Rieccoci

Rieccoci, siamo ritornati dalle Vacanze estive ed abbiamo è vero tardato con il pubblicare dei nostri Articoli, ma siamo stati presi da svariate attività per offrire sempre un servizio migliore “al cittadino”.

Quali queste novità?

In prima battuta da oggi presso il Nostro Studio è attiva un’associzione di Consumatori, Consumitalia.

A breve sarà attivo un servizio di CAF e di Patronato, funzionale ai Cittadini ed allo Studio.

Inoltre è entrata a far parte dello Studio la Dottoressa Chiara Moliterni, Assistente sociale, ed a breve un suo articolo per descrivervi le attività specifiche degli Assistenti Sociali soprattutto in uno Studio Legale.

Da Gennaio inoltre sarà attiva una nostra nuova sede in Lombardia, a Monza, questo sempre per essere vicini a tutti Voi.

Saranno finite le novità?

No ovviamente, ma per sapere cosa “bolle in Pentola” dovrete aspettare ancora un poco, anche perchè quando facciamo qualcosa lo dobbiamo sempre fare bene, quindi stiamo perfezionando tutto prima di proporvelo.

Detto ciò non mi resta che augurarvi una buona lettura del nostro Blog, e…di quando in quando passate anche a dar un’occhiata al nostro Sito, poichè a breve….novità anche in quello!!!

A presto

Gianmarco Dassano

Studio Legale Franzetta Dassano

Fermo amministrativo dei veicoli registrati

Sarà capitato a tutti di sentire parlare di “fermo amministrativo dell’autoveicolo” e di chiedersi di cosa di tratti e di quali possano essere le conseguenze sul veicolo interessato.

Il fermo amministrativo dei beni mobili registrati altro non è che uno dei procedimenti formali attraverso cui i Concessionari della Riscossione, vale a dire quelle Società alle quali viene affidata la riscossione dei tributi, delle sanzioni amministrative, etc, mediante un’apposita concessione, possono attivare procedure a garanzia del credito degli Enti impositori.

A questo punto occorre precisare che i beni mobili registrati sono quei beni disciplinati dall’art.815 del Codice Civile; si tratta di beni che, per la loro importanza economica, quanto a determinati aspetti della disciplina giuridica, della forma e degli oneri di pubblicità, sono equiparati dal legislatore ai beni immobili e, pertanto, sono iscritti in pubblici registri: sono beni mobili registrati i beni di locomozione e di trasporto come le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli.

Un bene gravato da fermo amministrativo non può circolare, non può essere venduto e non può essere radiato dal pubblico registro: pertanto, esso risulta essere, di fatto, inutilizzabile.

Infatti, qualora la Pubblica Autorità dovesse reperire in circolazione un mezzo gravato da fermo amministratore dovrebbe elevare una sanzione amministrativa all’utilizzatore (compresa tra € 714 e € 2.859), emettere disposizione di custodia forzata del bene ed avvisare l’Agente della Riscossione che ha materialmente iscritto il fermo di provvedere al pignoramento del bene.

Il procedimento di fermo amministrativo può essere attivato dall’agente incaricato della riscossione in caso di mancato pagamento di una cartella esattoriale entro 60 giorni dalla notifica della stessa.

Tale procedimento nella prassi si sostanzia nella verifica della titolarità del bene in capo al debitore e nella successiva notifica del c.d. “preavviso di fermo amministrativo”, un provvedimento amministrativo mediante il quale l’ente incaricato della riscossione comunica al debitore che, nel caso in cui non provvederà al pagamento del debito nel termine di 20 giorni, procederà all’iscrizione del fermo sul veicolo individuato.

La mancata comunicazione del preavviso di fermo è motivo di nullità del fermo stesso.

In tale atto dovranno essere riportati alcuni elementi, fra cui: la natura del debito, l’importo dovuto e l’anno di riferimento, il numero della cartella esattoriale e la prova della sua notifica, l’indicazione del responsabile amministrativo, dell’autorità amministrativa presso la quale ricorrere e dell’autorità giudiziaria competente.

In caso di mancato pagamento del debito nel termine indicato nel preavviso di fermo ovvero qualora non venga proposto ricorso avverso il suddetto provvedimento, l’ente potrà procedere con l’iscrizione del fermo sul veicolo nel pubblico registro pertinente (nel caso di un’automobile, ad esempio, il PRA).

Ovviamente anche avverso il provvedimento di fermo amministrativo, così come per il preavviso di fermo, è ammesso ricorso avverso la competente autorità giudiziaria: la giurisprudenza è oramai unanime nel ritenere che si applichino in materia le norme generali in tema di riparto di competenza per materia e per valore, pertanto, tutto dipenderà dalla natura del credito in virtù del quale viene iscritto il fermo.

A titolo del tutto esemplificativo e non esaustivo, nel caso in cui il debito origini dall’irrogazione di una sanzione amministrativa per violazione del Codice della Strada l’autorità giudiziaria competente sarà individuata nel Giudice di Pace, nel caso di debiti di natura tributaria, invece, nella Commissione Tributaria.

Nel caso di più ragioni eterogenee di credito dovranno essere adite le autorità giudiziarie competenti per ciascuna materia e per ciascun valore.

Quanto ai termini per proporre ricorso, anche essi variano in relazione alla natura del debito ed al tipo di vizio.

