S.Pellegrino Young Chef 2016 Insieme Al Gruppo Gelati

L’Alta cucina e l’efficienza del Gruppo Gelati

E’ stata assegnata al gruppo Gelati la gestione della sicurezza alimentare della S. Pellegrino Young Chef 2016

unknown-1

Guardiamoli in faccia i 20 finalisti che faranno parte dell’imminente finale che inizierà il 13 ottobre a Milano: dietro l’obbiettivo rimarranno loro, giudicati da sette giurati di spessore; Carlo CraccoMauro Colagreco, David Higgs, Gaggan Anand, Elena Arzak, Wylie Dufresne e Roberta Sudbrack, collaudati ad assaggiare i piatti degli sfidanti, per poi stilare il giudizio che vedrà trionfare il miglior giovane chef del 2016.

S.Pellegrino Young Chef, l’espressione di una sfida che scova e ci presenta i migliori talenti culinari under 30 di tutto il mondo, un successo senza precedenti se si analizzano i dati, (oltre 3600 candidature presentate) nella prima edizione dell’anno scorso, e da lì tutto si rinnova perché anche quest’anno 20 giovani chef, si sfideranno per conquistare l’ambito titolo di S.Pellegrino Young Chef 2016, Milano sarà il palcoscenico del match concentrato in tre vigorosi giorni di sfida, dal 13 al 15 ottobre, giovedì 13 è il turno di Canada, Russia e Paesi Baltici, Africa e Medio Oriente, Nord Est asiatico, Svizzera, Stati uniti, Cina, Regno Unito, Irlanda e Italia: si è conquistato la finale il nostro italiano Alessandro Rapisarda, che nell’occasione propone il suo risotto alla marinara, una ricetta che ha perfezionato in questi mesi seguendo i consigli della sua guida Davide Oldani.

Venerdì 14 sarà il momento di Benelux, Francia, Germania e Austria, Paesi Mediterranei, Scandinavia, Giappone Est Europa, Spagna-Portogallo, Pacifico e America Latina.

La sera di sabato 15 ottobre avverrà l’atteso momento dove i tre super finalisti si sfideranno all’ultima portata.

Il Gruppo Gelati la sicurezza su misura; il servizio di tutti i piani di prevenzione è così gestita in tutta la sua professionalità ed esperienza dall’Ingegner Gelati – che inoltre ha seguito la formazione degli chef internazionali ed il personale che opererà durante la fase finale, con riferimento anche a tutti i protocolli che riguardano le procedure di prevenzione.

E non è tutto, è chiamato in causa nella valutazione di tutte le ricette concorrenti, per garantire la più completa sicurezza alimentare dei piatti somministrati”.

“Per il nostro Gruppo – il commento finale dell’ingegner Gelati – è un grande onore aver ottenuto questo incarico frutto della ventennale esperienza di consulenza ai più prestigiosi ristoranti e alberghi internazionali. Il progetto è un contributo del nostro Gruppo per favorire la crescita professionale delle giovani star della cucina e per far conoscere la creatività italiana nel mondo.

Riteniamo di essere stati selezionati sia per la nostra esperienza di società di consulenza, leader nel settore dell’alimentare in Italia, sia per la capacità di operare con una visione globale e attenta agli sviluppi economici internazionali: il nostro staff di professionisti copre infatti tutto il territorio europeo ed internazionale”.

 

Tags: giovani chef, Gruppo Gelati, chef contest, Sanpellegrino, Young Chef 2016

 

Massimo Gelati

 max-2
Ing. Massimo Gelati, imprenditore e consulente di direzione nel settore alimentare, e’ fondatore e presidente del Gruppo Gelati di Sorbolo (PR), che spazia dalla consulenza strategica per il settore industriale, dove e’ leader nazionale, ai settori alimentare ed immobiliare. Docente universitario e presso imprese nazionali e internazionali, rappresentante della piccola industria (terziario) presso l’Unione Parmense degli Industriali, valutatore internazionale Ifs (International Food Standard). È stato il delegato e socio fondatore della delegazione di Parma Bassa Parmense dell’Accademia italiana della Cucina, ed è docente di una prestigiosa scuola internazionale di cucina italiana. Membro dell’Eccellente Arcisodalizio per la ricerca del culatello supremo, scrittore e pubblicista, ironman di triathlon, ha sviluppato recentemente il progetto Opera®, un Aceto Balsamico di Modena IGP, ottenuto per lenta acetificazione e prolungata maturazione in piccole batterie di vaselli di rovere, acacia, ciliegio, castagno e ginepro che, per le sue caratteristiche uniche ed inimitabili, puo’ definirsi a tutti gli effetti una vera e propria opera d’arte.

