Edoardo Raspelli: vi spiego come si giudica un ristorante

Edoardo Raspelli Claudio Pasqua

Incontro oggi in una affollata sala al Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino per un conferenza dal titolo “Informazione Gastronomica e Critica Alberghiera”. Presente come relatore il più celebre critico gastronomico italiano, Edoardo Raspelli, il vice direttore della Stampa Luca Ubaldeschi, il giornalista e amministratore delegato del Centro Congressi dell’unione Industriale di Torino Giancarlo Bonzo, il giornalista della Stampa Rocco Molterni  e il presidente Odg Piemonte Alberto Sinigaglia.

Perché critica alberghiera parlando di Edoardo Raspelli? Perché quando iniziò la sua avventura di critico non esistevano le centinaia di rubriche televisive dedicate ai cuochi, oggi celebrati ed esaltati manco fossero star cinematografiche, tra cui alcune apparizioni  alquanto imbarazzanti. Anzi: non esisteva una cultura della critica gastronomica. Il nostro Raspelli inizia dunque come critico alberghiero.

A ventidue anni  (nel 1971), ci spiega,  viene assunto al Corriere d’Informazione. Il 10 ottobre 1975, su ordine del direttore di allora, Cesare Lanza, dà vita sul quotidiano milanese alle pagine settimanali dedicate ai ristoranti, con la rubrica di stroncature “Il faccino nero”. Questa valse diverse minacce a Raspelli, fino alla consegna di una corona di fiori recante il messaggio «Al nostro caro Edoardo»; Raspelli rispose sull’edizione successiva della rubrica con «Volevo ringraziare chi mi ha mandato la corona di fiori ma anche rassicurarlo: la sua cucina è sicuramente fetente ma non mortale»

Ci racconta di come si occupò di cronaca nera negli anni più cupi del terrorismo (è il primo giornalista ad accorrere sul luogo dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il cui ricordo lo turba ancora). Suoi colleghi sono, fra gli altri, Walter Tobagi, Vittorio Feltri, Ferruccio De Bortoli, Massimo Donelli, Gigi Moncalvo, Gian Antonio Stella, Paolo Mereghetti e Gianni Mura.

Nel 1986 (l’anno di fondazione) e per qualche tempo a seguire è stato responsabile del Gambero Rosso, ai tempi supplemento del quotidiano il manifesto, uno dei dirigenti di Guida d’Italia dell’Espresso e della rubrica “Il Goloso”, pubblicata sul settimanale L’Espresso.

Oggi  invece Edoardo Raspelli conduce ogni domenica mattina su Rete 4 il programma Melaverde, che ora va in onda su Canale 5.

Prosegue il suo racconto affermando che in Italia esistono solo due critici di ristoranti (lui stesso e Valerio Massimo Visintin) e nessun critico vinicolo. Il problema è questo enorme florilegio di rubriche, ma anche blog che si sperticano lodando qua e là lo chef di turno senza mai una critica sul cibo. Lui, Raspelli, ci informa che non racconta mai di cuochi ma solo di cibo e accoglienza. Del resto quando uno sceglie un ristorante (e lui si pone come facevano grandi giornalisti come Enzo Biagi al servizio del lettore), nella maggioranza dei casi non lo sceglie per il cuoco, ma perché intende fare bella figura in una cena di lavoro, per una ricorrenza, perché vuole una serata lieta con i propri bambini che possono così scorrazzare in un ampio giardino, o anche solo per l’accoglienza. Ed è proprio su questo che punta Raspelli criticando alcuni ristoranti: alcuni li boccia perché non sanno comunicare e non rispettano il cliente, che è lì per loro e paga un servizio e non viceversa. Non sanno neppure rispondere al telefono. E veniamo alla classifica:

