La Provincia di Torino a sostegno delle aziende creditrici in crisi

Uno schiaffo alla crisi ed un’immissione immediata di liquidità nel sistema economico per 50 milioni di Euro: questa in sintesi l’operazione varata  dalla Giunta Provinciale, che prevede la cessione del credito che le piccole e grandi imprese che hanno lavorato e lavorano per la Provincia di Torino vantano nei confronti dell’Ente. “Si tratta di crediti che non possiamo pagare per rispettare i vincoli del patto di stabilità – ha spiegato stamani ai giornalisti il Presidente Saitta, che ha illustrato la Delibera in approvazione insieme a tutta la Giunta Provinciale – Consapevoli del fatto che le imprese hanno pienamente diritto a ricevere la liquidazione di quanto spetta loro, abbiamo studiato una modalità per intervenire in loro aiuto e, nello stesso tempo, per continuare a fare investimenti pubblici anche nel 2011 senza sforare il Patto”.

In sostanza, le imprese che vantano crediti verso la Provincia di Torino che superano i 40.000 Euro potranno rivolgersi alle banche e agli intermediari finanziari che avranno sottoscritto una convenzione con l’amministrazione provinciale. La Provincia si farà garante della cessione del credito “pro soluto”, grazie alla quale le imprese creditrici potranno ottenere dalle banche un’anticipazione dei pagamenti, pagando un tasso di interesse agevolato. “Stiamo contattando gli istituti di credito e gli intermediatori per stipulare con loro le convenzioni. – ha spiegato il Presidente Saitta – La Provincia garantirà i prestiti agevolati alle imprese che, per ottenerli, potranno rivolgersi agli istituti e agli intermediari di loro fiducia presentando la documentazione relativa ai crediti certi, liquidi ed esigibili. Riusciremo così a sbloccare lavori per opere pubbliche importanti, come la circonvallazione Borgaro-Venaria, ma anche a garantire la prosecuzione dei 50 cantieri di edilizia scolastica attualmente in corso per importi considerevoli. Miglioreremo il rapporto tra la nostra amministrazione e le imprese appaltatrici: un rapporto che spesso rischia di entrare in crisi a causa dell’obbligo per noi di rispettare il Patto di Stabilità”.

Le convenzioni che saranno stipulate con le banche e gli intermediari finanziari avranno la durata di un anno. Non appena i fondi saranno sbloccati, la Provincia erogherà direttamente ai soggetti convenzionati i pagamenti dovuti alle imprese e da essi anticipati.

Salvare il salvabile per il caso Agile ex Eutelia

Il documento presentato dai lavoratori di Agile all’audizione in Comune di Torino
Per approfondimenti: il sito Eulav.net e il Dossier Agile, un caso di imprenditoria all’italiana

Nel dossier che abbiamo consegnato alla segreteria della Commissione c’è tutta la storia di Agile, un storia che viene da lontano, una storia di persone ex Olivetti, ex Getronics, ex Bull, ex Eunics, ex Noicom, ex Edisontel, ex Eutelia…. Storie differenti che stanno approdando tutte alla stessa drammatica conclusione…

Una storia di persone, che con il loro lavoro, con la loro professionalità, ha contribuito allo sviluppo del nostro Paese, facendo ‘crescere’ Istituti Bancari, piccole e grandi Imprese, Uffici Pubblici e Privati, Enti Locali e Governo Centrale. E’, però, una storia già vista, una storia che si ripete troppo spesso….

Il 20 Dicembre 2003, la ICS cede i lavoratori e gli asset produttivi alla OLIIT di Luigi Luppi….Dopo solo tre mesi Luppi comincia a non pagare più gli stipendi (da Marzo a Giugno), il 2 Luglio la cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale dà un minimo di reddito ai lavoratori.

Il 16 Giugno 2009, Eutelia cede i lavoratori e gli asset del ramo IT (confluiti in una società del gruppo chiamata Agile Srl), ad un gruppo chiamato Omega SpA. Dopo solo due mesi, Agile comincia a non pagare più gli stipendi…..

Quante,… forse troppe analogie con i ‘fratelli’ della ICS di Scarmagno (anche loro ex Olivetti, come molti di noi). Oggi siamo tutti in Agile, una società del gruppo Omega.

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Le piccole guidano l'innovazione

Stefano Manzocchi sul Sole 24 ore

Industria in Italia significa piccola impresa: prima della crisi, erano attive circa mezzo milione di piccole aziende industriali, che impiegavano 3,5 milioni di addetti, i tre quarti dell’occupazione manifatturiera. Le piccole imprese rappresentano il 50% delle imprese esportatrici (in termini di unità attive) e gli addetti all’estero delle piccole aziende sono passati dal 4 al 9% del totale dell’industria nel decennio prima della crisi.