 

 

 

 

Edoardo Raspelli: vi spiego come si giudica un ristorante

Incontro oggi in una affollata sala al Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino per un conferenza dal titolo “Informazione Gastronomica e Critica Alberghiera”. Presente come relatore il più celebre critico gastronomico italiano, Edoardo Raspelli, il vice direttore della Stampa Luca Ubaldeschi, il giornalista e amministratore delegato del Centro Congressi dell’unione Industriale di Torino Giancarlo Bonzo, il giornalista della Stampa Rocco Molterni  e il presidente Odg Piemonte Alberto Sinigaglia.

Perché critica alberghiera parlando di Edoardo Raspelli? Perché quando iniziò la sua avventura di critico non esistevano le centinaia di rubriche televisive dedicate ai cuochi, oggi celebrati ed esaltati manco fossero star cinematografiche, tra cui alcune apparizioni  alquanto imbarazzanti. Anzi: non esisteva una cultura della critica gastronomica. Il nostro Raspelli inizia dunque come critico alberghiero.

A ventidue anni  (nel 1971), ci spiega,  viene assunto al Corriere d’Informazione. Il 10 ottobre 1975, su ordine del direttore di allora, Cesare Lanza, dà vita sul quotidiano milanese alle pagine settimanali dedicate ai ristoranti, con la rubrica di stroncature “Il faccino nero”. Questa valse diverse minacce a Raspelli, fino alla consegna di una corona di fiori recante il messaggio «Al nostro caro Edoardo»; Raspelli rispose sull’edizione successiva della rubrica con «Volevo ringraziare chi mi ha mandato la corona di fiori ma anche rassicurarlo: la sua cucina è sicuramente fetente ma non mortale»

Ci racconta di come si occupò di cronaca nera negli anni più cupi del terrorismo (è il primo giornalista ad accorrere sul luogo dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il cui ricordo lo turba ancora). Suoi colleghi sono, fra gli altri, Walter Tobagi, Vittorio Feltri, Ferruccio De Bortoli, Massimo Donelli, Gigi Moncalvo, Gian Antonio Stella, Paolo Mereghetti e Gianni Mura.

Nel 1986 (l’anno di fondazione) e per qualche tempo a seguire è stato responsabile del Gambero Rosso, ai tempi supplemento del quotidiano il manifesto, uno dei dirigenti di Guida d’Italia dell’Espresso e della rubrica “Il Goloso”, pubblicata sul settimanale L’Espresso.

Oggi  invece Edoardo Raspelli conduce ogni domenica mattina su Rete 4 il programma Melaverde, che ora va in onda su Canale 5.

Prosegue il suo racconto affermando che in Italia esistono solo due critici di ristoranti (lui stesso e Valerio Massimo Visintin) e nessun critico vinicolo. Il problema è questo enorme florilegio di rubriche, ma anche blog che si sperticano lodando qua e là lo chef di turno senza mai una critica sul cibo. Lui, Raspelli, ci informa che non racconta mai di cuochi ma solo di cibo e accoglienza. Del resto quando uno sceglie un ristorante (e lui si pone come facevano grandi giornalisti come Enzo Biagi al servizio del lettore), nella maggioranza dei casi non lo sceglie per il cuoco, ma perché intende fare bella figura in una cena di lavoro, per una ricorrenza, perché vuole una serata lieta con i propri bambini che possono così scorrazzare in un ampio giardino, o anche solo per l’accoglienza. Ed è proprio su questo che punta Raspelli criticando alcuni ristoranti: alcuni li boccia perché non sanno comunicare e non rispettano il cliente, che è lì per loro e paga un servizio e non viceversa. Non sanno neppure rispondere al telefono. E veniamo alla classifica:

