Vorrei usare la mia laurea in Inghilterra

Da Domenico M. riceviamo e volentieri publichiamo:
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Salve,
    ho letto con molto interesse i suoi post sulla carriera di avvocato
    all’estero, e volevo porle delle domande.
    Attualmente frequento il secondo anno del corso di Scienze giuridiche
    presso la facoltà di Giurisprudenza di Foggia. Sono pendolare, in quanto
    sono nato e vivo a Trani (situata ad 80 chilometri da Foggia). Mi trovo
    bene, anche perchè non sono frequentante, e i viaggi (per qualche
    tutorato e gli esami) mi portano via poco tempo. Mi piacerebbe però
    intraprendere studi e lavoro all’estero, in particolare in Inghilterra.
    Mancando informazioni presso l’università, così come presso qualunque
    sito internet (che almeno io non ho ancora trovato) in che modo potrei
    spendere la mia laurea (dall’anno prossimo quinquennale) all’estero? E’
    possibile diventare avvocato in un sistema di Common law, senza gli
    estenuanti e mal retribuiti anni di specializzazioni – praticantato –
    esame di stato? Non che non abbia voglia di fare tutto questo, è solo
    che ho una voglia ancora più grande di fare, invece che di meditare,
    memorizzare per poi in ogni caso dimenticare.
    Le faccio infine i complimenti per il suo sito, completo e interessante.
    La ringrazio anticipatamente per l’aiuto che mi vorrà dare.
    Un cordiale saluto
   
Domenico M.

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Buongiorno  Domenico,
la laurea italiana da sola normalmente non apre la strada ad un praticantato inglese. Per questo io suggerivo una laurea inglese.
I casi, che io conosco, di laureati in Italia che lavorano in studi legali inglesi riguardano  studi di bassa qualita` specializzati nell’assistenza legale ad inglesi che comperano case di vacanza in Italia. I salari sono bassi 10-15 mila sterline e le prospettive di carriera modesta, a meno che uno, mentre  lavora, prenda un "degree" (laurea triennale)  inglese.
Pare che le probabilita` di una buona carriera aumentino con un LLM (master in diritto) ottenuto da una buona universita’ (ad es. London School of Economics, King`s College,  Cambridge, Oxford, Manchester  e  per una lista si veda:
http://extras.timesonline.co.uk/gooduniversityguide2005/20law.pdf
Ognuna di queste universita` ha un sito internet, con informazione sui corsi "post graduate" (i master)  disponibili. Su  www.google.co.uk   trova i siti relativi.
Bisogna pensare di spendere circa 20-25.000 euro in un anno. Dopo il quale pero’ si dovrebbe poter concorrere per avere accesso alla pratica in studi legali inglesi.
Le materie con mercato piu’ internazionale sono quelle legate agli affari: diritto commerciale, bancario, societario, della proprieta’ intellettuale, della navigazione, borsistico, ecc.

MOLTO IMPORTANTE: Prima di iscriversi ad un LLM (master in legge), comunque,  consiglio di  inviare un e-mail agli uffici  del personale di grandi studi inglesi. Ci si puo’ presentare, far vedere il proprio CV  e chiedere conferma se considerano i laureati italiani con LLM inglese preso in una certa universita`. Per trovare i nomi degli studi legali inglesi si va su:

http://www.legal500.com/l500/frames/l500_fr.htm
Ci sono i primi  500 piu’ grandi studi inglesi.  L’opinione degli studi legali e’ cio’ che conta, alla fine, per trovare un lavoro.Essa conta molto piu’ della mia opinione o di quella delle universita`, che hanno principalmente  interesse a vendere corsi e diplomi. Non e` male contattare gli studi legali  al piu’ presto. Da quando si inizia a pensare ad una carriera del genere a quando si inizia a praticarla passano anni.
Gli studenti di universita` inglesi  al  primo/secondo anno d’universita` fanno domanda presso gli studi legali per poter passare durante  gli anni di universita` qualche settimana nello studio, magari anche solo facendo fotocopie, ma facendosi un’idea dello studio e facendosi conoscere. Questo e` un modo che li aiuta poi ad avere accesso al praticantato negli studi migliori.
Ora anche gli studenti delle superiori inglesi vanno , se possono, una settimana sui luoghi di lavoro (studi legali inclusi) per farsi un’idea sul tipo di ambiente.