La retorica dell’internazionalizzazione – perseguita da molte piccole in passato – è stato un abbaglio, alla luce della crisi? L’internazionalizzazione ha comportato investimenti e un impegno finanziario che hanno molto esposto le nostre piccole imprese manifatturiere alla recessione, tenuto conto anche dell’intermittente sostegno del sistema bancario italiano. Ma la scelta d’internazionalizzarsi ha portato anche indubbi benefici, in termini di proiezione verso i mercati più promettenti, e di diversificazione e riduzione del rischio. In particolare, sia per i beni intermedi e d’investimento sia per i beni di consumo, dal 1998 al 2008 il peso relativo dei mercati emergenti per l’export italiano è cresciuto di oltre il 50 per cento. Questa tendenza si rispecchia in una progressiva diversificazione dei nostri mercati di sbocco. Internazionalizzarsi non è stato solo sensato in termini di diversificazione, ma anche obbligato per un’economia a bassa crescita della domanda come la nostra, e parte di un continente europeo anch’esso caratterizzato da dinamiche modeste della domanda.

Nonostante le difficoltà di questa fase, la piccola impresa industriale italiana è sovente ottimista per il medio periodo, come dimostrano le elaborazioni delle associazioni di categoria: la crisi potrà rallentare ma comunque non arrestare le grandi trasformazioni in corso nei paesi emergenti, dove segmenti significativi di popolazione sono in procinto di affrontare importanti cambiamenti di struttura produttiva, di status economico e di stili di consumo. Anche la spinta decisa delle politiche macroeconomiche negli Stati Uniti potrà gradualmente alimentare investimenti e consumi nelle Americhe.

SMAU, parola d'ordine innovazione

Via Punto informatico

“Siamo messi male”. La slide di apertura del convegno inaugurale di Smau 2009 non fa sconti all’evidenza: l’ICT in Italia vive uno dei suoi momenti più critici. Lo sappiamo tutti, certo. Ma l’effetto che fa – al cospetto di un pubblico addetto ai lavori – è, se possibile, ancor più deprimente. Il gelo in sala dura un attimo. Come prevedibile, si annuncia a gran voce che “la cura c’è”.

A far tornare il sorriso è Pierantonio Macola, amministratore delegato Smau: “Ci sono tante aziende in Italia immuni da questo virus” dice, commentando lo scarso investimento in tecnologie informatiche da parte delle imprese italiane, da lui stesso sottolineato in apertura. Già, ma qual è la cura? Su questo – con diverse sfumature e modalità – concordano tutti i relatori: innovazione, innovazione e ancora innovazione. “In tutti i casi di studio che abbiamo analizzato – afferma Macola – le imprese innovative che hanno saputo fronteggiare la crisi ICT erano accomunate da due elementi fondamentali”: vale a dire il vertice aziendale credeva e crede fortemente nell’innovazione, e nell’organizzazione gerarchica dell’azienda era ed è sempre presente un soggetto innovatore.

Macola non è il solo a vedere il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto: “Siamo indietro è vero, ma non su tutto!” conferma Andrea Rangone, coordinatore degli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano. Pur sciorinando una serie di dati e circostanze negative (bassa incidenza, appena il 2 per cento, della spesa IT sul PIL, scarsa crescita della produttività del lavoro, umiliante 22simo posto nell’indice europeo della capacità di innovare, scarsa penetrazione Internet e della banda larga rispetto alla media europea, affermazione insufficiente dell’ecommerce B2C e dell’advertising), Rangone ha fatto notare che ci sono alcuni segnali incoraggianti da altri settori dell’ICT.

Sciopero della fame contro le banche

Massimiliano Beggio su Lastampa.it

Citano Marx. Chiamano i dipendenti «collaboratori». Finché hanno potuto resistere, non hanno licenziato. E quando si sono dovuti arrendere ai conti in rosso, hanno aiutato i loro lavoratori a trovare una nuova collocazione.

La crisi economica plasma le coscienze e cambia le carte in tavola. Addio lotta di classe, qui è guerra totale. Strani davvero questi quattro imprenditori rinchiusi nell’ufficio di un capannone alle porte di Piobesi Torinese, da ieri in sciopero della fame. «Un tempo si chiamava rischio d’impresa. Oggi è suicidio d’impresa» dice Patrizia Guglielmotto, unica donna del gruppo, al momento. Gli altri sono Aldo Molaro e Fausto Grosso. Ma l’ideatore dell’iniziativa è un vulcanico industriale metalmeccanico: Ezio Raselli. «Nei prossimi giorni – dice – saremo in tanti, perché qui bisogna fare qualcosa. La maggior parte delle aziende è in ginocchio. E cosa fanno le istituzioni? Solo parole. Dicono: faremo, daremo, vedremo. Ma non cambia nulla».

