Venerdì scade il bando 2011 per il Servizio Civile, destinato ai giovani disponibili a impegnarsi nel sociale per un anno. A parte il generale calo di posti disponibili (che purtroppo non è certo storia solo di quest’anno) c’è un dato che colpisce: il nuovo bando è una ‘bastonata’ per l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, che è stata notevolmente penalizzata rispetto a un anno fa: se nel 2010 l’Uici poteva contare su 730 volontari, quest’anno il numero si è ridotto a 509. Ben 221 persone in meno, con una flessione negativa del 30,3%. Leggi tutto “Servizio Civile: drastico crollo di volontari per l’Unione Ciechi”
Categoria: Pionieri Silenziosi
Ancora sui ‘falsi falsi invalidi’
Sabato scorso il quotidiano La Stampa è uscito con una pagina dedicata alla “piaga dei falsi invalidi”, con tanto di titolone a quattro colonne: “un conto da 90 milioni”. Il giornale descrive il campionario dei furbastri pizzicati dall’Inps negli ultimi mesi, storie all’italiana da fare invidia ai film di Totò: c’è la signora cieca che in realtà lavora come parrucchiera, c’è il pensionato sordo che suona nella banda del paese, c’è la famiglia napoletana con ben 16 invalidi, tutti fasulli. Storie vere, purtroppo. Situazioni di spreco che vanno assolutamente perseguite, nell’interesse di tutti. Però, al di là di questo, ci permettiamo qualche piccolo commento. Leggi tutto “Ancora sui ‘falsi falsi invalidi’”
Inps: “Un invalido su quattro è falso”. Ma i dati smentiscono clamorosamente
Lunga vita alle Pecore Nere.
“In Italia un invalido su quattro è falso”. Così ha dichiarato qualche mese fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, parlando della campagna di verifiche condotte sulle pensioni di invalidità. Naturalmente la frase ha suscitato un coro di commenti, anche in Parlamento, con variazioni sul tema “il solito ‘magna magna’, tanto paga Pantalone. Ma ora basta sprechi”. Alcuni politici, come il capogruppo della Lega Nord alla Camera Marco Reguzzoni, sono arrivati a ipotizzare un risparmio annuo di un miliardo di euro per le casse dello Stato, una volta smascherata la truffa dei falsi invalidi. Anche i media non hanno perso tempo. Il settimanale Panorama è uscito con un dossier intitolato “Scrocconi!”. Peccato che, dati alla mano, la realtà sia un po’ diversa. Leggi tutto “Inps: “Un invalido su quattro è falso”. Ma i dati smentiscono clamorosamente”
Giornata mondiale della vista: l’oculista mette le ruote e visita gratis
Per una giornata l’ambulatorio dell’oculista mette le ruote e va in strada a incontrare la gente: le visite sono gratuite. Giovedì 13 ottobre non è una data qualunque: è la Giornata Mondiale della Vista, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e sostenuta a livello globale dalla Iapb (Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità). La Giornata, che quest’anno è dedicata in particolare agli anziani, vuole essere un momento di informazione e di prevenzione. Troppo spesso i cittadini (soprattutto quelli più avanti negli anni) trascurano di controllare lo stato della vista e rischiano di andare incontro a patologie silenti come il glaucoma, la seconda causa di cecità nel mondo. Da qui l’invito degli organizzatori: guardiamoci negli occhi, una proposta che i Torinesi potranno prendere al volo.
Giovedì 13 (dalle 9 alle 19) in piazza Castello (davanti palazzo Madama) sarà allestito un ambulatorio oftalmico mobile. Da fuori sembrerà solo un furgone, ma al suo interno una squadra di oculisti visiterà gratuitamente chiunque voglia chiedere un consulto. L’iniziativa è organizzata dalla sezione torinese dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, sempre in prima linea nella prevenzione delle patologie visive, in collaborazione con il comitato provinciale della Iapb. Durante la giornata saranno anche distribuiti gadget e materiale informativi, per aiutare i cittadini a conoscere meglio le malattie della vista e affrontarle in tempo.