Su altri lavori nel Regno Unito parleremo un’altra volta.
G.R.

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P.S.
Vedere  anche:
http://www.lawsociety.org.uk/becomingasolicitor/qualifying/common.law#certificate
Esso sembra indicare che l’Ordine degli Avvocati (Law Society of England and Wales) possa ammettere ad un corso di formazione (CPE/GDL) laureati stranieri di cui esso riconosca la laurea. Cio’ eliminerebbe il bisogno di un LLM, ma comunque richiederebbe il corso CPE/GDL. Il laureato straniero deve chiedere alla Law Society di riconoscere la sua laurea e la Law Society puo’ accettare o meno.Una volta che la laurea sia accettata dalla Law Society of England and Wales, uno dovra` iscriversi al CPE/GDL e quindi potra` iniziare la pratica.

Anche in questo caso avverto che c’e’ una grande differenza tra cio’ che e’ legalmente fattibile e cio’ che davvero serve a dare un lavoro da avvocato. Quindi consultare anche in questo caso gli studi legali del legal500.

 

Un ospedale impara osservando Toyota

Un articolo del Corriere della sera riiferisce di un esperimento effettuato dal Virginia Mason Medical Center di Seattle, in collaborazione con Toyota.
L’ospedale ha investito un milione e mezzo di dollari, per mandare i
suoi dipendenti negli stabilimenti della Toyota in Giappone, per apprendere le metodologie di lavoro ed organizzazione. Il risultato è un risparmio di 10 milioni di dollari dal primo anno….
Credo che questo articolo sia uno degli esempi lampanti per quanto
riguarda  il discorso sulle best practices.L’innovazione in questo caso è una innovazione di processo e non di prodotto, non è svolta da centri di ricerca, non ha bisogno di finanziamenti o bandi di concorso…è solo basata sull’esigenza di migliorare ogni giorno le proprie attività, andando a studiare come altre realtà o organizzazioni si siano comportate per risolvere i propri problemi. E’ una questione di idee e di mentalità innovativa.
Nicolas Nervegna
http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2006/03_Marzo/06/ospedale.shtml 

Studi troppo lunghi: la protesta di chi se ne va

Abbiamo presentato  la differenza tra diventare avvocato in Italia ed in Inghilterra:
http://gustavorinaldi.blog.lastampa.it/il_mio_weblog/2006/03/5_anni_di_giuri.html

Molte famiglie potranno legittimamente pensare di ribellarsi a questa situazione, anche tenendo conto che in Europa esiste un diritto dei professionisti a spostarsi da un paese all`altro.
Le possibili via d’uscita da questa situazione sono state ben riassunte da Hirschman: exit, voice and loyalty.

Una e` molto praticata: e la via della “lealta`” (loyalty) o connivenza. Ci si adatta, non si cerca una via d’uscita, si cerca di convivere con il sistema che c’e’ (troppo spesso e` la via piu’ praticata, purtroppo).
La seconda e` quella del far sentire la propria “voce” (voice), votando e protestando.
La terza e` quella di uscire  (exit) dal sistema che non ci soddisfa.
Vediamo quest`ultima.

Se una ragazza/o  sa abbastanza bene l’inglese (attestato dal TOEFL, vedi www.toefl.org), puo` isciversi ad una delle migliori universita` inglesi e, con un costo  totale di circa  22.000 euro all’anno (vitto + alloggio + tasse universitarie + spese varie)  per 3 anni,conseguire una laurea  inglese (bachelor). Alla fine  dei tre anni, la probabilita` di iniziare una pratica retribuita (dalle 700 alle 1500 sterline al mese, a seconda dello studio) e` assai elevata.
Sembrano tanti 66.000 euro ?
Tutto sta nel confrontare questa spesa con il  costo di mantenere un figlio in Italia  per 10 anni. Pensate  che la famiglia spenda per lei/lui meno di 7000 euro all’anno?
I vostri calcoli includono il costo della camera che lo studente  occupa e che la famiglia  potrebbe far rendere in qualche modo, ad esempio affittandola ad uno studente fuori sede o traslocando in un alloggio un po’ piu` piccolo?