COME SI GIUDICA, PER RASPELLI, UN RISTORANTE

  1. Si parte dall’approccio nel momento in cui si prenota. Normalmente Raspelli non comunica mai il suo nome, sfrutta l’effetto sorpresa. Si presenta con il nome di un amico che poi avverte e poi piomba nel ristorante dove al limite possono riconoscerlo (purtroppo dice sono un personaggio pubblico). Ma badiamo bene: se un ristorante non è preparato, non può farlo all’ultimo momento. C’è purtroppo una celebre guida molto sopravvalutata i cui ispettori (erano 10 e ora sono solo 7)  si fa annunciare ben prima di presentarsi. Non lo trova corretto.
    Per venire al dunque è già dalla prima telefonata che uno dovrebbe accorgersi che c’è qualcosa che non va.
    Driiin:
    “Mmm! Chi è” (con voce assonnata)
    “Pronto, ristorante Pinco Pallo”?
    “Si perché?”
    … come perché, sono un vostro potenziale cliente!
  2. All’ingresso del ristorante: gli odori, i profumi. Raspelli odia quei ristoranti in cui si sentono effluvi di deodoranti chimici. Ci sono invece luoghi dove il solo profumo si trasforma in una stimolazione di piacere del palato.
  3. Arrivi un quarto d’ora prima dell’apertura del Ristorante e ti senti dire “apriamo tra un quarto d’ora, può attendere?” – e tu rimani all’addiaccio, sotto la pioggia con il freddo ecc. ad aspettare fuori. È intollerabile. Ok, sono in anticipo ma sono tuo ospite: non mi fai entrare e aspettare al caldo all’interno?
  4. Sempre l’accoglienza: “il cappotto? Lo può posare lì”. Ok lo sapevo da solo senza che me lo dicesse. I gesti semplici fanno la differenza soprattutto in presenza di signore.
  5. Raspelli non sopporta i locali che si danno delle arie: che ti fanno capire che sei fortunato a essere stato accolto da loro. Ehi! In fondo sono un tuo cliente, alla fine ti pago, datti una calmata!
  6. E poi viene la critica culinaria vera e propria, che secondo Raspelli è molto soggettiva, certo. Ma l’importante è essere sinceri: quando qualcosa non va bisogna dirlo. Raspelli ha collezionato 20 querele per avere espresso un giudizio, vinte tutte. Il diritto di cronaca è un diritto. Raspelli prende le distanze invece in chi critica attraverso alcuni portali web diffamando. Dire ad esempio: “il cibo faceva schifo e ho vomitato per tre giorni” è un reato. Come puoi sapere se hai vomitato per quello che hai mangiato o perché Hai preso freddo, ingurgitato com un pazzo, ecc. se non hai fatto fare una analisi chimica del tuo vomito? Insomma: un critico è corretto, esprime un giudizio ma non agisce mai per ripicca.
  7. E poi un accenno all’abitudine dei ristoranti di preparare anche una settimana prima i prodotti e poi congelarli per essere pronti all’uso. Secondo Raspelli non è una tragedia: l’importante è che si preservi qualità e sapore. Certo, quando era giovane e si recava con la famiglia al ristorante, gli agnolotti venivano sapientemente preparati dalla cuoca uno a uno pochi minuti prima di essere bolliti, dalla pasta  con cui erano stati preparati la mattina. Non si può pensare a un ritmo simile oggi e dunque ben venga la surgelazione che tra l’altro non è l’unico modo di preservare degli ottimi prodotti.

E qui Raspelli fa una piccola digressione: prendiamo ad esempio la Esselunga (non teme di fare nomi e cognomi): le Zuppe di Zerbinati di Acquiterme. La moglie  di Raspelli le compra proprio al celebre supermercato  che ha da anni ha puntato proprio sulla qualità dei suoi prodotti. Beh, queste zuppe  sono così buone e genuine che non si stupirebbe se qualche ristorante ne facesse  uso. E non  farebbe torto secondo lui. Sono zuppe conservate sotto vuoto, senza conservanti. E Raspelli, come molti italiani, è un maniaco della lettura dell’etichetta. Anche la grande distribuzione ha puntato dunque sulla qualità, pensiamo poi a marchi come Slowfood ed  Eataly.

Insomma oggi gli italiani preferiscono puntare meno sulla quantità e puntare più sulla qualità.  C’è molta più attenzione che in passato sulla qualità del prodotto e sulla propria salute.

Per finire noi del pubblico poniamo una domanda a Raspelli: siamo a Torino: ci può consigliare due ristoranti che recentemente l’hanno colpita e che consiglierebbe, uno “Top” e uno “Pop”?

Tra i Top sicuramente Del Cambio, anche se può migliorare l’accoglienza (ci sono tavoli da serie B per intenderci e questo non piace). Tra i Pop  un locale giovane che è l’Emporio Gastronomico. Una vera rivelazione.