Commenti al bilancio del Comune di Torino: le entrate

ENTRATE

Dal lato delle entrate possiamo notare come le entrate tributarie vengano a giocare un ruolo sempre piu' importante nonostante l'abolizione dell'ICI sulla prima casa dei poveri (fatta da Prodi) e dei ricchi (fatta da Berlusconi). Se nel 2008 contavano per il 31% delle entrate totali, nel 2009 e nel 2010 contano per il 33 %. Praticamente le spese di Torino sempre piu' sono pagate con tasse, quella per la raccolta rifiuti in particolare (essa e` cresciuta del +7,38%), essendo le altre sostanzialmente stabili.

Anche le entrate extratributarie e diverse, che comprendono anche le multe, vengono ad avere un ruolo sempre piu' importante (dal 30 al 31% del totale entrate). Ad onor del vero va detto che il comune preventiva una modesta crescita dei proventi da multe e dei  CANONE OCCUPAZIONE SUOLO AREE PUBBLICHE, mentre cerca di divenire piu' efficace nell'incassare le somme che terzi gli devono a vario titolo (RECUPERI E RIMBORSI DA ENTI E DA PRIVATI). Infatti il preventivo 2010 prevede che questa voce cresca del 122% passando da 32 a 71 milioni. Ovviamente, mentre va apprezzato che il Comune diventi piu' bravo a farsi pagare, va notato che quando si riuscisse ad incassare tutto quanto ci e` dovuto, non si potrebbe piu' utilizzare questo strumento . Speriamo comunque che la voce a preventivo venga realizzata. Va anche notato come le concessioni edilizie dovrebbero portare 46 milioni nel 2010, contro i 52 del 2009 ed i 62 del 2008. Si tratta di somme ragguardevoli, che comunque gia' nel 2008 erano inferiori ai proventi da multe (72 milioni nel 2008) e nel 2010 sono inferiori ai proventi da multe, canoni e concessioni e recuperi da enti e da privati. In parole povere le concessioni edilizie sono fonti di entrate, ma non di entrate astronomiche. Non e` con questo tipo di entrate che si puo' finanziare grandi investimenti.

 Sul fronte delle entrate va ricordato che il preventivo prevede una cospicua crescita delle entrate da dividendi sulle partecipate, da 25 a 37 milioni (+48%). Questa voce rappresenta comunque solo il 3% delle entrate totali, andrebbe comunque compreso come mai la Citta` di Torino ritenga che le sue partecipate debbano nel 2010 fruttare tanto di piu' che nel 2009 o 2008 (miglior clima economico?).

I trasferimenti sono invece la voce di entrata in calo. Essi rappresentavano il 37% delle entrate nel 2008, il 35% nel 2009 e dovrebbero rappresentare solo il 33% nel 2010. Una calo importante.

Tra il 2008 ed il 2010 i trasferimenti calano del 7%. Si noti pero' che nel 2008 i trasferimenti dello stato rappresentavano  l'80% dei trasferimenti totali ricevuti. Nel 2010 lo stato conta solo per il 76%, avendo ridotto il suo contributo del 12%, mentre regione [+6%] ed altri enti (Unione Europea?) [+26%] aumentano il loro. Il problema e` che il dimagrimento di un elefante (lo stato) e l'ingrassare di una pulce o di un gatto (regione ed altri enti) non si bilanciano. Torino su questo fronte perde entrate.

Infine va detto che il totale entrate essendo di 1362 milioni di euro risulta inferiore di 15 milioni di euro rispetto alle uscite; questa cosa non sembra positiva.

Obtorto collo , l'indice di autonomia finanziaria di Torino cresce passando dal 61%  del 2008 al 65% del 2010. Le entrate di cui Torino dispone  sono per circa 2/3 indipendenti da contributi esterni e generate localmente.

 

 

 

Alcune idee per il futuro Sindaco

Due osservazioni circa il quadro generale in cui la futura amministrazione comunale si trovera` ad operare:
a) cambiamento climatico; gia` nel 1993 sapevamo che il clima stava cambiando e che almeno in parte cio’ era causato dall’ uomo, oggi pero’ ne abbiamo la quasi assoluta certezza; inoltre documenti come il rapporto Stern o le previsioni del Pentagono vengono ad evidenziare come la lotta al cambio climatico debba essere la priorita` numero 1 di ogni amministrazione ad ogni livello.
b) La crisi economica va intesa sopratutto come crisi italiana; l’economia globale e` cresciuta molto negli ultimi quindici anni, non cosi’quella italiana. La crescita economica e` il presupposto per aumenti salariali e per la spesa pubblica ed essa dipende da sviluppo tecnologico e accumulazione di capitale. Negli ultimi anni in Italia entrambi sono stati scarsi. Quindi la crescita e` destinata ad essere modesta. Chi vuol godere perche’ forse nel 2010 e nel 2011 cresceremo dell’1% dopo due anni in cui abbiamo perso il 7%, faccia pure; si tratta comunque di una magra consolazione. Tra tutti i paesi sviluppati l’Italia e` quello che dal 1980 al 2009 ha piu’ ridotto la sua quota nella produzione mondiale: di ben il 37%, contro il 33 % della Germania, il 31% della Francia, il 20% del Regno Unito e l’11% degli USA. In queste condizioni le risorse di cui disporra` qualunque governo e quindi qualunque amministrazione locale saranno limitatissime.

Alcune implicazioni e proposte:

I. La futura amministrazione comunale avra` risorse limitatissime e potra` offrire poco in termini di quantita` di denaro spendibile per i cittadini. Potra’ fare affidamento sull’indebitamento solo in misura molto limitata. E` vero che qualche cessione di partecipazioni azionarie potra` servire a diminuire l’indebitamento; e` altresi’ vero che questo tipo di manovra si puo’ fare solo una volta. I gioielli di famiglia si vendono una volta e poi basta. Quindi se, dopo aver venduto quote di aziende partecipate, si decidesse di indebitarsi di nuovo, lo si farebbe senza alcun paracadute. Ci si dovrebbe impegnare a pagare tutti i debiti con le decrescenti risorse correnti del futuro.Bisognera` avere una discussione aperta e franca su quanti soldi e’ bene che il Comune di Torino spenda ogni anno per il servizio del debito.

