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Categoria: Fare Impresa
Inaugurato il Talent Garden Fondazione Agnelli a Torino
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A Torino un percorso gratuito per le startup
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E’ un grande successo su Kickstarter, AirSelfie, un mini drone tascabile controllabile tramite smartphone e che può raggiungere circa 15 metri di altezza. Il cofondatore del progettto Leggi tutto “AirSelfie, il mini drone tascabile controllabile da smartphone con le radici ad Alba”
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Pebble fa ciaone a tutti e scappa con i soldi.
Pebble fa ciaone a tutti e scappa con i soldi di Fitbit.
Quando si suole dire che ognuno di noi, ogni idea, ogni impresa, ogni prodotto, ogni persona ha un presso, si dice il vero.
Ce ne ricorderemo quando penseremo al caso Pebble .
Il colosso del werable, Fitbit ha appena acquisito la start up approdata su kickstarter qualche anno fa, acquistando gli asset tecnologici relativi ai software e al know how sviluppato dai tecnici di Pebble.
Il silenzio del blog di Pebble era stato visto con sospetto dai curiosi che iniziavano a vociferare circa la possibile e prossima exit in favore di un qualche big.
C’è che sappiamo è che l’acquisizione degli asset di Pebble è stata compiuta nella giornata del 6 dicembre, senza che venisse pubblicamente comunicato il valore dell’operazione. Ciononostante nei giorni precedenti si è parlato di un esborso cash di circa 30-40 milioni di dollari, anche se l’indiscrezione si riferiva prevalentemente all’acquisizione dell’intera società. Avendo percò Fitbit, acquisito solo asset specifici di Pebble, non si è presa in carico l’onere dei debiti della società, che saranno probabilmente sanati con la liquidità maturata con il controvalore dell’acquisizione.
Pebble nel suo blog precisa alcuni aspetti: si scusa con gli utenti per il suo lungo silenzio e specifica alcuni aspetti del futuro della start up. Già oggi non si possono ordinare nuovi Pebbles dal sito della startup che ha anche organizzato un sistema di rimborso per coloro che hanno aderito alla campagna di kickstarter ma non riceveranno nessuna ricompensa.
Innanzitutto Pebble non promuoverà, né distribuirà, né svilupperà nuovi smartwhatch.
I dispositivi fin’ora venduti continueranno a funzionare normalmente: non sono previsti immediati cambiamenti.
Prevedibile tuttavia che i servizi Pebble vengano ridotti e inficiati in futuro per cercare di far migrare i customers verso la gamma di smart-things di FitBit.
Nel frattempo ieri sera è arrivata anche la conferma da parte del CEO di Fitbit, James Park, che ha detto
“Pebble è stata un’apripista del più grande, aperto e neutro sistema operativo per dispositivi connessi che andrà a complementare la compatibilità multi-piattaforma di Fitbit, che ad oggi conta 200 dispositivi, tra iOS, Android e Windows Phone […] Con gli indossabili di base che diventano sempre più smart e gli smartwatch che aggiungono funzionalità health e fitness, vediamo l’opportunità di costruire sui nostri punti di forza ed estendere la nostra posizione di leadership nella categoria dei wearables. Con questa acquisizione siamo ben posizionati per accelerare l’espansione della nostra piattaforma e dell’ecosistema per rendere Fitbit una parte vitale della vita quotidiana per un più ampio numero di consumatori, così come costruire gli strumenti che i fornitori di servizi sanitari hanno bisogno per integrare in maniera più significativa la tecnologia indossabile nelle cure preventive e croniche”
Sempre più evidente dunque il fatto che il mercato del tech stia abbandonando la sua vocazione di concorrenza pura e perfetta, come si auspicava alla fine degli anni ’90, per consolidarsi in un oligopolio in mano a big. I quali non investano nuovi capitali in ricerca e sviluppo ma investono in start up per poi acquisirne gli assets.
New economy? Nah.
Amazon Go: il negozio senza casse e senza fila. Chi ha paura di Amazon?
A Roma, alla presentazione di YourDigital ieri si è parlato di AmazonGo. Raffaele Gaito spiegava i meccanismi che portano l’innovazione a cambiare e/o reinterpretare il mercato, creando nuove abitudini e nuove differenze.
Fino a qui, tutto bello.
