo non abbiamo una struttura di studi
comparabili a quelli inglesi o americani.  Che ci piaccia o no  la tendenza europea va verso studi piu` grandi con avvocati  piu` specializzati in specifici campi. Questa  e` la battaglia che ci troviamo a combattere e per la quale siamo particolarmente mal attrezzati a combattere.
Non  e’ un caso che sia in corso  un parziale
processo di colonizzazione da parte dei grandi studi stranieri in Italia.

Il nostro
sistema vuole che un giovane desideroso di divenire avvocato, che in Italia
inizia l’universita` a 19 anni (in altri paesi potrebbero essere 18 o 17) debba
poi seguire 5 anni di corsi universitari. A 25 anni lo studente dovrebbe poi
iniziare la scuola di specializzazione delle scuole legali (2 anni). Il tutto
andrebbe poi finalmente seguito da 3 anni di praticantato. A 30 anni gli allievi
modello possono dare l’esame da procuratore. A 33 possono legittimamente
fregiarsi del titolo di “avvocato”.

Un ragazzo
inglese potra` andare all’universita` a 17 anni, finire a 20 o 21 e finire la
pratica a 23 o 24, divenendo “associate solicitor”. A 26-27, se vorra`, potra` anche mettersi in
proprio o divenire partner in uno studio. L`ironia della sorte vuole che in certi casi  il ragazzo inglese venga mandato in Italia da qualche studio internazionale, dove potra` avere come praticanti degli italiani molto piu` vecchi di lui, forse con piu’ conoscenze teoriche, ma certo senza nessuna pratica.

Il problema del corso universitario  3
+ 2 (un triennio per tutti e poi un master specialistico dopo)  non e` che fosse sbagliato in se’, bensi’ che non si e’
imposto che la pratica potesse iniziare dopo il primo triennio, cosi` come ad esempio avviene nel Regno Unito; si poteva poi  lasciare il
biennio successivo per coloro che proprio vogliono approfondire specifici temi giuridici e per i magistrati.

Chi controlla la correttezza degli avvocati?

Ritengo auspicabile che un giorno venga meno la distinzione di funzioni tra avvocati e notai, questo pero’ non puo` avvenire nelle condizioni attuali.
Mentre i magistrati sono per 2/3 controllati da loro stessi e per un 1/3 controllati da altri, gli avvocati sono totalmente controllati da loro stessi. In particolare quando si tratta di giudicare sulla correttezza del loro comportamento non c`e` rappresentanza degli utenti, del pubblico in generale e verrebbe da concludere che la regola piu` spesso applicata e` "cane non mangia cane". E` raro sentire di avvocati ammoniti, sospesi o cacciati dall’ordine, mentre per esempio in Inghilterra cio’ e` molto frequente, anche se la`, per ora, il controllo e` ancora fatto tutto da avvocati. Esiste un progetto del governo inglese per delegare ad un`autorita` indipendente il controllo disciplinare sugli avvocati. Solo questa minaccia, ha spinto l’ordine professionale inglese (Law Society) a divenire molto piu’ severo. Per esempio, un avvocato che da la sua parola di fare qualcosa e non lo fa, puo’ essere (e spesso viene) radiato dalla professione.
Fin tanto che gli avvocati saranno percepiti dalla gente come piu’ al servizio di interessi, anche illegittimi, di una parte o di loro stessi piuttosto che della giustizia e di una rigorosa deontologia professionale, sara` difficile estendere a loro le competenze dei notai.

Abbiamo bisogno dei notai?

In Inghilterra e Galles con una popolazione di meno di 55 milioni di persone ci sono 116,000 solicitors.
Ciascuno di essi potenzialmente puo`rappresentare un cliente in una vendita o compra di casa e puo` raccogliere e far eseguire le volonta` testamentarie di una persona.

Ad essi vanno aggiunti almeno 20,000 "conveyancers" , dei professionisti non necessariamente laureati, che possono anch’ essi assistere il cliente nella compera o vendita della casa. Sia chi vende che chi compra deve essere assistito da un avvocato o da un conveyancer. Non esiste una figura mediana come il notaio.
In Inghilterra la proprieta` non e` meno certa che in Italia, possibilmente lo e` anche di piu’. Il mercato immobiliare e` molto liquido con tanta gente che vende e compra.
In Italia dove vivono piu` di 58 milioni di persone oggi l’atto di vendita ed acquisto di casa e` esclusiva di meno di 10.000 notai. Evidentemente la concorrenza tra loro e` minore.
Non a caso un notaio in Italia fa normalmente assai piu’ fortuna di un un avvocato esperto in immobili in Inghilterra.
E` una situazione sensata? Che vantaggio ne trae la societa` nel suo insieme?