II. Un’amministrazione che non puo’ fornire ai cittadini molti beni e molti servizi puo’ pero’ avvicinare le scelte ai cittadini, con un maggiore decentramento. Oggi troppe decisioni che potrebbero essere prese a livello di circoscrizione vengono prese a livello di amministrazione cittadina. Cio’ sposta inutilmente le scelte lontano dai cittadini (perche` un senso unico in via Frinco o in via Condove deve essere deciso a livello centrale?, perche’ per aggiungere un lampione deve intervenire l’’amministrazione centrale? ) e non risponde ad una logica liberale ne’ ad alcun principo di sussidiarieta’. Ci lamentiamo del centralismo del governo di Roma, ma poi ripetiamo a livello locale gli stessi errori, portando quasi ogni decisione davanti al Conte Verde. Le circoscrizioni potranno eventualmente diminuire di numero, ma dovranno avere tutte le responsabilita` amministrative salvo alcune, di ampio raggio, come gli assi metropolitani, specificamente attribuite, prima all’amministrazione comunale e presto all’autorita` di area metropolitana. Questa non si e` fatta anche perche` e` difficile pensare che i paesi della cintura vogliano entrare in un’area metropolitana dove il “monolite” Torino la farebbe sempre e comunque da padrone. Solo le circoscrizioni potrebbero trattare da pari con i comuni della cintura. Un comune da 900.000 abitanti non potra` farlo mai. Cosi’ per mantenere questa entita` da 900.000 abitanti ci obblighiamo a non vedere la realta`: Torino e` un’area di un milione e mezzo di abitanti e come tale deve presentarsi nel mondo. Le scelte di area metropolitana vanno messe nelle mani di un’autorita` di area metropolitana, le altre vanno gestite a livello circoscrizionale.
III. Il cambio climatico deve essere centrale rispetto al programma municipale. Berlusconi nega il cambio climatico e non contribuisce alla stesura di un nuovo protocollo di Kyoto, che egli invece osteggia. Il ministro Ronchi (si veda La Stampa del 16 luglio) si oppone al taglio del 30 % dei gas serra come proposto da Germania, Francia e Regno Unito. Non possiamo criticarli, se poi non introduciamo politiche chiare. Penso in particolare ai trasporti ed all’edilizia, le due principali fonti di inquinamento urbano.
a. La scelta verso trasporti di tipo sostenibile deve divenire piu’ evidente. Non si puo’ predicare la lotta al cambio climatico ed allo stesso tempo costruire posteggi, sottopassaggi e cavalcavia, tutte opere che attraggono traffico.
b. A Torino circolare in bicicletta continua ad essere pericoloso, data la scarsita` di percorsi ciclabili dedicati. In particolare l’attraversamento da est ad ovest della citta’ e del Centro Crocetta in particolare e` pressoche’ impossibile, se non si vuole rischiare la propria vita.
c. L’intermodalita` deve divenire una regola. Dobbiamo urgentemente collegare la stazione FS di Lingotto con il complesso del Lingotto e con via Genova. Dobbiamo inoltre collegare meglio Lingotto FS con piu’ linee tramviarie e di bus quali il 18 ed il 4. A Porta Susa dobbiamo far si’ che la stazione dei pulman e la stazione FS, se possibile coincidano: sotto passano i treni, sopra ci siano i pulmann. Solo dando sempre un forte vantaggio al mezzo sostenibile, possiamo sperare che venga usato.

IV. A Torino non si dovra` piu’ costruire alcun edificio che consumi energia; tutti i nuovi edifici dovranno non consumare e possibilmente produrre energia per la collettivita`. Attorno a cio’ dovremo sviluppare delle competenze di tecnici ed artigiani ed eventualmente costruire una vera e propria filiera dell`edilizia sostenibile.

V. L’immigrazione e’ una risorsa: si’, ma.
E` vero che l’immigrazione e` una risorsa ed in generale favorisce la crescita dell’economia ed il benessere della maggioranza dei cittadini. E` altresi` vero che il 10 o 15% piu’ povero della popolazione e` danneggiato dall’immigrazione.
I piu’ poveri competono con gli immigrati per gli stessi lavori e per gli stessi servizi sociali.

Una politica sensata non deve pensare di combattere l’immigrazione, ma deve attivamente trasferire risorse e servizi a quella minoranza che dall’immigrazione viene danneggiata
. Dimenticarsi di loro e`una grave ingiustizia e fomenta le loro giuste proteste.  

 Ci vuole ricerca su questi temi e bisogna tenere conto dei risultati della ricerca quando si fanno le strategie per il futuro.

Toro alle porte palatine
 

Si possono fermare le stragi del mare?

Gli affondamenti
di barche di clandestine sono eventi quotidiani e spaventosi.

Centinaia, forse
migliaia di uomini e donne affogano nel Mediterraneo e al largo delle Isole
Canarie nel tentativo di migliorare la loro vita. Alla tragedia si aggiunge una
tragedia supplementare, il nostro cambiamento: quello che venti anni fa ci
avrebbe fatto inorridire oggi e` un fatto normale e quotidiano. Quelli che muoiono
in mezzo al Mediterraneo non vengono quasi piu’considerati uomini. Si
veda per esempio la differenza di trattamentro riservato ad i morti di una
tragedia aerea tipo quella di Madrid e
quello riservato agli annegati di un barcone.

 

Ad un livello
certamente diverso c’e` il problema della clandestinita`. E` vero che uno stato
deve avere dei confini e in qualche modo deve essere capace di regolare gli
accessi al suo interno. I clandestini sono molti e spesso la clandestinita’
puo’ generare illegalita` e criminalita`. Essi inoltre creano dei costi per la
pubblica amministrazione (pubblica sicurezza, sanita`, trasporti, istruzione,
ecc.)  finche` i clandestini non
contribuiscono all’erario.

Mentre e` abbastanza chiaro che le fasce medie
e benestanti e le aziende sono nette beneficiarie dell’immigrazione, disponendo di forza
lavoro (badanti, operai, camerieri, ecc) a prezzi ribassati, gli immigrati in
genere, a torto o a ragione, vengono percepiti dalle fasce povere della
popolazione come dei concorrenti, sia sul mercato del lavoro sia nel
percepimento di pubblici servizi (“al pronto soccorso a causa degli immigrati
ho dovuto aspettare tre ore”).  Si temono
gli immigrati come concorrenti nelle richieste per ottenere posti al nido,
nelle liste d’attesa per gli interventi chirurgici negli ospedali, nelle case
popolari e per i sussidi in genere.