COME SI GIUDICA, PER RASPELLI, UN RISTORANTE

  1. Si parte dall’approccio nel momento in cui si prenota. Normalmente Raspelli non comunica mai il suo nome, sfrutta l’effetto sorpresa. Si presenta con il nome di un amico che poi avverte e poi piomba nel ristorante dove al limite possono riconoscerlo (purtroppo dice sono un personaggio pubblico). Ma badiamo bene: se un ristorante non è preparato, non può farlo all’ultimo momento. C’è purtroppo una celebre guida molto sopravvalutata i cui ispettori (erano 10 e ora sono solo 7)  si fa annunciare ben prima di presentarsi. Non lo trova corretto.
    Per venire al dunque è già dalla prima telefonata che uno dovrebbe accorgersi che c’è qualcosa che non va.
    Driiin:
    “Mmm! Chi è” (con voce assonnata)
    “Pronto, ristorante Pinco Pallo”?
    “Si perché?”
    … come perché, sono un vostro potenziale cliente!
  2. All’ingresso del ristorante: gli odori, i profumi. Raspelli odia quei ristoranti in cui si sentono effluvi di deodoranti chimici. Ci sono invece luoghi dove il solo profumo si trasforma in una stimolazione di piacere del palato.
  3. Arrivi un quarto d’ora prima dell’apertura del Ristorante e ti senti dire “apriamo tra un quarto d’ora, può attendere?” – e tu rimani all’addiaccio, sotto la pioggia con il freddo ecc. ad aspettare fuori. È intollerabile. Ok, sono in anticipo ma sono tuo ospite: non mi fai entrare e aspettare al caldo all’interno?
  4. Sempre l’accoglienza: “il cappotto? Lo può posare lì”. Ok lo sapevo da solo senza che me lo dicesse. I gesti semplici fanno la differenza soprattutto in presenza di signore.
  5. Raspelli non sopporta i locali che si danno delle arie: che ti fanno capire che sei fortunato a essere stato accolto da loro. Ehi! In fondo sono un tuo cliente, alla fine ti pago, datti una calmata!
  6. E poi viene la critica culinaria vera e propria, che secondo Raspelli è molto soggettiva, certo. Ma l’importante è essere sinceri: quando qualcosa non va bisogna dirlo. Raspelli ha collezionato 20 querele per avere espresso un giudizio, vinte tutte. Il diritto di cronaca è un diritto. Raspelli prende le distanze invece in chi critica attraverso alcuni portali web diffamando. Dire ad esempio: “il cibo faceva schifo e ho vomitato per tre giorni” è un reato. Come puoi sapere se hai vomitato per quello che hai mangiato o perché Hai preso freddo, ingurgitato com un pazzo, ecc. se non hai fatto fare una analisi chimica del tuo vomito? Insomma: un critico è corretto, esprime un giudizio ma non agisce mai per ripicca.
  7. E poi un accenno all’abitudine dei ristoranti di preparare anche una settimana prima i prodotti e poi congelarli per essere pronti all’uso. Secondo Raspelli non è una tragedia: l’importante è che si preservi qualità e sapore. Certo, quando era giovane e si recava con la famiglia al ristorante, gli agnolotti venivano sapientemente preparati dalla cuoca uno a uno pochi minuti prima di essere bolliti, dalla pasta  con cui erano stati preparati la mattina. Non si può pensare a un ritmo simile oggi e dunque ben venga la surgelazione che tra l’altro non è l’unico modo di preservare degli ottimi prodotti.

E qui Raspelli fa una piccola digressione: prendiamo ad esempio la Esselunga (non teme di fare nomi e cognomi): le Zuppe di Zerbinati di Acquiterme. La moglie  di Raspelli le compra proprio al celebre supermercato  che ha da anni ha puntato proprio sulla qualità dei suoi prodotti. Beh, queste zuppe  sono così buone e genuine che non si stupirebbe se qualche ristorante ne facesse  uso. E non  farebbe torto secondo lui. Sono zuppe conservate sotto vuoto, senza conservanti. E Raspelli, come molti italiani, è un maniaco della lettura dell’etichetta. Anche la grande distribuzione ha puntato dunque sulla qualità, pensiamo poi a marchi come Slowfood ed  Eataly.

Insomma oggi gli italiani preferiscono puntare meno sulla quantità e puntare più sulla qualità.  C’è molta più attenzione che in passato sulla qualità del prodotto e sulla propria salute.