2 pesi e 2 misure

In Austria il cattivo storico inglese David Irving e` stato condannato a tre anni di prigione per aver negato lo sterminio degli ebrei durante il regime nazista.

In Turchia pochi mesi fa lo scrittore Orham Pamuk ha evitato tre anni di prigione solo grazie a pressioni dell’Unione Europea sul governo turco. Un tribunale lo stava processando per aver detto pubblicamente che non si puo’ negare lo sterminio degli Armeni ad opera dei Turchi. Violava l’articolo 301 del nuovo codice penale turco che vieta di insultare l’identita` nazionale turca. Molta altra gente e` tuttora sotto processo per simili ragioni; Pamuk se l’e` cavata in fretta e bene perche’ e` stato  candidato al nobel ed ha attratto l’attenzione della Commissione Europea.

Evidentemente ci sono due pesi e due misure.
La misura austriaca e` quella che io considero propria di un paese dell’Unione Europea.

http://web.amnesty.org/library/Index/ENGEUR440012006?open&of=ENG-2EU

La baita abbandonata

Sara’ capitato anche a voi di
passeggiare per le montagne del Piemonte, scoprendo dei gruppi di case
totalmente abbandonate ed in grande stato di rovina. A volte le dette case si
trovano in luoghi estremamente panoramici. In alcuni casi alla base della
rovina di certe case c’e’ il fatto che i proprietari sono disinteressati, assenti
o sconosciuti all`autorita’. Gli effetti di questo abbandono sono chiari. Certi
paesi di montagna hanno visto morire intere frazioni. Case nuove vengono
costruite in luoghi precedentemente non costruiti, quando allo stesso tempo le
case vecchie crollano. Si perdono opportunita’ turistiche e l’aspetto di intere
vallate muta.

Io credo che sarebbe bene dare
ai sindaci il potere di ingiungere per vari anni ai proprietari di intervenire.
Si potranno apporre cartelli di fronte alla proprieta’ in questione, pubblicare
in vari modi la notizia ed annunciarlo sui siti internet di comune, provincia e
regione. Il messaggio dovrebbe dire : “il proprietario di questa casa dovra’
curare questa casa (rifare il tetto, vedere che i muri non crollino, ecc.) o il
comune tra 5 anni potra’ suggerire alla Provincia di venderla”. Passati i 5
anni o il proprietario si sara’ dato da fare in qualche modo, o il Comune
potra’ proporre alla Provincia di vendere l’immobile in un’asta pubblica. I
proventi della vendita, dedotti i costi d’asta e di pubblicita’, andranno su di
un conto destinato al proprietario dell’immobile.

Attualmente esiste l’ Art. 838
del Codice Civile (Espropriazione di beni che interessano la produzione
nazionale o di prevalente interesse pubblico
), che forse non e’ applicabile ai casi qui
menzionati; se  cosi’ fosse sarebbe forse il caso di avere una legge ad hoc.

 Art. 838 del Codice Civile
Salve le disposizioni delle leggi
penali e di polizia, nonché le
disposizioni particolari concernenti beni determinati, quando il proprietario
abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che
interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle
esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all’espropriazione dei beni
da parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta
indennità.
La stessa disposizione si applica
se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle
città
o alle ragioni dell’arte, della storia o della sanità pubblica.

 

Energie alternative: un problema di cultura e di regole

Perche` l`Italia e` indietro rispetto a molti paesi europei nell`uso di
energie alternative? Noi siamo di gran lunga superati non solo dalla piccola
Danimarca, ma anche dalla Germania, dalla non troppo ecologista Gran Bretagna e
perfino dalla latina Spagna. Qual e` il problema in Italia?

Sono vari. Uno di essi dipende dal fatto che ogni tecnologia implica certi modelli di organizzazione del lavoro e certe culture aziendali. Ad esempio gli impianti nucleari, quelli termoelettrici (a gas o  a derivati del petrolio) e  quelli
idroeletrici, spesso richiedono pochi impianti di dimensioni molto grandi. Percio` le
aziende che si sono specializzate a produrre energia da quelle fonti hanno
sviluppato una cultura di grande impresa. Le tecnologie rinnovabili  spesso si adattano bene a  piccoli impianti, presenti in tanti luoghi.