 

Infine molti
temono che gli immigrati non accettino certi valori che noi, sia pur da poco,
diamo come piu’ o meno acquisiti: diritti delle donne, liberta` sessuale,
diritti delle minoranze e dei diversi, molteplicita` dei credo e delle
convinzioni, insomma una societa` governata dalle leggi laiche fatte dai
cittadini e non da norme dettate da Dio.

Ad onor del vero
va detto che solo una minima parte dei clandestini oggi presenti in Italia e`
arrivata usando barconi e scafisti. La gran parte e` arrivata munita di regolare visto
turistico su mezzi di trasporto autorizzati e si e` poi fermata oltre la
scadenza consentita.

Va comunque detto che sia chi arriva
rischiando la propria vita su di un barcone, sia chi arriva con regolare visto
spende somme assai considerevoli: si calcola dai 4,000 ai 15,000 dollari. In
troppi casi il prezzo e` assai piu’ alto: si paga con la vita propria e quella
dei propri cari.

Va anche aggiunto
che l’attuale norma (legge Bossi Fini)
prevede che in teoria un datore di lavoro assuma un dipendente senza mai averlo
visto in faccia. Sono pochi i datori di lavoro tanto stupidi. Si tratta evidentemente di una farsa, di un
modo mascherato per legalizzare clandestini gia` presenti sul territorio
nazionale, senza pero’ ammettere che lo si fa. Unici beneficiari le agenzie di
viaggi, di pulman, di navigazione e le compagnie aeree. Costo aggiuntivo per i
“legalizzandi” alcune migliaia di euro. Beneficio per lo stato italiano =  € 0.

Siamo all’assurdo
per cui alcuni immigrati, i “salvati” riescono ad entrare e dopo un periodo
piu’ o meno lungo di clandestinita`, di peripezie e sofferenze, vengono
legalizzati ed ottengono diritti almeno teoricamente simili
a quelli dei cittadini italiani, magari suscitando le ire di alcuni italiani.
Gli altri i “sommersi” spariscono nei flutti, senza alcun diritto, tante volte
senza nemmeno un nome ed un funerale.

Dobbiamo trovare
una via di mezzo, che sia possibile offrire a molti, evitando che il
risentimento, piu’ o meno giustificato verso alcuni, diventi la condanna a
morte per altri.

Non dico che la
clandestinita` sia del tutto eliminabile, ne’ che si possa essere certi di
eliminare gli affondamenti delle barche dei disperati nel Mediterraneo. E` pur
vero che si puo’ fare qualcosa per ridurre la strage degli annegati e per
ridurre la clandestinita`.

Bisogna creare
degli incentivi alla presenza legale in Italia. 

Manteniamo pur in
vita le attuali norme sull’immigrazione, anche se sono strambe, ma introduciamo un canale parallelo.
Lo stato Italiano potrebbe offrire dei permessi temporanei per la ricerca di
lavoro in Italia. Chi volesse ottenerli dovrebbe depositare presso il consolato
italiano nel suo paese una somma tra i 3.000 ed i 10.000 euro. Per definire
l’ammontare preciso potremmo anche stabilire delle quote di ingressi riservate a questo
canale e poi metterle all’asta su internet, paese per paese. Inoltre i
candidati ,che volessero beneficiare di questo canale, dovrebbero richiedere  un documento d’identita italiano
provvisorio corredato di molti indicatori biometrici, impronte digitali, iride,
forse anche DNA. Dovrebbero altresi’ emigrare con il consenso esplicito del
paese di origine, in modo da non avere sorprese al momento di un eventuale
rimpatrio. Infine, dopo un opportuno corso informativo per candidati alla
migrazione, dovrebbero accettare per scritto o in videoregistrazione alcuni
elementi fondamentali del nostro modo di vivere, specie quelli che normalmente,
a posteriori, possono suscitare piu’ problemi.

A questo punto,
dotati di identita` e nazionalita`certe e non cancellabili, coperti da una
sufficiente cauzione, coscenti che l’Italia e` (o dovrebbe essere) un paese laico, potrebbero
entrare in Italia in viaggi organizzati dal governo Italiano.

  Chi lo volesse potrebbe guadagnarsi dei titoli
preferenziali per l’accesso in Italia, dimostrando di sapere l’italiano o di
saper svolgere qualche professione richiesta in Italia.

 
Con il loro
documento potrebbero circolare per l’Italia per otto mesi e per otto mesi potrebbero
liberamente cercare lavoro, incontrando di persona potenziali datori di lavoro.
Lo stato potrebbe anche darsi da fare per fare incontrare domanda ed offerta,
organizzando fiere del lavoro e banche dati del lavoro.

Chi alla fine
degli otto mesi avra` trovato un lavoro, potra` fermarsi in Italia per un anno,
chi no, dovra` rientrare nel paese di origine e sara` facile identificarlo e
riaccompagnarlo a casa.

Chi, dopo un ulteriore anno,
sara` ancora occupato, potra’ restare, chi no, dovra` andarsene.

Chi gia` avra` regolarmente lavorato per venti
mesi , potra` avere un permesso di
soggiorno per piu’ anni.

A chi lascia l’Italia viene restituita tutta la somma versata all’inizio, meno le spese
sostenute dallo stato italiano per il trasporto e l’accoglienza (spese di trasporto da e per il
paese di origine, spese mediche, ecc.)  nel periodo considerato, qualora lo straniero
non abbia pagato sufficienti tasse per pagare questi costi.

 

Si potrebbe anche
aggiungere la norma che chi immigra secondo questo canale rinuncia per cinque
anni a richiedere certi diritti e servizi sociali e medici a cui tutti i residenti hanno diritto (casa
popolare, asili nido, ricongiungimento famigliare, operazioni mediche piu’
costose, ecc.). In fondo uno puo’ decidere che  e` meglio stare in Italia con diritti temporaneamente ridotti, piuttosto che morir di fame a casa propria o vedere affogare i propri cari.

 
Infine parte
della cauzione di chi resta a lavorare,
potra` venire non restituita ed utilizzata per dei programmi mirati ad aiutare
gli italiani delle fasce piu’ povere, in modo tale che anche essi possano
vedere che l’immigrazione porta loro benefici.