Quando molte famiglie si ribelleranno al sistema, forse esso dovra` cambiare.

Albert O. Hirschman: http://www.hup.harvard.edu/catalog/HIREXX.html

 

5 anni di giurisprudenza: a chi giovano?

La nuova norma sull’universita` recentemente applicata dalla Facolta` di Giurisprudenza di Torino  istituisce un corso unico in Giurisprudenza
di 5 anni.Secondo me essa e` inopportuna e triste.

Parte da una
visione che vede nei libri e nei professori l’unica fonte di sapere, quando
essi sono si’ importanti, ma vanno presto integrati con altre fonti, prima fra
tutte la pratica.

Inoltre la nuova legge italiana e la Facolta` di Torino presuppongono che un avvocato debba avere una conoscenza
giuridica di tipo enciclopedico, che probabilmente la stragrande maggioranza
dei membri dello stesso Consiglio di Facolta`e degli avvocati non ha. Quando anche l’avessero,
e’ lecito chiedersi a che serva, ad uno che debba svolgere bene il mestiere di
avvocato in un determinato campo, la conoscenza di tutto lo scibile giuridico.

Uno dei gravi
problemi del nostro paese e` che si tiene troppi anni i giovani sui libri,
senza che a cio’ segua un corrispondente incremento delle loro capacita`
professionali, sia in termini di servizio che possono prestare al prossimo sia in termini di reddito, che possono percepire.

In particolare in campo giuridico, se e` vero
che in Italia ci sono alcuni studi legali prestigiosi e con reputazione
internazionale e’ altresi’ vero che certo non abbiamo una struttura di studi
comparabili a quelli inglesi o americani.  Che ci piaccia o no  la tendenza europea va verso studi piu` grandi con avvocati  piu` specializzati in specifici campi. Questa  e` la battaglia che ci troviamo a combattere e per la quale siamo particolarmente mal attrezzati a combattere.
Non  e’ un caso che sia in corso  un parziale
processo di colonizzazione da parte dei grandi studi stranieri in Italia.

Il nostro
sistema vuole che un giovane desideroso di divenire avvocato, che in Italia
inizia l’universita` a 19 anni (in altri paesi potrebbero essere 18 o 17) debba
poi seguire 5 anni di corsi universitari. A 25 anni lo studente dovrebbe poi
iniziare la scuola di specializzazione delle scuole legali (2 anni). Il tutto
andrebbe poi finalmente seguito da 3 anni di praticantato. A 30 anni gli allievi
modello possono dare l’esame da procuratore. A 33 possono legittimamente
fregiarsi del titolo di “avvocato”.

Un ragazzo
inglese potra` andare all’universita` a 17 anni, finire a 20 o 21 e finire la
pratica a 23 o 24, divenendo “associate solicitor”. A 26-27, se vorra`, potra` anche mettersi in
proprio o divenire partner in uno studio. L`ironia della sorte vuole che in certi casi  il ragazzo inglese venga mandato in Italia da qualche studio internazionale, dove potra` avere come praticanti degli italiani molto piu` vecchi di lui, forse con piu’ conoscenze teoriche, ma certo senza nessuna pratica.

Il problema del corso universitario  3
+ 2 (un triennio per tutti e poi un master specialistico dopo)  non e` che fosse sbagliato in se’, bensi’ che non si e’
imposto che la pratica potesse iniziare dopo il primo triennio, cosi` come ad esempio avviene nel Regno Unito; si poteva poi  lasciare il
biennio successivo per coloro che proprio vogliono approfondire specifici temi giuridici e per i magistrati.