Vi sono ovviamente le eccezioni. Ad esempio gli impianti eolici in mare
aperto possono richiedere organizzazioni alquanto complesse, normalmente
disponibili solo in grandi imprese. Non a caso giganti  dell`energia come BP o Shell sono entrati
abbastanza massicciamente in questo tipo di attivita`, anche utilizzando parte
delle esperienze e delle capacita` da loro acquisite nella gestione di piattaforme petrolifere in
mare aperto.
In Italia gli impianti eolici in mare aperto forse presentano qualche problema in piu`
perche’ non disponiamo di tanti  luoghi
abbastanza lontani da riva che siano allo stesso tempo battuti dal vento e dotati di fondali poco
profondi. Cio` e` molto piu` comune in alcuni paesi del nord Europa, ad esempio
il Regno Unito.

Da noi , finora i principali attori in campo energetico sono stati ENEL ed
ENI. Entrambi hanno comprensibilmente sviluppato delle culture aziendali proprie delle grandi
organizzazioni con una specifica attitudine a trattare relativamente pochi grandi
impianti, con grossi costi fissi e grandi volumi.

Una delle tecnologie che in Italia potrebbe offrire interessanti
prospettive e’ il solare, ma il solare non e` una tecnologia particolarmente
adatta ad essere sfruttata in impianti grandi. Piuttosto il solare si presta
bene come risorsa diffusa, sfruttata un po` dappertutto. Non grandi centrali, ma pannelli piu` o meno
sopra ogni costruzione, abitazione o capannone. Ecco che, per quanto riguarda
il solare, il ruolo delle aziende, che fino ad oggi ci hanno garantito energia,
sarebbe abbastanza modesto. E` cosi’ ingiusto aspettarsi da loro un grande
impegno per il suo sviluppo. Il problema invece e’ negli usi e nelle norme che
regolano l`edilizia. In Italia l`edilizia e` largamente fuori controllo a causa
di frequenti condoni che rendono sostanzialmente inutile il rispetto delle
leggi. Inoltre mentre chi compera un’auto oltre a cercare una bella macchina,
spaziosa o compatta, veloce o tranquilla, chiede anche quanto essa consumi per litro di
benzina, chi compera un’appartamento riceve risposte piu’ confuse. Quando si
pensa al costo, spesso ci si chiede di piu’ quanto sara` la rata del mutuo,
piuttosto di chiedersi l’ammontare delle bollette di riscaldamento, luce, gas
ed acqua. Quelle verranno quasi come una fatalita`.

In queste condizioni e` difficile che case un po’ piu’ costose, ma con
consumi mensili molto piu’ bassi possano avere molto successo. La legislazione
edilizia e quella sui contratti concernenti immobili potrebbero dare una bella
mano. L’una imponendo che il contratto di vendita sia nullo in assenza di una perizia
tecnica sui consumi energetici dell’immobile. Semplicemente l’acquirente non sa
cio’ che compra, se non sa quanto la casa consuma. La legislazione edilizia
dovrebbe imporre che tutte le nuove case ed i nuovi capannoni non consumino
piu’ di un certo ammontare di energia. Queste limitazioni gia` esistono per le
automobili, non si vede perche` non debbano esistere per le case. Infine ci
vorrebbe una riforma costituzionale che preveda che i condoni possano essere
solo introdotti con maggioranze molto ampie, almeno dei 2/3. In tal modo, forse
verrebbero usati piu` parsimoniosamente.

Infine sarebbe bene responsabilizzare le regioni. Da un lato bisognerebbe far funzionare un vero e proprio protocollo di Kyoto nazionale; ogni regione dovrebbe concordare con le altre e con lo stato, la sua quota di riduzione di emissioni inquinanti, con sanzioni per chi non rispetta gli accordi; inoltre ogni regione dovrebbe almeno in parte essere responsabile per il proprio approvigionamento energetico.  Le regioni potranno poi trasferire parte delle responsabilita`  a provincie e comuni. Chi non si da fare per risparmiare e produrre energia  dovra` subirne le conseguenze.