Questo progetto arrecherebbe gravi danni agli scafisti e a chi in genere organizza l’immigrazione clandestina, gli ruberebbe molti clienti.

 Qualcuno mi
definira` cinico, ma io credo che cinico sia colui che la sera riesce andare a
dormire pur sapendo che quella notte molti affogheranno, cercando di immigrare
e non fa nulla per salvarli.

Gustavo Rinaldi

 

 

 

 

Sentenze Brigatiste

Premessa: gli arrestati di questi giorni con l’accusa  appartenere alle nuove Brigate Rosse, di organizzare attentati e detenere armi hanno diritto alla presunzione di innocenza, finche` non dichiarati colpevoli dal giudice.

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Se peraltro  in giro ci fosse qualcuno che ritenga il professor Ichino   colpevole perche’ vorrebbe istituire un’agenzia per misurare la produttivita` dei pubblici dipendenti e degno di gambizzazione o di morte

S A P P I A

che sono colpevole anche io.
Trovo l’idea di misurare la produttivita’ dei pubblici dipendenti ottima. Perche’ essa permetterebbe
di premiare chi davvero lavora al servizio della collettivita` e di cacciare chi ruba i soldi ai lavoratori che pagano le tasse.
Chi vuole difendere la spesa pubblica, vuole che essa sia efficiente e produttiva.
Chi non vuole che si misuri la produttivita` dei pubblici dipendenti, lascia il campo libero a coloro che dicono che tasse e spesa pubblica sono solo uno spreco. Cio’ che io non credo.

Non e` il livello della pressione fiscale cio’ che fa la differenza

Il Governatore
della Banca d’Italia al Forex ha
affermato che in Italia il livello delle tasse e’ alto ed andrebbe ridotto.
Facendo cio’ si e’ messo in un campo strettamente politico. Le tasse sono
un’indicatore della presenza dello stato negli affari economici di un paese. A
qualcuno piace una grande presenza dello stato nell’economia ed a qualcun altro
no.

Non esistono pero’
ragioni teoriche per prediligere l’una o l’altra soluzione. La spesa pubblica
va in servizi (esercito, polizia, sanita’, istruzione, trasporti, ecc.) e
trasferimenti.  I trasferimenti non
aumentano e non diminuiscono la dimensione totale del prodotto. Si limitano a
trasferire reddito da Tizio a Caio.

Per quanto
riguarda i servizi, la loro dimensione ottimale dipende dalla produttivita`
della macchina pubblica. Se la macchina pubblica e` meno efficiente del settore
privato, allora darle delle risorse, sottraendole al privato, vuol dire ridurre
l’efficienza del sistema. Se la macchina pubblica e’ piu’ efficiente del
settore privato, spostare delle risorse dall’uno all’altro settore, vuol dire
aumentare la produttivita’ totale della nazione.

Oggi e` vero che
le nostre amministrazioni pubbliche hanno una bassa produttivita`, ma cio’ non
e` una necessita’ assoluta, tipo la forza di gravita’, e` il risultato di tanta
cattiva politica, non interessata ad una pubblica amministrazione forte ed
autonoma e non desiderosa e capace di controllare la produttivita` dei pubblici
dipendenti.

Allo stesso tempo e` vero che il nostro
settore privato ha fatto e spesso  sta
ancora facendo delle scelte miopi: si concentra su imprese troppo piccole, non
accede al mercato dei capitali, non accede al mercato dei managers e pone la
famiglia davanti a tutto, anche quando non e’ il caso; e` tecnologicamente
arretrato e non e` predisposto ad assorbire piu’ tecnologia ne’ a fare ricerca e
sviluppo. Se ci si affida semplicemente alle scelte di questo settore privato, non si va lontano. I fatti mostrano che il risultato e` un concentrarsi su
settori in declino ed una progressiva perdita di quote di mercato a livello
mondiale. Perdiamo quote non solo nei beni, si pensi alle calzature ed
all’abbigliamento, ma anche nei servizi si veda ad esempio il turismo.

In Italia sono problematici sia il settore
pubblico che quello privato. Pensare che lasciare piu’ risorse al settore
privato possa risolvere i problemi del paese e` un illusione.

 

Ci piace uno stato che redistribuisce il reddito?

La legge finanziaria per il 2007 ha
parecchi difetti, ad esempio fa ben poco per lo sviluppo tecnologico del
paese e quindi fa ben poco perche`  i salari medi degli italiani possano  crescere.  La finanziaria pero’ 
mira a ridurre le diseguaglianze di reddito, tassando di meno i poveri e
tassando di piu’ chi sta meglio. Praticamente ha un effetto redistributivo e
percio’ e` stata qualificata come "la finanziaria di Rifondazione Comunista",
piu’ che di Padoa Schioppa. Per decidere se questo ci piace dobbiamo
domandarci: vogliamo una societa` dove le differenze tra il piu’ ricco ed  il
piu’ povero sono modeste o preferiamo una societa’ dove le differenze di
reddito sono piu’ marcate? In fondo  la disuguaglianza tra i redditi  e` un segno che siamo in una societa` libera  dove lo stato non si immischia troppo con le  scelte dei cittadini .

Quei paesi che accettano piu’ forti
disuguaglianze probabilmente crescono di piu’ di altri, questo ad esempio e` il
risultato dello studio della studiosa Forbes (2000). In fondo i piu’ poveri possono trarre
beneficio da un po’ di disuaglianza oggi in cambio di maggior crescita
economica domani. Questo e` un modello di tipo liberistico: lasciamo
che gli individui piu’ portati a far soldi si muovano liberamente, senza
tassarli troppo, e loro ci renderanno tutti piu’ ricchi. Questa e` la
giustificazione per i tagli delle tasse generalizzati o particolarmente a beneficio dei piu’ ricchi. "Tagliamo le tasse ai ricchi ed essi
investiranno ancora di piu’ " abbiamo sentito dire talvolta. In parte forse e’ anche vero. Diminuire
le tasse ai ricchi ed aumentare la disuguaglianza e` allora una scelta
obbligata? No. Dipende dai nostri gusti. Quali sono gli obbiettivi a cui
teniamo maggiormente? Desideriamo un paese in cui tutti vivono molto a lungo?
Desideriamo un paese con poca criminalita` violenta?  Se questi due scopi ci interessano,
la nostra scelta diviene piu’ difficile. Quella stessa disuguaglianza che
probabilmente favorisce una piu’ veloce crescita economica molto probabilmente
conduce a piu’ numerosi crimini violenti (Fajnzylber et al., 2002). Per far diminuire i furti ed i crimini non
violenti basta un aumento
dell’occupazione: chi e` disoccupato puo’ essere indotto a rubare (RAPHAEL e WINTER-EBMER, 2001), ma normalmente
non ad ammazzare. La disuguaglianza conduce anche ad una vita media piu’ breve
come mostra una bella rassegna
del 5 gennaio
2002
 del
British
Medical Journal.