Venaria e Regione

Ieri, dice La Stampa, vari presidenti di regione italiani si sono incontrati alla reggia di Venaria con Danuta Hubner, commissario europeo ai fondi regionali.
Hanno parlato di soldi, giustamente. Cio’ che io trovo interessante e` dove lo hanno fatto.
Sono ormai alcuni anni che si lavora per restaurare Venaria, ma cio’ che manca e` un idea chiara sul cosa farne. Una parte ospita il centro/scuola di restauro, una parte ospitera` una mostra sui siti patrimonio dell’umanita` dell’UNESCO ed il corpo principale e` senza chiara destinazione. Si e` parlato di un museo sulla storia dei Savoia, che ritengo inopportuno, perche’ la storia dei Savoia potrebbe essere raccontata egregiamente a Palazzo Reale a Torino, A Racconigi, a Stupinigi, senza utilizzare i locali di Venaria, che all’interno e` ormai un guscio non decorato, fatta eccezione per la galleria di Diana.
Io avrei dedicato il tutto alla funzione per cui era stata creata la Reggia: sede di alta dirigenza politica. Attualizzando ci avrei messo degli  uffici della   Regione.
Per le seguenti ragioni:
Venaria e` vicina all`aeroporto;
Venaria puo’ essere ben collegata in treno con Torino e con il resto del Piemonte;
Venaria e` facilmente raggiungibile dalla tangenziale;
Venaria potrebbe essere una sede prestigiosa;
Venaria` eviterebbe il centralismo su Torino;
Venaria puo`ridurre il costo dell’abitazione dei dipendenti regionali;
In un mondo di servizi telematici non tutto deve essere basato in solo luogo.
Ben venga l’incontro di ieri, specie se puo’ stimolare una riflessione sull’uso di Venaria.
G.R.

Formazione: una partita cruciale

Giacomo ha 37 anni e dopo aver lavorato 8 anni come
impiegato, si e` trovato per la strada. Dopo aver
tentato 100 concorsi ed aver spedito 1000 curricula,
ha capito che la sua salvezza puo` essere in un corso
di formazione in marketing, promosso da
un’associazione di categoria e finanziato dall’UE
tramite la Regione.
Si iscrive, frequenta per 6 mesi, ma alla fine il
promesso stage non c`e`. Se lo trova lui, grazie alla
raccomandazione di un amico. Dopo lo stage c’e’ solo
la disoccupazione. Il corso non e` servito a nulla.
Qualcuno forse avrebbe dovuto fargli presente prima
quali erano le reali possibilita` che quel corso lo
aiutasse a trovare un lavoro. Di fatto, l’informazione
piu’ preziosa non glie l’ha data nessuno. Lui ha perso
tempo e denaro per un corso che non serviva a nulla.
Prima che lui iniziasse il corso, qualcuno gli avrebbe
dovuto dire chiaramente quali formatori hanno
normalmente successo nell’aiutare i disoccupati a
trovare un lavoro e quali no, ma nessuno lo ha fatto e
lui ha perso mesi preziosi, denaro e fiducia in se
stesso.

La formazione e` uno degli strumenti fondamentali per
avere meno  disoccupazione ed un’economia forte. E`
per tanto essenziale che ci sia e sia di buona
qualita’.
Purtroppo un po’ dappertutto, ma in particolare a
Torino ed in Piemonte, accanto a formatori competenti e
corretti, si sono affacciati altri soggetti. Questi
ultimi hanno visto nel mix tra disoccupati in cerca di
impiego e grandi dosi di denaro pubblico un’occasione
ghiotta per fare denaro con relativa facilita’. Ma
andiamo con ordine.
La domanda di formazione proviene da chi e’ in cerca
di primo impiego, da chi lo ha perso ed in misura
minore da chi e’ occupato. Quest ultimi sono forse una
categoria un po’ a parte, perche’ piu’ forte e
potenzialmente meglio informata delle due precedenti.
Numericamente pero’ la terza categoria conta meno e
rappresenta un problema sociale assai minore. Spesso
gli occupati ricevono formazione tramite o su
indicazione dei datori di lavoro; e’ certamente
importante che gli occupati ricevano una formazione
continua, ma di questo ne parliamo un’altra volta.