Per informazioni http://www.uictorino.it/ – o11 53 55 67
Disabili in piazza contro la manovra
Ci saranno le principali associazioni di categoria dei disabili, ma ci saranno anche alcuni sindaci di piccoli Comuni piemontesi, delegazioni sindacali, associazioni di volontariato e cooperative. Ovviamente l’invito non mette paletti: tutti i cittadini sono idealmente convocati. L’appuntamento è per domani, 13 settembre (ore 16.30) in piazza Castello 165, davanti alla sede della Regione. L’obiettivo è fin troppo chiaro: dire un risoluto no ai provvedimenti introdotti dalla Manovra Finanziaria, che rischiano di danneggiare pesantemente le persone più fragili. “Non si taglia sul sociale”: ecco lo slogan comune. E in ballo c’è ben più di una semplice ragione economica.
A suscitare preoccupazioni e indignazione tra i disabili è il disegno di legge delega 4566 relativo alle riforme fiscale e assistenziale. Il capitolo incriminato, il numero 10, ha un titolo assolutamente innocuo: interventi di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale. Di riordino ci sarebbe un gran bisogno, questo è un pensiero condiviso da tutte le associazioni di categoria. Resta però da capire quali saranno gli interventi cui il governo allude. Ed ecco la stoccata: le indennità di accompagnamento potrebbero essere vincolate al reddito e anche la percentuale di invalidità necessaria per accedere ai contributi potrebbe salire dal 74% all’80%.
Tra le voci che si levano con maggior forza c’è quella di Enzo Tomatis, presidente piemontese dell’Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), una delle associazioni coinvolte nella manifestazione di domani. “Partiamo dal presupposto – spiega Tomatis – che il diritto all’uguaglianza sociale è tutelato dalla Costituzione. Un conto è imporre oneri fiscali maggiori a chi possiede più beni (e questo sarebbe un provvedimento sacrosanto). Un conto è accanirsi sulle persone più fragili. Le indennità di accompagnamento nascono da un semplice principio: mettere tutti nelle stesse condizioni di partenza. Pretendere che siano i disabili a pagare per la loro condizione di svantaggio è in’ingiustizia clamorosa. Tanto più sapendo che comunque, all’atto pratico, un disabile e un normodotato non saranno mai nelle stesse condizioni di partenza”. Cedere ora significherebbe, secondo Tomatis, aprire la strada a un crescendo di diseguaglianze. “Poniamo che con questa legge il reddito massimo per accedere alle indennità di accompagnamento sia fissato a 100.000 Euro. Sicuramente tra qualche anno questo tetto sarà abbassato a 80.000 Euro, poi a 70.000 e così via: ecco i rischi cui vanno incontro le persone più fragili. In questo senso ci sentiamo solidali con i poveri, gli anziani e le altre fasce deboli. Tutti saremo penalizzati”. Un giudizio molto duro, che tuttavia non esclude la possibilità del dialogo: “Vorremmo essere consultati prima che si facciano le leggi e non dopo. Altrimenti il nostro peso sarà nullo. Siamo in ogni caso disponibili ad aprire un tavolo di trattative con le forze politiche. Purché si arrivi a una decisione più equa”.
La manovra rischia di tagliare pesantemente sul sociale. E i disabili lanciano una petizione
“Giù le mani dagli assegni di accompagnamento. Non si taglia sul sociale. Almeno, non così, con l’accetta, col vincolo immediato di recuperare 20 miliardi. Non sarebbe più una riforma, ma solo una graduatoria di tagli. Nulla a che vedere con il miglioramento dei servizi ai cittadini”. Le associazioni di categoria delle persone disabili sono sul piede di guerra. Per effetto della nuova manovra finanziaria, in discussione al Senato, decine di miliardi di Euro destinati al sociale potrebbero essere tagliati. In particolare, a mettere in allarme i disabili, è il disegno di legge n. 4566, che riguarda proprio le misure di riforma assistenziale.