Questo e` quanto ci dicono alcuni autorevoli studi.
Qualcuno potra` dire che in fondo non e` cosi’ importante che tutti vivano a
lungo o che ci sia poco crimine. Cio’ che non si puo’ fare e` predicare la
botte piena e la moglie ubriaca: non ci si puo’ lamentare se viviamo in uno
stato che fa troppi trasferimenti dai ricchi ai poveri e poi pure lamentarsi
perche’ c`e` troppa criminalita` violenta. Bisogna onestamente scegliere.  

Gustavo Rinaldi

PABLO
FAJNZYLBER, DANIEL LEDERMAN, NORMAN LOAYZA, 2002, INEQUALITY AND VIOLENT CRIME,
Journal of Law and Economics, Vol.
45, No. 1, Part 1

 Kristin J. Forbes, 2000, A Reassessment of the
Relationship between Inequality and Growth, The
American Economic Review
, Vol. 90, No. 4, pp. 869-887

 STEVEN
RAPHAEL, RUDOLF WINTER-EBMER, 2001, IDENTIFYING THE EFFECT OF UNEMPLOYMENT ON
CRIME, The Journal of Law and Economics, Vol.  44, pp 259–283

 

Lavori Usuranti

Giustizia vorrebbe che chi morira` presto, possa andare in pensione presto e chi morira` tardi, debba andare in pensione dopo.
In tal modo ognuno riceverebbe in proporzione di quanto ha pagato in contributi.
Oggi il governo sta giustamente pensando ad alzare ulteriormente l’eta’ pensionabile e giustamente il sindacato gli ricorda che esistono lavori dove si invecchia prima. Il problema e` che ora un po’ tutti si fanno avanti dicendo che il loro lavoro e’ piu’ usurante di quello degli altri. Facilmente rischiamo di cadere in un mercato delle vacche  dove cio’ che davvero conta non e` tanto se il lavoro che facciamo ci accorcia davvero la vita, ma la nostra  capacita` di fare lobby e gridare.
Su questa strada si producono solo delle nuove ingiustizie.
Sarebbe il caso di fare riferimento a delle tabelle di mortalita` divise per professione. A che eta` muore mediamente un operaio di fonderia? Ed un insegnante di liceo?
Alle categorie che mediamente muiono prima va permesso di andare in pensione prima, alle altre no.

C’e` un altro elemento che forse merita di essere tenuto in conto: a che eta` morirono i nostri genitori? ed i nostri nonni?   Alcuni di noi appartengono a famiglie di longevi ed altri a famiglie di gente che muore giovane, i secondi dovranno essere trattati con un occhio di riguardo, i primi no.

Ovviamente si trattera` di dare un peso a ciascuno di questi due fattori. Quello che va evitato assolutamente e` cadere in un dibattito dove ha solo ragione chi grida piu’ forte.

Gustavo Rinaldi

4 conti in tasca ad Israele

 
Con una popolazione di  6,352,117 (Fonte: CIA https://www.odci.gov/cia/publications/factbook/geos/is.html#Econ)
Israele aveva nel 2005 un prodotto di 115 miliardi di dollari (l’Italia 1700 miliardi di dollari con una popolazione di 58 milioni).

L’amministrazione  Bush  nei suoi  sei anni di esistenza   ha messo  a disposizione di Israele  10 miliardi di dollari, ma Israele fino a poco  fa ne aveva utilizzati solo  poco piu’ di 6 (Fonte: BBC, Radio 4).
In pratica Israele in questi 6 anni ha ricevuto un miliardo di dollari all`anno ed ogni cittadino israeliano ha ricevuto 157 dollari all’anno dal governo americano.
Va detto, ad onor del vero, che Israele spende per le forze armate  quasi mezzo miliardo (455 milioni) di dollari all’anno (fonte: FT 2/08/2006), quindi  si puo’ dire che ogni cittadino non deve spendere nulla per le forze armate ed in piu’ riceve 85 dollari da spendere a scopi civili (all’anno).

Qui parliamo di fondi governativi. Ad essi va sommato circa un altro miliardo di dollari all’anno in fondi privati di associazioni private americane. Sommati sono 1,5 % del PIL.
Per capire cosa vuol dire 1.5 % di PIL, ognuno deve pensare che tutta la manovra da lacrime e sangue che Padoa Schioppa si accinge a fare questo autunno puntera` ad un risparmio di una percentuale di PIL equivalente . Se qualcuno regalasse all’Italia 1.5% di PIL si potrebbe non fare i risparmi della legge finanziaria da lacrime e sangue, evitando chiusure di ospedali, rinvio di opere pubbliche, tagli agli enti locali, aumenti delle tasse, privatizzazioni, ecc. Nonche’ scioperi, manifestazioni di piazza, voti di fiducia e crisi di governo.

Conclusione : e` vero che la ricchezza di Israele si fonda tutta sull’aiuto americano? No, non e` vero.
E` vero che l’aiuto americano non conta nulla e che tutto il benessere d’Israele dipende solo dal duro lavoro e dall’ingenio dei suoi abitanti? No, l’aiuto straniero ha un peso non trascurabile, trattandosi di un paese sviluppato. Certo per certi paesi africani o per comunita` di profughi senza uno stato l`aiuto straniero conta molto di piu’, ma quelle sono realta` troppo diverse per essere confrontate con il caso in questione.

P.S.
Spero di trovare informazioni sugli aiuti dati al Libano ed agli Hezbollah da paesi arabi ed Iran. Mi piacerebbe presentare anche i loro conti.  Chi avesse delle cifre mi aiuti, per favore.