Per finire noi del pubblico poniamo una domanda a Raspelli: siamo a Torino: ci può consigliare due ristoranti che recentemente l’hanno colpita e che consiglierebbe, uno “Top” e uno “Pop”?

Tra i Top sicuramente Del Cambio, anche se può migliorare l’accoglienza (ci sono tavoli da serie B per intenderci e questo non piace). Tra i Pop  un locale giovane che è l’Emporio Gastronomico. Una vera rivelazione.

Intervista a Matteo Baronetto: tecnica, estro e classe. La sua cucina un’improvvisazione ragionata

 

BodyPart bar4

La Distilleria Bocchino di Canelli (At) propone il Concorso culinario “Lo Spirito del Tempo”, evento nato in  collaborazione con Passione Gourmet, che ha preso il via lo scorso gennaio 2014. In autunno sarà proclamato il cuoco  vincitore, scelto fra chi avrà saputo osare e esprimere al meglio la versatilità dei famosi distillati, attraverso un’interpretazione attuale di una ricetta storica della tradizione italiana.

Protagonista e vincitore del mese di luglio è il piemontese Matteo Baronetto, Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino, che propone il piatto “ Branzino al vapore e coda di bue brasata”. La sua ricetta ha convinto gli esperti fra i 150 assaggi effettuati: un successo meritato.

Il ristorante Del Cambio, un monumento della storia e ristorazione italiana, è da qualche mese il suo regno. Dopo un’accurata e attenta ristrutturazione e riqualificazione, questo luogo magico ha riaperto: una sfida per lo Chef, che è stato per molti anni il braccio destro di Carlo Cracco. Ne esce un’immagine precisa di una cucina intrigante, riconoscibile a prova di un talento libero di esprimersi.

Lo Chef in questo piatto propone la sua cucina, di forte personalità, sicura, concreta, di ricerca continua, composta da pochi ingredienti, che coinvolge, sollecita l’immaginario e la memoria dell’interlocutore su vari livelli, dove l’incontro tra mare e terra trovano il loro punto di equilibrio.

Matteo Baronetto, classe 1977, nato a Giaveno, un paese vicino a Torino, studia all’Alberghiero di Pinerolo, matura esperienze professionali presso La Betulla a San Bernardino di Trana (To). Successivamente approda dal Maestro Gualtiero Marchesi presso L’Albereta, dove ha modo di conoscere Carlo Cracco. Lo seguirà alle Clivie di Piobesi  d’Alba e al Cracco-Peck di Milano, successivamente Ristorante Cracco. Dall’aprile 2014 è Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino.

Ci troviamo seduti  nel più elegante ristorante, della città più elegante d’Italia, precisamente nel “Bar Cavour” avvolti in un’atmosfera magica. In questa intervista ci accompagna con lo sguardo, da un suo conosciutissimo ritratto, un grande habitué del Cambio, famoso registra dell’Unità d’Italia.

A soli 17 anni lei scrisse un paio di lettere a Carlo Cracco, dove gli domandava di poter lavorare con lui all’Albereta, allora gestita dal Maestro Gualtiero Marchesi. Lo stesso Cracco ricorda questo episodio nell’introduzione del suo conosciutissimo libro “ Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”. Aggiungendo che fu molto colpito dalla sua determinazione e decise di accettare la sua candidatura.  

Che ricordi, motivazioni ed emozioni l’hanno spinta così giovane a scrivere proprio a questo chef?

A Carlo Cracco mi lega un affetto sincero. Ai tempi, un mio professore della scuola alberghiera, che conosceva un sommelier che lavorava da Gualtiero Marchesi, mi chiese se alla fine della scuola volevo andare a fare esperienza all’Albereta, io accettai e fu il mio tramite. Inoltre proprio in quel momento Carlo Cracco, chef all’Albereta, cercava una persona alle prime armi per la sua brigata: disponibile, volenterosa, che non si tirasse indietro. Furono proprio queste le caratteristiche che seppe apprezzare in me. Iniziò tutto così. La cosa più bella e magica, è che non mi rendevo conto di dove stato andando, non sapevo cosa significasse una cucina con 20 cuochi e fino ad allora non conoscevo la fama del Maestro Marchesi.