Come al solito la situazione non è chiara: c’è il clima nebuloso che accompagna l’iter legislativo nel nostro Paese. Nessuno sa dire con certezza quali provvedimenti si nascondano negli allegati alla finanziaria. Per questo motivo, alla sede piemontese dell’Anmic (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili) nessuno osa sbilanciarsi. “Stiamo a vedere – dicono – E’ anche possibile che all’ultimo momento il Governo si metta una mano sulla coscienza”. Ma, dal tenore dei discorsi, si capisce che sono preparati al peggio. Ecco alcune delle “sorpresine” che il pacco-manovra potrebbe contenere. Servizi assistenziali come le indennità di accompagnamento (finora erogati tenendo conto esclusivamente di una valutazione clinica) potrebbero essere vincolati al reddito. E la percentuale di invalidità necessaria per accedere ai contributi Inps potrebbe essere alzata dal 74% all’80% (provvedimento che rischia di penalizzare un’ampia fascia di disabili).
Aspettando di sapere come evolverà la situazione, molti confidano nel vecchio motto “l’unione fa la forza”. La Fand (Fererazione fra le Associazioni Nazionali delle persone Disabili) è mobilitata. Parliamo di grandi numeri. A questa sigla infatti aderiscono associazioni storiche come l’Unione Italiana Ciechi, l’Ente Nazionale Sordi, la stessa Amnic e tante altre realtà. Anche la Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) vuole far sentire la sua voce. Così Fand e Fish insieme hanno messo in rete una petizione in forma di lettera aperta, indirizzata “al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Economia, al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai Capigruppo Parlamentari del Senato e ai segretari dei Partiti Politici”.
“La spesa sociale non può essere determinata da logiche di cassa – si legge nella lettera – né i diritti civili e umani possono essere sacrificati per compiacere interessi diversi”. Le associazioni concordano sulla necessità di una riforma assistenziale, ma vorrebbero una strada totalmente diversa da quella intrapresa dal Governo. ” Servizi migliori, più efficienti e vicini ai diritti e ai bisogni delle persone, moderni e volti all’inclusione anziché alla segregazione, sono lontanissimi dalla volontà di chi intende comprimere ancora l’assistenza sociale”. Il testo completo della petizione è disponibile sul sito http://www.fishonlus.it/fandfish/firma/ E’ possibile sottoscriverla indicando nome e indirizzo e-mail, nel rispetto della privacy.
Sinestesie (parte seconda): oltre la scena, il teatro che si ascolta
La scena più famosa è senz’altro quella della pazzia. L’orchestra tace, Lucia rimane da sola e dialoga con un flauto. Questo strumento diventa quasi un personaggio, un’entità ambigua e sfuggente che solo la protagonista, nel suo stato di alienazione, riesce a percepire. E’ un momento di grande intensità emotiva, capace di toccare corde profonde. Stiamo parlato di Lucia di Lammermoor, opera di Gaetano Donizetti, un fiore all’occhiello del melodramma italiano. Grazie a una collaborazione tra il Teatro Regio di Torino, l’Unione dei Ciechi e l’associazione Isiviù, l’incanto di questo spettacolo diventa accessibile anche a un gruppo di non vedenti e ipovedenti. Ecco come.
Tecnicamente si chiama audiodescrizione ed è una conquista dei nostri tempi (visto che è possibile solo grazie a un sistema di auricolari collegati con una trasmittente), anche se in realtà questa tecnica ha alle spalle una lunga storia. Grandi autori e drammaturghi hanno sostenuto che a volte “il racconto del teatro è più interessante del teatro”, perché lascia aperti i canali dell’immaginazione. E quando parliamo di opera lirica, cioè di uno spettacolo che affida alla musica un ruolo drammatico, questa considerazione diventa ancora più pregnante.