Una squadra

E` incredibile che gli Italiani abbiano vinto grazie alla caratteristica che un po’ in tutti i settori meno li contraddistingue: la capacita’ di fare squadra.
In politica, in economia, nelle associazioni , nel volontariato, nell’arte, nei gruppi informali l’essere prima-donna o cane sciolto, l’essere individuo in barba al gruppo e` la regola.
La Nazionale ci ha insegnato che fare squadra, rinunciare un po’ a se’ stessi a vantaggio del collettivo, da frutti.
Se imparassimo questa lezione, il mondiale diverebbe un momento utilissimo oltre che piacevole.

Taxi: il parere del 2004 dell’Autorita` Antitrust

Credo di aiutare il dibattito sul tema della regolamentazione dei taxi riportando il parere dell`Autorita` Garante della Concorrenza e del Mercato in materia.

Il materiale viene dal sito     http://www.agcm.it/

G.R.

Segnalazione/Parere

DISTORSIONI DELLA CONCORRENZA NEL MERCATO DEL SERVIZIO TAXI 


DATI GENERALI

articolo (L.287/90)
21-Attività di segnalazione al Parlamento e al Governo
rif
AS277
decisione
26/02/2004
invio
03/03/2004

PUBBLICAZIONE

bollettino n.
9/2004
serie attività di
segnalazione n.
20

SEGNALAZIONE/PARERE

mercato
(6022) Trasporti con taxi
(I) TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI
oggetto
Legge 15 gennaio 1992, n. 21, recante "Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea"
destinatari
Presidente del Senato della Repubblica
Presidente della Camera dei Deputati
Presidente del Consiglio dei Ministri
Ministro per gli Affari Regionali
Conferenza Stato-Regioni
Regioni
Associazione Nazionale Comuni Italiani
esito
locali

-Testo Segnalazione/Parere

Premessa

Nell’esercizio dei poteri di cui
all’articolo 21 della legge n. 287/90, l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato intende segnalare alcune distorsioni della
concorrenza che emergono a livello nazionale nella prestazione del
servizio
taxi.
Al riguardo, si ricorda che in passato
l’Autorità, con segnalazione del 1° agosto 1995, ha evidenziato alcune
distorsioni della concorrenza derivanti dalla legge 15 gennaio 1992, n.
21, che disciplina il trasporto di persone mediante autoservizi
pubblici non di linea
[Cfr. segnalazione del 1 agosto 1995 – Servizio di trasporto di persone mediante taxi (AS053), in Boll. 29/95.].
In quella occasione l’Autorità si è soffermata, in particolare, sulle
problematiche di carattere concorrenziale connesse all’accesso al
mercato, nonché alla determinazione delle tariffe. In considerazione
del perdurare, a distanza di alcuni anni, delle distorsioni
concorrenziali allora evidenziate, l’Autorità intende porre l’accento
sulle cause che ancora oggi determinano un’insufficiente apertura del
mercato alla concorrenza, nonché proporre alcune possibili soluzioni
volte a superare le problematiche che di seguito si evidenziano.

Il quadro normativo

La prestazione del servizio di taxi è disciplinata a livello nazionale dalla legge n. 21 del 15 gennaio 1992 "Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea" .
In particolare, l’articolo 2 definisce il servizio di taxi
come il servizio avente lo scopo di soddisfare le esigenze del
trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone, rivolto ad
un’utenza indifferenziata, la cui prestazione è obbligatoria
all’interno delle aree comunali o comprensoriali.

Secondo quanto previsto dall’articolo 8 della legge citata, la prestazione del servizio taxi
è consentita dietro rilascio della licenza da parte delle
amministrazioni comunali attraverso un bando di pubblico concorso. La
licenza è necessariamente riferita ad un singolo veicolo adibito a
taxi, non essendo ammesso, in capo ad un medesimo soggetto, il cumulo di più licenze per l’esercizio di detto servizio.
Si richiama, inoltre, l’articolo 10 della medesima legge ove è previsto che la sostituzione dei titolari delle licenze di taxi sia consentita solo in determinate circostanze tassativamente stabilite dalla norma medesima.
Alle singole Regioni è demandata la
competenza a disporre le norme, nel quadro dei principi fissati dalla
legge citata, volte in particolare a stabilire i criteri cui devono
attenersi i Comuni nel redigere i regolamenti sull’esercizio del
servizio
taxi.
La disciplina puntuale dell’attività di prestazione del servizio taxi
è tuttavia riservata ai Comuni i quali, nel predisporre i regolamenti
concernenti l’esercizio del trasporto di persone mediante servizio
taxi,
sono competenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge suddetta, a
stabilire il numero e la tipologia dei veicoli, i requisiti e le
condizioni per il rilascio della licenza, le modalità di svolgimento
del servizio, nonché i criteri per la determinazione delle tariffe.

Le principali anomalie del mercato del servizio di trasporto persone mediante taxi

Il mercato del servizio taxi
risulta generalmente caratterizzato, a livello locale, da una
insufficiente apertura alla concorrenza, che si manifesta in una
domanda da parte dei consumatori non pienamente soddisfatta
dall’attuale offerta del servizio da parte dei conducenti di
taxi. Si rileva, al riguardo, come in gran parte dei principali Comuni italiani la densità di taxi in rapporto alla popolazione risulti inadeguata. Tale circostanza è dimostrata dai lunghi tempi di attesa del taxi, in particolar modo negli orari in cui la domanda da parte dell’utenza risulta più elevata [Il rapporto tra numero di taxi e popolazione delle due principali aree metropolitane di Roma e Milano risulta rispettivamente pari a 2,1 e 1,6 taxi
per mille abitanti, contro i 9,9 di Barcellona, gli 8,3 di Londra i 3,9
di Praga, i 2,9 di Monaco, i 2,4 di Parigi, i 2 di Berlino (Cfr.
Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del
Comune di Roma, Relazione annuale sullo stato dei servizi pubblici
locali e sull’attività svolta, Roma, 2003).]
.
Sebbene la normativa vigente attribuisca
ai Comuni la competenza in ordine alla determinazione del numero dei
veicoli da adibire al servizio di
taxi,
e quindi ad incrementare eventualmente le licenze a fronte di
un’insufficienza dell’offerta, tale facoltà incontra una forte
resistenza da parte degli operatori del settore, favorevoli al
mantenimento delle restrizioni quantitative.