Lei è stato eletto vincitore per il mese di luglio del Concorso “Lo spirito del Tempo” by Distilleria Bocchino, col piatto “Branzino al vapore e coda di bue brasata”, che propone consistenze, cotture di elementi distanti, ma che inaspettatamente danno vita a un bilanciamento di gusto sorprendente. Da dove prende corpo l’idea di rivisitare questo piatto e quali sono gli equilibri che modellano i sapori?

Proprio in questa creazione è racchiuso un passaggio che sto cercando di compiere; l’esatto passaggio di Baronetto da Cracco a Milano, a Baronetto al Cambio a Torino. In questo piatto definito da Alberto Cauzzi, ideatore e presidente del progetto Passione Gourmet, geniale, irriverente, terribilmente buono, ogni elemento fa “a pugni” con l’altro. Partendo dal piatto tradizionale, la coda di bue classica, il branzino diventa la sua degna consistenza e lascia percepire tutta la sua delicatezza. Nella mia visone di cucina apprezzo molto, un piatto che abbia solamente due passaggi, che non confonda, che faccia riflettere e non sia troppo bello esteticamente.

Definisco la mia cucina “un’improvvisazione ragionata”: l’improvvisazione è il momento, l’attimo, l’approccio con un’idea nuova, il termine ragionata indica il modo, la possibilità di poterla proporre. Coniglio e salmone ad esempio, sono un abbinamento che sconvolge gli equilibri, una rottura con gli schemi e un’evocazione di un prodotto, come il salmone, che è stato bistrattato negli ultimi 25 anni.  Il primo piatto che ho ideato con l’abbinamento carne e pesce, fu nel 2002, il rognone di vitello con i ricci di mare. In natura esistono prodotti, che anche se di categorie diverse, hanno delle affinità. In questo caso la ferrosità del rognone, la sua nota aromatica si lega molto bene col salmastro e la sapidità del riccio.

Creativo, attento, talentuoso, posato, non ha bisogno di “fare rumore” per far notare la sua bravura a chi se ne intende. Milano per Torino, un ritorno alle origini, un cambiamento importante al ristorante Del Cambio. 

Ci racconta le sue impressioni dopo alcuni mesi dall’apertura?

In seconda superiore avevo già fatto uno stage al Cambio, quello che io considero uno dei ristoranti simbolo di Torino. In questo ristorante sento una percezione di libertà. Carlo Cracco mi aveva dato in mano la cucina del suo ristorante con una fiducia incondizionata, una rarità in questo ambiente. Quando è entrato in un mondo che non era più mio, dove c’era una concezione diversa delle cose, mi sono reso conto, in un modo molto umile, che non ero più adatto a seguirlo.

Un ristorante di successo ha al suo interno, in cucina, una brigata che deve funzionare all’unisono, come un’orchestra.

Quali sono gli elementi che le fanno capire e scegliere i suoi collaboratori?

Non sono io che scelgo le persone, ma sono le persone che scelgono me, che decidono di rimanere. Per chi vuole lavorare nella mia cucina, impegno e dedizione sono fondamentali.  Non meno importanti il rispetto delle persone e delle regole. Apprezzo le persone che hanno la voglia e la volontà di seguirti nello sviluppare un lavoro, nel decodificarlo, quando si sviluppano pensieri che non sai dove ti porteranno.

In un’intervista al ristorante Del Cambio, prima dell’apertura ufficiale, lei ha espresso la sua volontà di sostenere un principio culinario tradizionale piemontese, rielaborando il suo attuale metodo. Torino come ha accolto la sua proposta?

Sono molto contento dei risultati. A Torino c’era la necessità di ritrovare un luogo dove poter mangiare in modo diverso e in tutta onestà non pensavo di poterlo fare in 5 mesi.  Non ho ancora vinto la mia partita, con i Piemontesi e Torinesi, ma devo dire che c’è stato un senso di affetto e rispetto molto caldo nei miei confronti. Mi sono sentito accettato e riconosciuto come un piemontese che torna in patria, dopo aver lavorato quattordici anni a Milano. A mio favore devo dire che mi sono rivolto a loro con umiltà, non era mia intenzione fare quello che dice “adesso vi faccio vedere io”.  Ho cercato solo, e questo è il mio pensiero, di varare la nave. Nel varo di una nave da crociera, come questo, bisogna essere sensibili, ma anche riflessivi. Un grande pilota, un comandante, non può non essere riflessivo.