Si apprestano a passare la prima notte. I telefoni squillano, il tam tam si diffonde: giornali, tv, agenzie. Arrivano i delegati di associazioni, i sostenitori di categoria. La lotta è iniziata e non si torna indietro. «Avanti ad oltranza».

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Uno sguardo sulla crisi: intervista a Tommaso Padoa-Schioppa

padoa_schioppaTorino Internazionale organizza un intervista pubblica del direttore della «Stampa» Mario Calabresi a Tommaso Padoa-Schioppa, con la partecipazione del Sindaco Sergio Chiamparino che si svolgerà sabato 17 ottobre 2009, dalle ore 10 alle 13 presso il Centro Congressi Torino Incontra, via Nino Costa 8, Torino. L’incontro è il primo del ciclo aperto “Società locale e crisi globale. Risorse e progetti per Torino”, che si svilupperà fra ottobre e dicembre 2009.

La crisi globale interviene nell’assetto dei sistemi economici locali, altera la loro configurazione e sollecita interrogativi su percorsi di sviluppo e modelli di crescita. A Torino, la dinamica della crisi si innesta su una trasformazione in atto da più di un decennio, che attende oggi la definizione di nuovi traguardi e di nuovi strumenti.

Il ciclo di incontri si propone di affrontare questi nodi, favorendo il confronto fra studiosi e operatori. L’obiettivo è valutare come si stanno modificando le componenti e le grandezze economiche e come il territorio sta reagendo, in particolare considerando quattro importanti soggetti per l’economia locale: le medie imprese, il terziario, le public utilities e le fondazioni ex bancarie.

Gli eventi successivi:
20 novembre 2009, ore 15-17: Le medie imprese dinamiche / Il terziario avanzato
11 dicembre 2009, ore 15-17:  Le public utilities/ Le fondazioni ex bancarie
11 dicembre 2009, ore 17-18: Intervista pubblica a Sergio Chiamparino

Le aziende piemonesi che non ce l'hanno fatta

La Spoon River delle aziende piemontesi

Ecco l´elenco dei “caduti”, le aziende che non ce l´hanno fatta a superare la crisi. C´è chi era debole e ha ricevuto il colpo di grazia dal momento congiunturale deleterio. C´è chi forse, crisi o non crisi, sarebbe fallito lo stesso. Dietro a ciascun nome ci sono un imprenditore che ha fallito e un gruppo di dipendenti che è in cassa integrazione o in mobilità. Solo una mappa, creata con i dati di Camera di commercio, Cgil e Cisl.

Perché, come spiega la segretaria della Cisl Piemonte Giovanna Ventura, «la chiusura coinvolge in modo particolare la miriade di piccole e medie aziende, soprattutto metalmeccaniche, tessili e orafe, che sfuggono anche al nostro monitoraggio. Purtroppo non siamo che all´inizio di un´escalation negativa sull´occupazione della regione».

Bottonificio fossanese. È stato uno dei casi più eclatanti, perché era l´azienda dell´ex presidente dell´Unione industriale di Cuneo, Antonio Antoniotti. A febbraio l´industria di Fossano ha chiesto il concordato preventivo lasciando a casa 57 dipendenti.Cabind. Se la Indesit di None si è salvata, lo stesso non è accaduto alla sua fornitrice di Rivoli, che è stata costretta a chiudere i battenti e a licenziare 68 addetti.

Cartiera Santa Lida. I problemi dell´azienda del settore carta di Germagnano sono culminati a giugno, quando la proprietà ha messo in cassa integrazione straordinaria per cessata attività circa 130 dipendenti.

Cr Serrature. In aprile la proprietà ha annunciato la volontà di trasferire l´azienda metalmeccanica in Slovenia, mettendo in mobilità 26 lavoratori torinesi su 32.
Dormer. A giugno il gruppo svedese Sandvik ha avviato le procedure per la chiusura dello stabilimento di Givoletto, che produceva utensili speciali. Niente da fare per gli 84 dipendenti.
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Difficile la situazione di CHN

Via Lastampa.it

Scadranno il prossimo 10 ottobre le 52 settimane di cassa integrazione ordinaria a disposizione della Cnh di San Mauro, nel torinese. L’azienda ha annunciato l’intenzione di passare alla cig straordinaria per evento improvviso e imprevisto per tutti i 700 dipendenti dello stabilimento. La richiesta di cigs sarà per un periodo di 12 mesi. Lo rendono noto i sindacati.