Raffaele ha citato altri esempi di trasformazione digitale: Kodak, Blackberry, Blockbuster. Tuttavia l’iniziativa di Amazon – sarà perché è di fatto agli albori – mi ha colpito più delle altre. In effetti mi ha affascinato moltissimo. Ma mi ha anche fatto interrogare su quanto dobbiamo essere (diventare, necessariamente) flessibili sulle nostre idee di innovazione, lavoro e automatizzazione.
Che Cos’è Amazon Go?
Amazon ha deciso di rivoluzionare il mondo degli shop e dei retails creando il suo nuovo servizio, Amazon Go che sfrutta le tecnologie di screen vision, deep learning e sensor.
Negli shop di Amazon Go non ci saranno file, non ci saranno casse. Non ci saranno cassieri. I consumatori entreranno nel negozio, prenderanno quello che serve loro e usciranno (they actually walk out).
Il progetto verrà lanciato nel 2017 a Seattle 2131 7th Ave, Seattle, WA, all’angolo con 7th Avenue and Blanchard Street.
Come funziona Amazon Go
La sfida di Amazon, iniziata 4 anni fa, era questa: “offrire l’esperienza di un negozio senza limiti, barriere o checkout (casse e scontrini)”.
Per farlo Amazon ha ideato un ambiente nel quale incrocia tre tecnologie di riconoscimento, apprendimento e analisi di dati e, certamente, di data mining.
Il compratore al suo arrivo al negozio Amazon, passa sopra un scanner il proprio telefono attivando il proprio Amazon Account. Dopo essersi registrato, saranno i software a riconoscere quali prodotti il consumatore ha preso e portato via, quanto ha speso e fatturare al consumatore il conto in digitale, direttamente tramite il proprio Amazon Account.
I dati raccolti da Amazon saranno sempre di più.
Perchè è esattamente questo il punto.
Dopo essere diventato il più grande negozio on line e aver tracciato le compravendite dell’intero mondo per più di 15 anni, Amazon ora vuole varcare le frontiere del digitale e approdare su supporti analogici. Questo, per quanto sia a livello imprenditoriale avvincente, in un discorso sociologico è quantomeno direzionato al monopolio dei dati, nell’ambito degli acquisti e delle vendite. La tecnologia di Amazon Go infatti non sarà solamente in grado di digitalizzare e smaterializzare gli scontrini, sarà anche capace di raccogliere dati circa il tempo e l’ordine di acquisto dei prodotti, la loro periodicità, i trend di vendita dei prodotti, la capacità di acquisto dei consumatori.
E qui non stiamo parlando dell’Istat. Qui stiamo parlando di Amazon, che conoscerà come spendiamo i nostri soldi, meglio di chiunque altro.

I cassieri devono avere paura di Amazon Go?
Sì devono. Questo tipo di tecnologia si dimostrerà largamente conveniente per le multinazionali degli stores e Amazon sarà il primo della fila a spingere questo cambiamento.
Chiunque conosca l’ambiente dei magazzini di Amazon, sa che la catena produttiva è incentrata su impianti automatici che costringono i “magazzinieri” che ci lavorano (picker) a correre – letteralmente correre – da un punto all’altro per rispettare i tempi che il sistema di produzione impone loro.
Loro stessi, che ci lavorano, sanno che verranno sostituiti dalle macchine non appena il machine learning sarà a un punto tale da permettere la piena automazione del lavoro nei magazzini, che richiede capacità di scelta critica e di spostamento fisico di oggetti.
Amazon Go dimostra che se si riesce a portare il consumatore direttamente all’interno di quello che in realtà è un magazzino Amazon, posso far lavorare solo le macchine, sollevando l’uomo dalla necessarietà dell’impiego.
Evidente dunque quanto ci sia bisogno di riflettere su un sistema di welfare che sia preparato a dare qualcosa da fare (e da spendere) a quelle persone che a livello professionale, in questo preciso momento storico-tecnologico, varranno meno o quanto una macchina. Che sembra brutto da dire, ma è proprio ciò che dobbiamo chiederci.
“Nel momento in cui siamo di fronte al fatto che certi (molti, sempre più) lavori potranno essere condotti con maggior efficacia da una macchina o un sistema di macchine, noi che famo?”
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