I disoccupati rappresentano la categoria debole ed
anche l’obiettivo ideale di quei formatori che hanno
pochi scrupoli.  Ma i disoccupati  oggi sono
completamente lasciati a loro stessi? No. La Regione
ha una sua procedura di accreditamento dei centri di
formazione. Questa procedura implica piu’ di 40
parametri tra i quali se il centro ha una sede o
centro di accoglienza, se ha un organigramma, se segue
certe regole nel promuovere i suoi corsi ed anche se i
corsi hanno qualche effetto positivo su chi li segue.
Quest’ultimo parametro, che dovrebbe essere il cardine
di tutto, e` quasi annegato in mezzo alla moltitudine
degli altri. Percio’ il processo di accreditamento
diviene in larga misura un processo di riempitura
caselle in un formulario. La Regione fa si’ delle
ispezioni, una ogni sei mesi, nei primi due anni dalla
richiesta di accreditamento e poi ogni anno, negli anni
successivi. Pero’ le mele marce del settore sono
particolarmente brave a vestirsi a festa in occasione
delle ispezioni, facendo risultare bello e pulito
anche cio’ che non lo e’.
Inutile dire che tra molti formatori e formati e`
forte il dubbio che l’assegnazione di accreditamento e
fondi pubblici a questo o a quel centro di formazione
non sia indenne e spesso sia pesantemente influenzato
dai politici di turno, che intendono favorire quei
centri che sono loro  “culturalmente vicini”. I
funzionari regionali sono sottoposti a troppe
pressioni politiche  e a volte non hanno la forza e
l’autorevolezza per ribellarvisi, consci, come sono, che
potrebbero venire sostituiti da qualcuno ben piu’
fidato di loro, magari entrato in Regione per meriti
politici (vedi assunzione straordinaria, fuori
concorso,  dello staff dei gruppi consigliari di tutti
i partiti).

Un altro problema e` che alcune societa` di formazione
presentano alla Regione dei progetti interessanti, che
prevedono molte ore di lezione da  parte di formatori
validissimi, ma che vengono poi realizzati da
formatori molto meno preparati. Questi ultimi
ovviamente sono molto piu’ facilmente controllabili
dalle societa` di formazione.

La formazione e` un settore delicatissimo, perche` per
molte persone e’ l’unica possibilita’ che hanno per
iniziare un nuovo lavoro ed una nuova vita. Si puo’
pensare di far chiudere le imprese senza speranza, solo
se si offre a chi perde il lavoro una seria
opportunita` di imparare a fare qualcos’altro e se questo "qualcos`altro" esiste davvero.

PROPOSTE

Abbiamo bisogno di chiare classificazioni dei
formatori in fasce di competenza (A, B e C). In modo
tale che nessuno possa vendere alla Regione un corso
tutto svolto da formatori di fascia A e poi far
svolgere tutto il corso da formatori di fascia C.

Abbiamo bisogno di funzionari regionali sempre piu’
specificamente preparati sui temi della formazione;
questo puo’ almeno in parte aumentare la loro
autorevolezza ed indipendenza dai politici.

Abbiamo bisogno di una Regione che faccia accurate analisi di mercato e studi delle tendenze mondiali, prima di finanziare corsi per certe professioni piuttosto che per altre; a volte i corsi sono anche fatti bene, ma semplicemente non esiste una domanda per certe figure professionali, mentre magari esisterebbe per altre.

Abbiamo bisogno di una Regione che fornisca chiare
informazioni agli utenti con delle chiare classifiche
che mostrino quali sono i centri e le societa` che in passato
sono davvero state capaci di aiutare i disoccupati a
trovare lavoro.

Gustavo Rinaldi

Quanti aeroporti in Piemonte?

Bene hanno fatto la Regione Piemonte, la Provincia di Cuneo e vari comuni cunesi ad occuparsi di migliorare i collegamenti aerei della Provincia Granda. Sembra pero’ che abbiano usato lo strumento sbagliato quando hanno speso il denaro ( piu’ di 400 milioni di euro) per trasformare un rispettabile aeroporto turistico in un fallimentare aeroporto di linea.