E’ una calda serata di inizio estate, il sole all’imbrunire distende i suoi colori sull’atrio del Regio. Lentamente il pubblico prende posto in teatro. Le luci si abbassano, il brusio cala. Il maestro Bruno Campanella solleva la bacchetta per dare l’attacco all’orchestra e d’improvviso l’aria è piena delle prime note della Sinfonia. Si comincia. Gli ospiti ciechi e ipovedenti hanno già indossato le cuffie mentre la voce guida annuncia la comparsa del coro. A “raccontare” la scena è Barbara Marsala (Isiviù), un timbro caldo e pacato: si ritaglia con discrezione i suoi spazi tra un’aria e l’altra, fa il possibile per non “disturbare” la musica e non spezzare i momenti più carichi di emozione.
Le persone cieche devono costruire il quadro “da zero”, invece gli ipovedenti riescono a cogliere qualcosa del meraviglioso allestimento pensato dal regista Graham Vick, ma la voce guida è comunque molto utile anche a loro, perché li aiuta a cogliere alcuni dettagli carichi di significato: il pallore sul volto di Lucia, il tremore di lei, il gesto di impazienza con cui Enrico (fratello della protagonista) vuota il bicchiere di vino. Piccole tessere che messe insieme compongono un mosaico di aspetti psicologici e di felici intuizioni drammatiche. La serata è un successo: molti gli applausi a scena aperta e tripudio conclusivo per il cast. Al termine dello spettacolo nel gruppo di ciechi e ipovedenti c’è grande soddisfazione: ciascuno ha “visto”, pensato, costruito la scena a modo suo (certamente introducendovi qualche tratto personale); tutti si portano a casa un’esperienza emozionante che sarebbe bello poter replicare in futuro.
Sinestesie (parte prima): oltre il suono, la musica che si vede
L’idea ha radici antichissime: bisogna tornare indietro agli albori della storia, alle rappresentazioni rituali che gli antichi Greci chiamavano tragedie (letteralmente “canti del capro espiatorio”) e che condensavano tutte le forme d’arte allora conosciute: poesia, musica, danza. Ne è passato di tempo da quei lontani primordi: oggi abbiamo alle spalle secoli di teatro, melodramma e cinema, ma l’idea originaria, la rappresentazione “globale”, continua a essere fonte di ispirazione. Ieri sera al Carignano di Torino è andato in scena uno spettacolo decisamente particolare, fatto di musica, parole e arte visiva. Con un plusvalore: alcuni artisti parlavano, recitavano e perfino cantavano in lingua dei segni (quella usata dalle persone sorde).
Sul palco il cantautore torinese Fabio De Vincente e la sua band. Con lui si sono esibite le attrici sorde Chiara Di Monte, Laura di Gioia e Lucia Daniele, che hanno proposto testi e riflessioni poetiche in lingua dei segni. Ma sulla scena c’erano anche la ballerina sorda Carlotta Plubel e i l’artista sordo Sandro Nardella con i suoi graffiti. Il tutto accompagnato dalle presentazioni in voce e in lingua dei segni di Rocco Cericola. Insomma, uno spettacolo multiforme, completo, nato dalla voglia di scavalcare gli stereotipi e i “non si può fare”. Sordi e udenti, uniti nel cerchio magico dell’arte, hanno condiviso emozioni e pensieri in un’avventura finora inedita.
L’evento è stato organizzato da Vedo Voci (associazione di genitori di bambini sordi), con la collaborazione di altre realtà tra cui Ens (Ente Nazionale Sordi), Lislandia e il Comitato Lis Subito. Una cornice prestigiosa come il Carignano ha dato la possibilità alle associazioni coinvolte di sottoporre all’opinione pubblica un tema spinoso: il riconoscimento della lingua dei segni come lingua a tutti gli effetti, oggetto di una battaglia che purtroppo si trascina da anni.