Matteo Baronetto è stato protagonista di una trascinante testimonianza: lo ringraziamo per averci accolto in un luogo affascinante e intriso di storia.

 

 

Gustus et Vinum: cena stellata e vini Le Marie al G Ristorante Italiano

Il G Ristorante Italiano del Golden Palace di Torino presenta un appuntamento unico e imperdibile: una cena all’insegna delle eccellenze eno-gastronomiche.

Ogni Mercoledì l’appuntamento al Golden Palace si chiama Gustus et Vinum:

Selezione di tre portate studiate dallo chef stellato Diego Rigotti accompagnate dalla migliore selezione vitivinicole del territorio servite al G Ristorante Italiano. 

 

Mercoledì 24 Settembre, dalle ore 20.00, il proprietario della prestigiosa AZIENDA AGRICOLA LE MARIE presenterà i vini e vi accompagnerà alla scoperta di sapori, aromi e profumi della nuova stagione.

Ogni piatto sarà preparato dello Chef stellato Diego Rigotti.

MENU 

Amuse bouche 

Salmone selvaggio in crosta di pastafilo

crema di melanzane,

ricotta e pomodoro

confit

Risotto alla barbabietola rossa e fonduta di toma piemontese acida

Cubo di cotoletta alla milanese con purea di sedano rapa e spinaci croccanti

Mimosa

I VINI 

Aperitivo – Blanc De Lissart
Malvasia Secca

Antipasto – Sant’ Agostino Arneis

1° portata – Debarge – Nebbiolo

2° portata – Colombe – Barbera Riserva

 

 

Intervista a Giovanni Ciresa: nuovo coordinatore didattico ALMA

Tra i talenti più celebri del panorama culinario figura Giovanni Ciresa. Classe 1967, chef straordinario, firma pietanze ricche di alto simbolismo culinario.
Ha iniziato la propria carriera creativa a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, una realtà di riferimento che rimane alla base della sue opere culinarie, dal 1991 al 1995, applica doti e impegno.
Il talento, la volontà di dimostrare le sue idee, lo spingono verso mete lontane: Tokyo, Singapore, una resa culinaria al ristorante Bologna, di cui la Marina Mandarin detiene la paternità.
La ricercata Saint Tropez a La Pinéde, le Cote d’Or di Saulieu, un registro che non lascia dubbi, il suo impegno è passato attraverso luoghi prestigiosi dal punto di vista culiario, come  la Terrazza dell’Hotel Eden, a Roma. Un percorso, il suo, nel quale si intrecciano esperienze e abilità che immortalano attitudini, patrimoni che recitano un suo vissuto ineguagliabile.
 
Il De Pisis, nella sfavillante Venezia, sul Canal Grande, rappresenta gli anni trascorsi nel pieno della sua comunicazione: un linguaggio culinario che lo vede protagonista in un tempo sospeso tra il 2002 e il al 2012,  ma inebriante per la sua eccezionale completezza formale. Scelte precise gli suggeriscono di non fermarsi agli schemi tradizionali tipici dello chef. Veste una figura che lo rende eclettico. Le sue consulenze lo rendono un docente di rara influenza: teorie, produzioni, dottrine. Nel suo bagaglio trionfano le più autorevoli esperienze in materia food. Numerose le attività, come  intraprendere nel mese di giugno 2014, il timone di coordinatore didattico Alma (la celebre scuola Internazionale della cucina Italiana), a Colorno, Parma.
Nel suo criterio di cucina, tutto parte dall’incontro con la sperimentazione, sofisticato, perfezionista, la sua tecnica esterna l’integralismo,  ossia non compromette il valore genuino della materia prima. Il cibo è come la sensualità, a volte è difficile trovare una sinergia perfetta, soprattutto se gli elementi e le culture d’origine miscelati, sono diverse. In sintesi lei ha creato un ponte con due culture, nel suo caso: l’Asia e l’Italia. È forse questa la filosofia culinaria del futuro?
 
