Dove vai se il grattacielo non ce l'hai?

Alberto Statera su Affari e Finanza di Repubblica

Non c’è città d’Italia grande o media, da Nord a Sud, da Torino a Rimini, che non abbia in progetto la costruzione di un grattacielo o almeno di un grattacielino, nonostante la nuova tendenza verso le «città compatte» e i problemi di sicurezza, di costi energetici e di impatto ambientale che pone la verticalità. Ma che c’è di meglio per attirare cospicui investimenti? A Milano i cosidetti developers stanno spargendo su 8 milioni di metri quadri di aree dismesse dall’industria manifatturiera una selva di grattacieli firmati da architetti di fama mondiale. Dalla Bovisa all’ex Ansaldo, da Porta Vittoria a Porta NuovaGaribaldiRepubblica, dal Portello a MontecitySanta Giulia, sono venticinque i grandi progetti che stanno cambiando lo skyline meneghino. Quanti sono i grattacieli che svetteranno a far ombra alla Madonnina? C’è quello nuovo della Regione a Garibaldi, poi un’infinità di grattacielini «alla lombarda», una trentina di piani o poco più, tipo l’attuale Pirellone, definiti non proprio grattacieli, ma «casetorre». A City Life, nell’area della vecchia Fiera, tra le proteste dei residenti nella zona e di una parte della milanesità intellettuale, ne sorgeranno tre, uno dei quali alto 209 metri. Il nuovo Pirellone, fortemente voluto dal presidente della Regione Roberto Formigoni, è già a buon punto ad opera dell’Impregilo e, manco a dirlo, già oggetto di un’inchiesta della magistratura per l’aumento dei prezzi.
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L'America riscopre Torino

Marco Trabucco su Repubblica

Il calore delle Olimpiadi non si è ancora raffreddato, a Torino. A sostenerlo questa volta non è qualche politico o qualche nostalgico delle magiche giornate del febbraio 2006, ma il New York Times, che nella sua edizioni di ieri, ha dedicato l’inserto viaggi, la Travel Guide della domenica, proprio alla nostra città. Una bella serie di articoli (che si possono leggere nell’edizione on line del quotidiano newyorkese) che descrivono le bellezze di Torino soffermandosi in particolare su quelle che sono nate o «sbocciate» dopo i Giochi. Nell’articolo principale, l’autrice Gisela Williams inizia il suo viaggio subalpino proprio da Eataly che insieme alla Reggia di Venaria forma la coppia di novità della Torino post olimpica. «Visitandolo si capisce che non è usurpata la definizione di più grande centro del cibo e del vino al mondo», scrive l’autrice entusiasta delle piramidi di carciofi, delle centinaia di marche di pasta «dai nomi impronunciabili», dalle montagne di scatole di conserva di pomodoro o dì bottiglie di vini bianchi friulani. Poi una breve storia della città, della sua trasformazione, grazie al tocco magico delle Olimpiadi da grigia capitale dell’industria automobilistica in un «Centro cosmopolita del cibo artigianale e del design». «Le vecchie fabbriche sono state trasformate in gallerie d’arte e le trattorie creative stanno trasformando Torino in una delle capitali del cibo in Italia».

Un entusiasmo che non sembra tenere conto della crisi economica e finanziaria che proprio da New York sta dilagando e che disegna Torino coma una sorta di luna park della gola e della bellezza. Una rinascita di cui, per il quotidiano Usa, le Olimpiadi sono state solo una tappa: «II rinnovamento di Torino — spiega nell’articolo Julian Fittipaldi, ingegnere argentino che lavora alla Fiat che è stato intervistato — è partito dopo i Giochi. E’ come se le Olimpiadi avessero iniettato sangue fresco in qualche punto della città». Lo dice, Fittipaldi, seduto al tavolo di un ristorante, il Trait d’Union. ospitato in uno storico palazzo del centro e degustando un risotto agli asparagi e al raschera («a creamy cheese from Bra») insieme alla fidanzata, la modella 22enne Belen Carro. Il Trait d’Union è anche uno dei locali consigliati dal Nyt, insieme al Lutèce di piazza Carlina, all’ldrovolante sul Po ai locali del Quadrilatero (in particolare i Tre Galli e le Tre Galline).

