Sinestesie (parte prima): oltre il suono, la musica che si vede

L’idea ha radici antichissime: bisogna tornare indietro agli albori della storia, alle rappresentazioni rituali che gli antichi Greci chiamavano tragedie (letteralmente “canti del capro espiatorio”) e che condensavano tutte le forme d’arte allora conosciute: poesia, musica, danza. Ne è passato di tempo da quei lontani primordi: oggi abbiamo alle spalle secoli di teatro, melodramma e cinema, ma l’idea originaria, la rappresentazione “globale”, continua a essere fonte di ispirazione. Ieri sera al Carignano di Torino è andato in scena uno spettacolo decisamente particolare, fatto di musica, parole e arte visiva. Con un plusvalore: alcuni artisti parlavano, recitavano e perfino cantavano in lingua dei segni (quella usata dalle persone sorde).

Sul palco il cantautore torinese Fabio De Vincente e la sua band. Con lui si sono esibite le attrici sorde Chiara Di Monte, Laura di Gioia e Lucia Daniele, che hanno proposto testi e riflessioni poetiche in lingua dei segni. Ma sulla scena c’erano anche la ballerina sorda Carlotta Plubel e i l’artista sordo Sandro Nardella con i suoi graffiti. Il tutto accompagnato dalle presentazioni in voce e in lingua dei segni di Rocco Cericola. Insomma, uno spettacolo multiforme, completo, nato dalla voglia di scavalcare gli stereotipi e i “non si può fare”. Sordi e udenti, uniti nel cerchio magico dell’arte, hanno condiviso emozioni e pensieri in un’avventura finora inedita.

L’evento è stato organizzato da Vedo Voci (associazione di genitori di bambini sordi), con la collaborazione di altre realtà tra cui Ens (Ente Nazionale Sordi), Lislandia e il Comitato Lis Subito. Una cornice prestigiosa come il Carignano ha dato la possibilità alle associazioni coinvolte di sottoporre all’opinione pubblica un tema spinoso: il riconoscimento della lingua dei segni come lingua a tutti gli effetti, oggetto di una battaglia che purtroppo si trascina da anni.

L’esperienza torinese segna l’inizio di un tour che porterà lo spettacolo in giro per molti teatri d’Italia, segno che le idee, quando sono buone e innovative, diventano contagiose.