Se guardiamo al giorno d’oggi l’influenza orientale incontra tanti abbinamenti e condivisioni, del ruolo del cibo in cucina. L’Italia è un paese con una memoria della storia gastronomica immensa.  In rapporto con le altre culture, in questo caso si parla dell’Asia, è riuscita a creare una combinazione calibrata, dunque la capacità di riconoscerla familiare. E al tal proposito una caratteristica in più per aggiudicarsi il titolo di cucina del futuro.
Lei ha saputo costruirsi una carriera di tutto rispetto e oggi è stato chiamato a ricoprire la carica di Coordinatore Didattico Alma. Il titolo e gli obbiettivi esprimono una condivisione diversa nel trasmettere la sua identità in cucina. Sarò più chiara: deve convincere, o meglio educare i possibili potenziali chef del futuro. Una bella responsabilità? 
Durante il primo approccio che ho avuto con i miei allievi ho affrontato l’argomento che diventa storia nella vita di uno chef: la carriera, la sua costruzione nel tempo, l’esperienza si accumulano, si espandono. Questo ci permette di avere nuove fonti d’ispirazione, segnali creativi. C’è sempre un futuro da conquistare. Trasmettere, comunicare questo messaggio, riflette il mio spirito: nulla è infinito, non esiste il posto perfetto. La differenza sta nell’occasione di scoprirsi migliore, migliore di ieri.
 
Sono molto curiosa di sentire in che maniera metterebbe d’accordo tre palati dai gusti differenti. Chiamiamo in causa tre etnie lontane: russi, arabi e francesi. La sfida è un piatto unico che arriva al cuore dei loro sapori. Non voglio metterla in difficoltà, ma lei è considerato “l’apertura mentale in cucina”.
 
Questa domanda mi ha colpito. L’ispirazione di una pietanza che abbia un mezzo unico di creare unione è sempre difficile da mettere in atto. A maggior ragione se questi sono i presupposti. I popoli chiamati in causa evocano una memoria che si chiama cartoccio di bigoli fatti al torchio, con essenza di curry caffè e crostacei: una sorta d’ingredienti che testimoniano apertura mentale, pronta ad entrare nei gusti di diverse tradizioni. Un piatto che è stato un cavallo di battaglia incisivo.
Lei ha dichiarato che l’esperienza più formate l’ha vissuta a Firenze, all’Enoteca Pinchiorri. Tuttavia sviluppa le sue abilità nei più considerevoli ristoranti stranieri. In che misura influisce oggi il significato della tradizione del Bel Paese nei suoi piatti, considerando che la sue tecniche spezzano alcuni princìpi, sopprimono l’utilizzo di alcune cotture e sintetizzano al minimo la presenza dei grassi? La domanda è: privilegia proporzioni dei sapori nella creazione di nuovi accostamenti?
Il rispetto del prodotto, la scarsa elaborazione degli elementi, la corretta prassi della pulizia delle verdure, tale da non disperdere poi il loro valore, fa riferimento a quello che riassume i concetti fondamentali in cucina. In Italia, così come in qualsiasi cucina che si rispetti al mondo. Sulla creazione e il rispetto dei sapori, nutro una tendenza che assicura il rispetto di entrambe le tecniche.
Come è iniziato il rapporto con Alma? Una posizione lungimirante la sua. Le scelte professionali sono la sostanza di ogni grande successo. Ce ne parli.
È incominciato tutto in modo molto naturale.. Ho collaborato con Alma dal 2003, in veste di docente esterno: un impegno ed una responsabilità portati avanti negli anni. A partire dal 2013 ho lavorato poi in tutti i corsi internazionali, che andavano dall’Asia, India, Cina e Malesia. Sorprendente, inaspettato, ora è molto importante il presente, il domani e il suo futuro. Questo lo affermo da nuovo coordinatore didattico Alma.
La disinvoltura riscontrata nel corso di una lunga chiaccherata con Giovanni Ciresa non l’avvertivo da tempo. Concetti forti, che hanno il simbolo di chi sa concludere in bellezza. E allora mi verrebbe da dire: “il nostro passato è il miglior modo per presentarci al futuro”.
Detto questo a voi le conclusioni.
Isabella Scuderi

Gustum et Vinum: l’aperitivo “stellato” al G Ristorante Italiano

G Ristorante italiano, ristorante del Golden Palace all’interno del Gruppo HCS, leader in Italia della ristorazione 5 stelle con a capo il Presidente Carlo Samuelli e l’Executive Chef Diego Rigotti, lo Chef stellato più giovane d’Italia, propone a partire dal mese di settembre  Gustus et Vinum

Leggi tutto “Gustum et Vinum: l’aperitivo “stellato” al G Ristorante Italiano”

Intervista a Philippe Léveillé: la “cucina perfetta”

leveillePhilippe Léveillé : autenticità e cultura, la sua arte in cucina diventa una mostra gourmet, che raccoglie molteplici testimonianze lungo il percorso di un grande recordman . La sua fama e il suo bagaglio di conoscenza sono uniti e inseparabili: un punto gastronomico che coniuga  l’abilità a un carattere vincente.