Va osservato che tali comportamenti
trovano fondamento nell’elevato costo che gli operatori già attivi sul
mercato hanno sostenuto per l’acquisto di una licenza da altri
soggetti. Infatti, benché le licenze siano state originariamente
rilasciate gratuitamente da parte delle autorità pubbliche, le stesse
sono state sovente alienate sulla base di valori economici, di volta in
volta crescenti in termini reali, circostanza questa che, di per sé,
riflette la scarsità del numero delle licenze, ovvero del numero di
taxi attualmente in circolazione.
In questo contesto, il valore della licenza rappresenta un asset il
cui valore economico assume particolare rilievo al momento della
rivendita della licenza stessa da parte del fornitore del servizio,
mentre ogni emissione di nuove licenze comporta necessariamente una
riduzione del valore di quelle originariamente rilasciate.

In tal senso, il timore che un incremento
del numero delle licenze possa determinare una riduzione del valore di
mercato delle stesse, nonché una riduzione dei ricavi attesi, spiega le
resistenze dei fornitori del servizio di
taxi a fronte di interventi, da parte delle Amministrazioni locali, volti a favorire una maggiore apertura del mercato.
Un’ulteriore anomalia che contraddistingue il mercato del servizio di taxi
riguarda la predeterminazione dei turni di servizio rigidi che si
presta alla ripartizione dell’offerta per fasce orarie tra i
concorrenti.

Alcune esperienze di liberalizzazione del settore

Le anomalie che caratterizzano la generalità dei mercati locali del servizio taxi,
soprattutto nelle aree metropolitane, si riscontrano sia in ambito
nazionale, che nella gran parte dei Paesi europei. In particolare nei
paesi in cui, come in Italia, l’offerta delle licenze è strettamente
regolamentata si registra un densità di
taxi
in rapporto alla popolazione assai ridotta rispetto a quella che
caratterizza i Paesi che hanno optato per una de-regolamentazione più o
meno accentuata.

Nelle diverse metropoli europee si
registra altresì la difficoltà di intervento, da parte delle autorità
preposte alla regolamentazione, ogni qualvolta queste ultime intendano
promuovere una maggiore apertura, totale o parziale, dei mercati alla
concorrenza mediante la liberalizzazione delle licenze, a causa delle
forti resistenze, sopra accennate, da parte della categoria di
conducenti di
taxi.
Tuttavia alcune esperienze estere
dimostrano come sia possibile procedere in tal senso e ottenere
risultati positivi sia per i nuovi entranti, che per la generalità
dell’utenza.

A tale riguardo assumono particolare
rilievo le iniziative intraprese negli ultimi anni da alcuni Stati
quali l’Irlanda, i Paesi Bassi e la Svezia e, in ambito extra-europeo,
l’Australia e la Nuova Zelanda. Ciò che accomuna gli interventi
adottati in questi ultimi Paesi è una liberalizzazione delle licenze,
accompagnata da un innalzamento dei requisiti qualitativi e di
sicurezza imposti a tutti gli operatori. Con riferimento alla
determinazione delle tariffe sono state adottate, invece, misure
differenziate nei Paesi interessati. Ad esempio, in Nuova Zelanda e nei
Paesi Bassi è stata privilegiata la possibilità per gli operatori di
differenziare le tariffe nell’arco della giornata a seconda dei flussi
di domanda.

Una conseguenza diretta di tale
liberalizzazione è stato il graduale riassorbimento dell’iniziale
eccesso di offerta, grazie ad un’accelerazione indotta nella crescita
della domanda. Inoltre, sotto il profilo tariffario, le riforme
intraprese hanno determinato una riduzione media delle tariffe e un
significativo aumento della domanda, che in questo settore risulta
molto elastica al prezzo.

Le possibili soluzioni idonee a favorire una maggiore apertura del mercato

I problemi concorrenziali sopra
evidenziati sono in buona parte riconducibili all’attuale assetto
normativo che, dunque, a parere di questa Autorità andrebbe modificato.

L’Autorità è consapevole che le modifiche
introdotte al Titolo V della Costituzione hanno comportato una generale
riallocazione delle competenze regolatorie anche in materie di rilievo
economico, a seguito della quale nel settore del trasporto di persone
mediante autoservizi pubblici non di linea si prospetta un ampliamento
delle funzioni normative attribuite alle Regioni.

In ogni caso, i regolatori chiamati a
intervenire, a qualunque livello, nella materia secondo il nuovo
riparto costituzionale di competenze dovrebbero rispettare alcuni
criteri di promozione e tutela della concorrenza. In base, infatti, al
diritto comunitario, l’azione degli Stati membri, in tutte le loro
articolazioni territoriali, deve essere condotta conformemente al "
principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza" (articoli 4, comma 1, CE e 98 CE).
Qui di seguito saranno indicati i criteri
che a parere di questa Autorità sono funzionali a garantire una
regolazione pro-concorrenziale della prestazione dei servizi in
questione con riferimento a tre profili ritenuti essenziali: accesso al
mercato, gamma dei servizi offerti, modalità di prestazione del
servizio (come ad esempio i turni).

Nell’ambito della definizione di
possibili soluzioni volte a promuovere una maggiore apertura dei
mercati locali del servizio di
taxi, l’Autorità riconosce la necessità di tener conto delle problematiche avanzate dai conducenti dei taxi, sopra accennate, che ostano ad una riforma del settore.
Si ritiene, dunque, che ogni soluzione
finalizzata a favorire un incremento del numero delle licenze possa
essere accompagnata da una sorta di "compensazione", a favore degli
attuali titolari delle licenze, in considerazione delle eventuali
perdite del valore commerciale delle stesse.

Le iniziative volte a favorire una
maggiore apertura dei mercati interessati, ove accompagnate da misure
compensative, avrebbero il pregio di limitare gli effetti sfavorevoli
sugli attuali
incumbent,
garantendo al contempo l’ingresso di nuovi operatori e un incremento
dei benefici per la generalità dell’utenza, la quale potrebbe fruire di
una maggiore offerta di
taxi. In tal
senso, un incremento quantitativo dell’offerta appare idoneo a
determinare una serie di benefici per i consumatori, consistenti, in
particolare, nella riduzione del tempo medio di attesa e determinando
altresì un vantaggio per gli stessi in termini di "costo-opportunità"
del loro tempo a disposizione.