L’articolo poi descrive con entusiasmo l’abitudine molto torinese dell’aperitivo e degli stuzzichini gratuiti e abbondanti che lo accompagnano («a Torino non è difficile avere gli occhi più grandi del proprio stomaco»). Passa poi senza imbarazzi, dai Docks Dora, ai Murazzi, protagonisti della scena notturna torinese, al Lingotto e alla Pinacoteca Agnelli. Il Sitea, il Meridien-Art&Tech, il Boston e il Vittoria sono alcuni degli hotel consigliati, mentre tra i ristoranti e bar ci sono i classici Caffè Torino e San Carlo, Fiorio, Baratti e il Bicerin.

Quanto all’arte un intero «capitolo» è dedicato alla Venaria Reale e al suo restauro: sotto una bellissima foto dell’ancor più bella Galleria di Diana juvarriana, viene descritto il restauro della Reggia e come questa da caserma semiabbandonata si sia trasformata in meno di dieci anni in un “must see”, un luogo da visitare ad ogni costo per chi viene in Italia.

Torino Nuova Economia non decolla

Da Repubblica

E’ una questione di tempi. Quelli tecnici, minimi indispensabili quando si parla di procedure pubbliche, cioè anni, hanno fatto fuggire le piccole e medie imprese intenzionate ad insediarsi nel polo tecnologico di Mirafiori acquistato da Tne (Torino nuova economia), la società creata ad hoc per gestire le aree dismesse dalla Fiat negli anni della crisi. Troppi i vincoli burocratici e gli intoppi, anticipati da Repubblica, che hanno rallentato la formazione del “polo di attrazione delle imprese innovative”, un sogno per il quale gli enti pubblici hanno sborsato 67 milioni al Lingotto (iva esclusa e pari a 13 milioni, più interessi). «Quello che circonda Tne — denuncia Claudia Porchietto, presidente dell’Api, l’associazione che riunisce le piccole imprese — è un silenzio clamoroso e fragoroso.

La raccolta di “manifestazioni d’interesse” da parte delle imprese risale a più di un anno fa. Di conseguenza non so oggi quante, delle fantomatiche 50 aziende, siano ancora interessate ad un’eventuale insediamento. Credo nessuna, perché i tempi delle imprese sono differenti. Certo rimane l’amaro in bocca, ma bisogna prendere atto che questa operazione non è partita sotto i migliori auspici: faremmo un bene alle imprese e alla comunità: L’inefficienza e la responsabilità di tale condotta è a vari livelli, bisognerebbe spendere in modo più oculato i soldi pubblici».

D’altra parte, ribattono i rappresentanti degli enti locali, una società pubblica, quale Tne, deve rispettare norme e regolamenti che le impediscono di velocizzare le procedure. «Dobbiamo seguire i regolamenti pubblici — conferma il vicesindaco Tom Dealessandri — non abbiamo alcuna deroga. Nell’arco di un anno e mezzo, da Quando Tne ha rilevato le aree dalla Fiat, abbiamo avviato la bonifica dell’area. il progetto e la procedura d’appalto che sarebbe già conclusa se non ci fossero stati i ricorsi al Tar».

Torino, cercasi partner per il futuro

Da Repubblica del 28 settembre 2006

Sull´onda dell´accordo Sanpaolo-Intesa, si rilancia l´ipotesi dell´asse Torino-Milano, riedizione moderna del MiTo lanciato e poi lasciato cadere per la prima volta 26 anni fa. Ma tecnici come Berta e Zangola preferiscono allargare l´alleanza, coinvolgere nel progetto anche Genova. Lo fanno con la forza dei numeri: mettere insieme Torino, Milano e Genova vuol dire creare un´area con sette milioni di abitanti (il 12% della popolazione italiana), tre milioni di occupati (13,5% a livello nazionale), un valore aggiunto di 200 miliardi (16% nazionale, frutto di 50 miliardi creati dal comparto industriale e 141 dai servizi), una forza esportatrice da 57 miliardi (il 19% delle merci italiane destinate all´estero). Su cosa è dunque meglio puntare? Il MiTo o il GeMiTo?