Ecco, allora, come si comprende l’importanza di essere “Chef”, contrariamente all’abuso di questo titolo, e del grande talento che ne accompagna il termine.

Si parla di esordi. Anni che consacrano e forgiano l’avvenire di giovani promesse. L’Hotel Windsor Clovis, a Parigi” è stato l’arena di ore, giorni, mesi di educazione e costruzione della personalità del giovane Léveillé. Il principio di un vocabolario appena nato, il suo. Helton Kennedy Hotel, a New York, ristorante Boucairre Meridiane, a Martinica, Hotel Vis Palace Grand Corniche, a Cap Martin Montecarlo. Indice di lustro.

L’Italia arriva nella metà degli anni ’80: le Maschere di Iseo primo approdo, dal 87 al 91, dimostrando le sue origini Bretone in materia cucina, ma in comunione col metodo Italiano. Miramonti L’altro, nel Bresciano, rivendica la sua presenza da più di 20 anni ad oggi. È proprio l’incontro con la famiglia Piscini nel 92 che l’ha incoronato il reale chef del prestigioso ristorante.
Philippe Léveillé  è probabilmente lo chef più singolare che abbiamo incontrato, ma è soprattutto il suo modo di interpretare la cucina, che incanta e stupisce. Lo incontriamo al Miramonti L’altro, ci accomodiamo e, semplicemente, comincia una spontanea conversazione.

Philippe Léveillé ci spieghi, quando le dicono che è un francese “molto” italiano, come lo percepisce?

Sono orgoglioso ed è un dato di fatto, ho del resto vissuto più in Italia che in Francia.

Qual è il concetto vincente della sua filosofia in cucina?

Ritengo innanzitutto che il concetto vincente della cucina sia “il buono”. Nel mio caso cerco di trasmettere nei miei piatti quello che nel mio viaggio di vita ho assimilato: in primis la tecnica francese e poi la materia prima italiana.


In questo mondo dipendiamo sempre più dai giudizi altrui. Non trova possa diventare sconveniente tutta questa esposizione mediatica a cui gli chef si sottopongono. Qual è secondo lei, il prezzo che si paga per questo genere di notorietà?

Bisogna semplicemente imparare a distinguere la critica costruttiva, che a volte può aiutare, dalla denigrazione del proprio lavoro fine a se stessa.

Hong kong è la tappa dell’altro Miramonti, di cui lei ne detiene la regia, Antimo Maria Merone è il suo interprete. Necessità e strategie. Quali sono le differenze fra l’Italia e il mercato straniero?

Non ci sono strategie particolari, il fondamento primo in Italia come ad Hong Kong è la soddisfazione del cliente. La necessità prima è invece riuscire a trasmettere il concetto di collaborazione in brigata, cosa non semplice nella mentalità asiatica (per conoscenza diretta). Da ottobre lo chef responsabile della mia cucina a L’Altro sarà Mauro Zacchetti che sostituirà Antimo Merone al quale auguro una sfolgorante carriera

Lungo il corso della sua carriera qual è l’effetto più desiderato della sua professione, quello per cui prova più soddisfazione?


Sono orgoglioso di aver ottenuto un certo successo professionale che mi ha ripagato di tutto l’impegno messo nel mio lavoro, di essere spesso riuscito a trasmettere ai miei ragazzi la passione per questo lavoro.


È difficile riuscire a fare più volte qualcosa di totalmente singolare, riferendoci alla creazione di grandi piatti, quando si è ai vertici della propria espressione. Mi spiego, paragoniamo il campione col massimo dei risultati, esiste una fase di stallo per voi chef?

È possibile… Siamo umani, molti difetti e qualche pregio.


Un profilo culinario quello di Léiveillé, che mostra una storia fatta di protagonismo in cucina, ambizioni e risultati eccelsi.
Narraverlo è stato intrigante.