A tal fine, nell’ottica di pervenire ad
un graduale processo di liberalizzazione del settore, l’Autorità
intende suggerire alle Amministrazioni preposte alla relativa
regolamentazione una serie di possibili interventi.

Una prima tipologia di intervento, idonea
ad incrementare il numero delle licenze, può essere rappresentata dal
ricorso ad una procedura d’asta, a seguito della quale le
Amministrazioni potrebbero rilasciare delle nuove licenze, a titolo
oneroso. Gli introiti derivanti da tale procedura potrebbero essere
impiegati per compensare "una tantum" gli attuali titolari delle
licenze.

Una diversa soluzione consiste nella
possibilità, da parte delle Amministrazioni, di incrementare il numero
delle licenze mediante la distribuzione, a titolo gratuito, agli
operatori del settore di un’ulteriore licenza. Tale misura avrebbe
l’effetto di compensare gli attuali titolari delle licenze della
perdita di valore, in termini economici, di queste ultime. I fornitori
del servizio
taxi, infatti,
potrebbero procedere alla vendita della nuova licenza, realizzandone un
ricavo, oppure sfruttare entrambe le licenze mediante affidamento della
seconda licenza a un altro operatore mantendone la titolarità. Affinchè
tale misura sia efficace, appare opportuno che la nuova licenza venga
ceduta, ovvero utilizzata, entro un congruo periodo di tempo
compatibile con il graduale processo di liberalizzazione.

La misura in esame richiederebbe,
tuttavia, che sia consentito ad un medesimo soggetto di cumulare più
licenze per l’esercizio del servizio
taxi,
diversamente da quanto previsto dalla normativa vigente, nonché la
possibilità di essere sostituiti alla guida da chiunque risulti in
possesso dei requisiti richiesti. Un’eventuale modifica delle
disposizioni previste dagli artt. 8 e 10, di cui alla citata legge n.
21 del 15 gennaio 1992, potrebbe essere sollecitata dalle
Amministrazioni competenti alla regolamentazione del settore.

Le proposte sopra delineate potrebbero
condurre ad un processo di piena liberalizzazione del settore, da
realizzarsi attraverso la previsione di un regime autorizzatorio privo
di contingentamento, che potrebbe essere attuato a seguito del
decorrere di un congruo periodo di tempo, al fine di permettere di
ammortizzare la perdita di valore delle nuove licenze.

In aggiunta alle proposte sopra
delineate, potrebbero essere attuate una serie di misure collaterali
idonee a facilitare il riassorbimento dello squilibrio tra domanda e
offerta del servizio
taxi.
Una prima misura consiste nella possibilità di rilasciare licenze part-time, onde permettere una maggiore copertura del servizio di taxi
durante gli orari di "punta". Tale proposta potrebbe essere
accompagnata dalla previsione di un’organizzazione del servizio più
flessibile, che consenta ai conducenti di
taxi la libera determinazione dei propri orari.
Al riguardo, si osserva che la fissazione
dei turni di servizio non appare necessaria ai fini del corretto
funzionamento del mercato prestandosi, al contrario, alla ripartizione
dell’offerta del servizio per fasce orarie tra i concorrenti. La
determinazione dei turni di servizio rappresenta, in tal senso, una
garanzia a vantaggio degli operatori del settore pittosto che un
beneficio per i consumatori.

In questo contesto non appare opportuno
prevedere la fissazione di turni rigidamente prestabiliti, fermo
restando un obbligo di servizio minimo garantito per ciascuna ora del
giorno.

Un’ulteriore misura idonea a consentire
una maggiore flessibilità dell’offerta potrebbe ravvisarsi nella
eliminazione dell’attuale segmentazione territoriale prevista per
ciascuna area comunale, consentendo ai possessori di licenze di
esercitare la propria attività anche al di fuori dell’area geografica
per la quale sono state rilasciate originariamente le licenze stesse.

Un’altra misura volta ad incrementare
l’offerta del servizio di trasporto a favore dell’utenza, mediante
autoservizi non di linea, consiste nella possibilità da parte delle
Amministrazioni di concedere delle autorizzazioni ad effettuare un
servizio di
taxi innovativo, associato ad un minore assoggettamento agli obblighi di servizio, sull’esempio dei minicabs
londinesi, i quali possono effettuare il servizio di trasporto clienti
solo tramite prenotazione telefonica ed applicare tariffe differenziate
da quelle dei
taxi a chiamata diretta su strada.
Al fine di pervenire ad un incremento dell’offerta, nonché ad una maggiore efficienza del servizio di taxi, sarebbe altresì opportuno procedere ad un’ottimizzazione degli spazi utilizzati come aree di sosta dei taxi.
Ciò potrebbe comportare una riduzione dei tempi di attesa, ad esempio
attraverso la "canalizzazione" dei soggetti interessati alle
destinazioni più ricorrenti (aeroporto-stazione ferroviaria) verso aree
appositamente dedicate in modo tale da facilitare l’uso collettivo del
taxi.
Infine, si ritiene che vada favorito lo sviluppo dei servizi alternativi o complementari al taxi tradizionale, quali il "taxibus" e il servizio di "uso collettivo del taxi",
ampliando e diversificando l’offerta complessiva di tali servizi a
vantaggio dell’utenza finale. Sebbene infatti i servizi in questione
presentino caratteristiche prestazionali peculiari che li differenziano
dal servizio di
taxi ordinario, una
più ampia diffusione di entrambi i servizi consentirebbe un ampliamento
delle possibilità di trasporto urbano a prezzi decisamente più
contenuti. In tale contesto, onde favorire lo sviluppo di tali servizi,
si ritiene altresì opportuno evidenziare la necessità di individuare
forme di pubblicizzazione dei servizi di "taxibus" e di "uso collettivo
del
taxi" al fine di agevolare la conoscenza dell’esistenza stessa di tali servizi.

L’Autorità auspica che le considerazioni
svolte in questa segnalazione possano offrire un contributo ai fini di
una maggiore apertura alla concorrenza del servizio di trasporto di
persone mediante
taxi.

IL PRESIDENTE
Giuseppe Tesauro