Con previsioni di mercato improntate al pessimismo nel breve periodo, il settore movimento terra passerà, sulla piazza europea, dalle 230 mila unità vendute nel 2008 alle 85 mila del 2009. Secondo quanto dichiarato oggi dalla Cnh, la crisi del comparto proseguirà almeno fino al termine del 2010. «Mi pare molto negativo ¨ commenta Federico Bellono della Fiom ¨ il fatto che sul settore movimento terrra, importante per Fiat e per capire l’andamento dell¨economia, ci venga detto che non si vedono segnali di ripresa. I lavoratori stanno pagando un prezzo salato. C’e la necessità che Fiat dica cosa vuol fare in italia».

Domani è in programma un incontro tra Cnh e sindacati al ministero del Lavoro, in cui sarà discussa la chiusura del sito di Imola (400 esuberi) e le prospettive per lo stabilimento torinese.

Il governo ha scordato il Piemonte in crisi

Raphael Zanotti su Lastampa.it

L’autunno sarà caldo e molto più caldo per il Piemonte, che sembra dimenticato dal governo tra una Lega che procede a colpi di spot improponibili sulle gabbie salariali e un movimentismo meridionalista che l’Esecutivo tiene buono con una pioggia di denaro». Cesare Damiano, ex ministro del governo Prodi, responsabile lavoro del Pd e candidato alla segreteria regionale del partito, vede ancora lungo il cammino per uscire dalla recessione.

Eppure la crisi colpisce tutti, perché, Damiano, secondo lei il Piemonte è più a rischio?
«Il -6% di Pil nazionale è il peggior dato dal Dopoguerra e gli 800.000 lavoratori italiani in cassa sono lì a dimostrarlo. Il Piemonte da solo totalizza il 20% delle ore di cassa straordinaria concesse a luglio a livello nazionale, con punte del 33% nel settore tessile e del 28% in quello della meccanica. Per comprendere la situazione basti dire che nel 2008 sono state presentate in Piemonte 1500 domande per la cassintegrazione in deroga, nei primi sei mesi del 2009 sono state 4500: sei volte tanto».

Qualcuno però comincia a parlare di ripresa.
«Anche se avessimo toccato il fondo della crisi, cosa che mi auguro ma di cui non sono sicuro, purtroppo le due curve non coincidono mai. Gli effetti sui lavoratori si faranno sentire a lungo. Il governo tenta di tingere di rosa qualcosa che rosa non è».

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La crisi spinge le imprese a tagliare l'innovazione

Franco Locatelli sul Sole 24 Ore

Sopravvivere prima di innovare o innovare per sopravvivere? Forse era inevitabile che succedesse, ma di fronte alla crisi la maggior parte delle imprese nella maggior parte dei Paesi europei ha finora scelto la prima delle due alternative: oggi l’innovazione non è in cima ai pensieri perché prima bisogna salvarsi. Nei primi sei mesi del 2009, a differenza di quanto era successo nel triennio precedente, in Italia e nella stragrande parte d’Europa la percentuale di imprese che hanno ridotto gli investimenti in innovazione (24,7%) è nettamente superiore a quella delle imprese (9,8%) che li hanno aumentati. In contro  tendenza risultano solo quattro Paesi: l’Austria, la Finlandia, la Svezia e la Svizzera dove le imprese che continuano a puntare sull’innovazione superano quelle che hanno tagliato le spese e gli investimenti in ricerca.

Uno studio, fresco di stampa, di due economisti dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, Daniele Archibugi e Andrea Filippetti, che hanno rielaborato tutti i risultati della recentissima indagine Innobarometer condotta dalla Commissione europea su 5.238 imprese (di cui 200 in Italia), aiuta a fare luce sui rapporti tra crisi e innovazione e spegne le illusioni di quegli studiosi che sostenevano che, sul piano puramente teorico, la crisi economica potesse favorire l’innovazione più dei periodi di stabilità o di crescita.
Le cifre non sembrano lasciare molto spazio ai dubbi, anche se la metodologia dell’indagine europea su cui si basa anche lo studio dell’Irpps-Cnr non consente di distinguere la diversa intensità degli investimenti in innovazione delle imprese.  In questo campo l’impatto della crisi si sta, in ogni caso, rivelando più profondo del previsto.
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