L’esperienza torinese segna l’inizio di un tour che porterà lo spettacolo in giro per molti teatri d’Italia, segno che le idee, quando sono buone e innovative, diventano contagiose.
Dalle scatole di cartone agli mp3: quando i libri si leggono con le orecchie
A raccontarla oggi sembra già storia d’altri tempi, anche se in realtà è passato appena qualche decennio. Sul finire degli anni ’80 le Poste hanno iniziato a portare in giro per le province italiane strane scatole di cartone, di forma allungata e dimensioni variabili. Erano le scatole della voce: i libri parlati.
Si partiva da un dato di fatto: per ciechi e ipovedenti leggere un libro (che fosse un romanzo o un manuale universitario) era difficile. I testi in nero ovviamente non erano accessibili. Esistevano le trascrizioni in braille, che però richiedevano strumenti particolari, erano costose e difficili da trasportare. Per gli ipovedenti, grazie alle prime fotocopiatrici, si stava affacciando la possibilità dei libri ingranditi, ma rimaneva il problema dell’affaticamento visivo, che spesso costringeva a interrompere la lettura dopo pochi minuti. Ecco allora l’idea, semplice quanto efficace: si pensò di registrare i libri su audiocassette. Così, grazie ai “donatori di voce” (tutti volontari) sono nate le biblioteche di libri parlati, le nastroteche. Il Piemonte ha sempre avuto un ruolo guida: uno dei primi centri italiani a svolgere il servizio è stato quello del Lions Club di Verbania. Poi si è aggiunto un polo torinese, gestito dall’Unione Italiana Ciechi.
Da quei primi esperimenti sono trascorsi anni di conquiste e innovazioni. Ora che il computer è un compagno quasi insostituibile, trovare libri in formato digitale, ingrandirne i caratteri o trascriverli in braille non è più così difficile. Anche le nastroteche hanno cambiato forma: le audiocassette hanno lasciato il posto ai cd e oggi i centri più aggiornati danno la possibilità di scaricare file mp3 da ascoltare sui lettori portatili. Per i giovani è stato un passaggio naturale, ma gli anziani faticano a tradire il vecchio registratore con “queste diavolerie moderne”. Così le vecchie, misteriose scatole viaggianti non sono ancora andate in pensione. In tempi di crisi qualche centro, come quello di Torino, è costretto a chiudere: oggi i disabili visivi piemontesi devono far capo a Feltre (in Veneto) oppure a Firenze. Quando le nastroteche saranno interamente digitalizzate e tutti i contenuti disponibili in rete, la distanza fisica non creerà più problemi. Ma c’è ancora molto lavoro da fare e per ora i lettori piemontesi devono rassegnarsi a qualche disagio.
Cambiano mezzi e tempi, ma l’utilità e il fascino dei libri parlati rimangono. Quasi come gli “uomini libro” di Fahrenheit 451, i donatori di voce fanno parlare Tolstoij e Dostoevskij, Simenon e Agatha Christie, Camilleri e Stieg Larsson. Non sono attori, ma gente comune: così magari Raskolnikov si ritrova a confessare il suo delitto con una lieve cadenza astigiana e Poirot continua imperterrito a interrogare testimoni, nonostante la raucedine e i postumi dell’influenza. Ma sono dettagli, che nulla tolgono alla bellezza della letteratura: chi fin da bambino ha ascoltato i libri parlati conserva una silenziosa gratitudine per questi ignoti lettori. Ce li possiamo immaginare mentre, ritagliandosi con fatica un po’ di tempo, si schiariscono la voce e cercano il segnalibro (in sottofondo le campane della chiesa di rimpetto o il cane o i bimbi che giocano). Nella loro pazienza c’è un lavoro prezioso, perché dove arrivano le parole arrivano i pensieri. Già, proprio così (lo sapeva bene don Chisciotte), i libri fanno nascere strane idee e invitano al viaggio, alla sfida, alla lotta contro i mulini. Qualcuno, dopo aver ascoltato tante storie, si è messo in testa di diventare giornalista.