Se un privato o un aereoclub desiderano dotarsi di un aeroporto e’ solo un problema di pianificazione urbanistica. Se pero’ ci sono di mezzo denari pubblici e` il caso di chiedersi: quanti aeroporti ci possono essere in Piemonte?
Per le provincie del VCO, di Biella , di Novara e di Vercelli l’attrazione di Malpensa e’ forte e logica.
Malpensa e’ un aeroporto con  quasi tutti i collegamenti che si possano desiderare, da li’ si puo’ direttamente volare nei cinque continenti senza necessita’ di aeroporti di transito.

L’aeroporto di Nizza presenta simili vantaggi per Cuneo . E` molto ben servito e non troppo lontano (2 ore in macchina, 3 e qualcosa in treno).

Ecco cosi’ che dei 4.3 milioni di abitanti di Piemonte e Valle d’Aosta restano la valle d’Aosta (legittimamente tentata da Ginevra,  1 ora e 50 minuti di viaggio), e le provincie di Torino, Asti, Alessandria ed in parte Cuneo. Si tratta di circa 3 milioni di persone o poco piu’.

Esiste un aeroporto di Torino Caselle di cui sono anche azionisti il Comune e la Provincia di Torino e la Regione Piemonte.  Caselle ha pochi voli,  raramente piu’ di sessanta  in una giornata. Questo e’ meno del numero dei voli  in un ora in partenza da Londra Heathrow. Cio’ lo rende scarsamente efficiente e caro.

Non ha nessun senso che la Regione ed altri enti pubblici spendano denaro per sovvenzionare Levaldigi. Se si vuole migliorare i collegamenti aerei della provincia di Cuneo si spenda denaro per migliorare la ferrovia Cuneo- Torino – Caselle   e Cuneo-Nizza.
Mi rendo conto che chiudendo i voli di linea a Levaldigici ci sarebbero piu’ di 40 dipendenti  che andrebbero a  spasso: eventualmente li si trasferisca a Trenitalia, garantendo il loro salario.

I soldi disponibili sono pochi, non possiamo permetterci di spenderli in progetti senza speranza.

Richiesta agli scioperanti

Cari lavoratori in sciopero,
In generale fare blocchi della circolazione non e` un modo per attirarsi la simpatia del grande pubblico, e` un segno di estrema debolezza e disperazione e puo’ causare conseguenze penali,  quindi ve lo sconsiglio; comunque cari lavoratori in sciopero, se proprio dovete bloccare qualcosa, bloccate strade ed autostrade non le ferrovie. Grazie

Best practice: tenere conto di cosa fanno gli altri.

In tutte le amministrazioni pubbliche e private dovrebbe divenire pratica comune guardare a come un certo problema viene attualmente trattato e magari risolto in altre città ed in altri paesi, non solo europei ma anche extraeuropei. Si può utilmente imparare dalle migliori soluzioni trovate altrove, la così detta “best practice”.  In molti casi si tratterà di esperienze di pubbliche amministrazioni in altri casi si tratterà di esperienze di aziende private.Tante volte non è necessario scoprire la ruota, si tratta piuttosto di adattare al nostro contesto le soluzioni già identificate altrove.

Guardare cosa si fa altrove dovrebbe divenire una routine obbligatoria. Ogni amministrazione, quando presenta la soluzione che intende dare ad un certo problema dovrebbe essere tenuta a mostrare che ha fatto un’indagine sulle situazioni trovate altrove, presentandone i risultati. In molti casi si eviterebbe di ripetere tanti errori.

In alcuni casi saranno sì necessari viaggi all’estero, ma essi andranno fatti solo dopo un approfondito studio su libri, giornali ed internet.Per fare queste indagini sulla “best practice” non è sempre necessario fare viaggi. In molti casi e’ sufficiente un’indagine su internet  ed un po’ di telefonate con i colleghi di altri paesi.  Le telefonate potranno essere a costo zero se si utilizzerà la telefonia via internet e se si saprà coltivare una buona rete di contatti. In certi casi un’indagine potrà anche partire da segnalazioni fatte dai cittadini.

(da un’idea del dott. Nicolas Nervegna).