Riconoscere la Lingua dei Segni: il ddl che serviva e che (guarda caso) rischia di naufragare
Una persona sorda deve testimoniare in tribunale. Per legge ha diritto di essere assistito da un interprete Lis (Lingua Italiana dei Segni). Ma ecco che iniziano i problemi, perché la Lis non è riconosciuta dallo Stato come lingua a tutti gli effetti. Questo significa che non c’è un percorso di formazione standardizzato per interpreti, un riconoscimento professionale che garantisca livelli qualitativi omogenei. Si va un po’ sulla fiducia e “speroma bin”. E’ come se un cittadino straniero, chiamato per testimoniare a un processo, si sentisse dire che “sì, un interprete c’è, ma non si sa bene chi sia e che studi abbia fatto. Magari è un laureato in lingue, ma magari anche no: lei si fidi”. Sembra l’inizio di un dramma di Samuel Beckett. Si potrebbero fare tanti altri esempi, dai concorsi pubblici alle scuole di specializzazione, nelle quali il servizio di interpretariato non è previsto e gli studenti fanno una fatica enorme a ottenerlo.
La Lis è fondamentale per l’inserimento dei bambini sordi nella scuola ed è anche un valido supporto all’apprendimento della lingua parlata. Non solo: permette alle persone sorde di accedere all’informazione (il Tg Lis è previsto dai palinsesti Rai), di avvicinarsi al mondo della cultura, di interagire con l’ambiente, di far conoscere agli altri il proprio pensiero. E’ uno strumento prezioso: confinarlo in una sorta di limbo legislativo (esiste di fatto, ma non di diritto) può essere molto pericoloso. Tanto più in un Paese come il nostro.
La Lis è una vera lingua. Non è un linguaggio primitivo e nemmeno un metodo di riabilitazione. E’ un codice completo, con una propria struttura morfosintattica. Una prova? Analogamente alla lingua parlata, la lingua dei segni è diversa da Paese a Paese, proprio perché dotata di forma grammaticale. Queste sembrano ragioni sufficienti perché lo Stato italiano (tenendo anche conto degli orientamenti europei) riconosca la Lis come lingua a tutti gli effetti. Ma il cammino non è affatto così lineare.
Dopo anni di dialogo e concertazione è nato un disegno di legge, la proposta n. 4207 “Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva e riconoscimento della lingua dei segni italiana”. Approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, in questi giorni il disegno di legge è passato alla Camera (Commissione Affari Sociali). E lì (mistero tutto italiano) si è arenato. Pastoie burocratiche? Interessi sotterranei? Difficile dirlo. Certo è che il ddl sarà ulteriormente messo in discussione, col rischio di non venire approvato e andare a finire nel cimitero di carta dei buoni propositi.
Le persone sorde sono esasperate e temono che il riconoscimento della Lis, sospirato per anni, si concluda con l’ennesimo buco nell’acqua. Così hanno deciso di scendere in piazza, con tre giorni di mobilitazione a Roma. Si comincia il 25 maggio in piazza Santi Apostoli, poi giovedì 26 e venerdì 27 ci si sposta in piazza Montecitorio, luogo altamente simbolico. Capofila della protesta è il gruppo Lis Subito, una rete che coinvolge persone da tutta Italia. E naturalmente anche i Piemontesi non mancheranno di far sentire la loro voce.
Informazioni sulla Lis, sulla proposta di legge 4207 e sulla protesta sono disponibili sul sito http://www.lissubito.com/
E’ anche possibile dare il proprio contributo on-line, segnando “Favorevole” sul sito contenente la proposta di legge http://parlamento.openpolis.it/singolo_atto/20144