 

Avv. Raffaella D’Amico

Studio Legale Franzetta Dassano

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Verso la Sharing Economy Act

A seguito delle problematiche legali emerse ed ai momenti di tensione verificatisi talvolta sfociati in violenti episodi di guerriglia urbana, pren­diamo esempio dal caso Uber in riferimento al quale, il Tribunale Civile di Milano con decorrenza maggio 2015 ha disposto il blocco su tutto il territo­rio nazionale della prestazione del servizio considerandone gli operatori  alla stregua di concorrenti sleali, valutandone anche la possibile aggravante dell’elusione fiscale. Vedi anche il caso Airbnb piattaforma telematica, il quale continua a subire attacchi da parte di albergatori e di Associazioni di Categoria.

Per motivi appena brevemente indicati, sembra una necessità impro­rogabile, l’adozione di un quadro normativo aggiornato, in grado di tenere in conside­razione e disciplinare i cambiamenti che le piattaforme on line stanno ap­portando giorno dopo giorno. Nonostante l’accreditamento de facto del fe­nomeno, risulta più che evidente l’assenza di regole chiare ed omoge­nee, in grado di regolare in modo univoco la materia.

E’ questo, dunque, un fenomeno talmente importante da avere attirato l’attenzione delle Istituzioni nazionali e sovranazionali. La Commissione Europea, nel giugno 2016, ha emesso due Comunicazioni COM (2016) 288 e COM (2016) 356, spingendo in tal modo i paesi membri a definire un in­sieme di regole volte ad eliminare le ambiguità o i vuoti normativi rispetto alle nuove situazioni e fattispecie che si sono create grazie al sempre mag­gior e repentino sviluppo dell’economia collaborativa.

La Commissione, si legge nel documento denominato An European agenda for the collaborative economy, ha apprezzato l’importanza della sharing economy ed ha ritenuto che questa, se promossa e sviluppata in modo responsabile, equilibrato e sostenibile, possa dare un contributo im­portante alla crescita e all’occupazione nell’Unione Europea.

Ciò può avvenire esclusivamente rispettando la normativa nazionale di riferimento. Ma è proprio su questo punto che nascono i primi dubbi. Innan­zitutto perché molti Stati membri non hanno ancora adottato una specifica normativa, secondariamente perché la sharing economy rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale. L’invito che la Commissione rivolge agli Stati membri è quello di riesami­nare la normativa nazionale vigente al fine di garantire che i requisiti di ac­cesso al mercato continuino ad essere giustificati da un obiettivo legittimo e siano anche necessari e proporzionati. Divieti assoluti, continua la Commis­sione, nonché restrizioni quantitative all’esercizio di un’attività costituiscono normalmente misure di ultima istanza che in generale dovrebbero essere ap­plicate solo se e laddove non sia possibile conseguire un legittimo obiettivo di interesse generale con una disposizione meno restrittiva. Gli Stati mem­bri, pertanto, devono agevolare e sostenere lo sviluppo della sharing eco­nomy evitando, laddove non sia del tutto indispensabile, di applicare restri­zioni o veti.

Ed è proprio grazie alla sharing economy che si è potuto assistere alla nascita e allo sviluppo delle cosiddette piattaforme di collaborazione, ossia intermediari che mettono in comunicazione, attraverso un marketplace, i prestatori e gli utenti ed agevolano le transazioni tra di essi. Negli ultimi anni si è registrata una notevole crescita di tali piattaforme. Ognuna di esse è specializzata in una specifica attività. Un primo e significativo passo in tale direzione è stato fatto con la proposta di legge italiana n. 3564 (attual­mente in corso di esame in commissione) presentata il 27 gennaio 2016 alla Camera dei deputati da un gruppo di parlamentari appartenenti all’ “Inter­gruppo innovazione tecnologica”, con il professato scopo di disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi.

Le sopracitate comunicazioni della Commissione è successiva alla ste­sura della proposta di legge n. 3564/2016, e di fatto contiene indicazioni, suggerimenti, ma non direttive e su alcuni aspetti evidenzia i rischi dei possibili divieti. La proposta di legge dovrebbe, quindi, tener conto ed adeguarsi per quanto necessario al contenuto delle Comunicazioni della Commissione.

La proposta di legge contiene anche alcune disposizioni per la promo­zione dell’economia della condivisione, ossia l’utilizzo comune di una ri­sorsa, come ad esempio beni di consumo, mezzi di trasporto, ma anche pro­dotti digitali, spazi ed immobili commerciali e non come la casa e l’ufficio, competenze e servizi di vario genere; inoltre, la proposta suddetta reca di­sposizioni riguardanti anche la relazione peer to peer (ossia il rapporto oriz­zontale tra i soggetti coinvolti che si distingue dalle forme tradizionali di rapporto tra produttore e consumatore, volto a rispondere a nuovi bisogni, tra cui, ad esempio, la crescente necessità di interagire negli scambi in una modalità più partecipativa) e la presenza di una piattaforma digitale che supporta tale relazione fungendo da market place, ovvero un luogo d’incon­tro virtuale in cui, sovente, è presente anche  un meccanismo di reputazione digitale e le transazioni avvengono tramite pagamento elettronico.

La proposta di legge n. 3564/2016 è preceduta da una corposa intro­duzione, prima nel suo genere in Europa e già ribattezzata Sharing Economy Act, abbreviato in SEA, condensata in 12 articoli che costituiscono soluzioni di “compromesso”  tra istanze corporativistiche, liberalismo economico e protezione dei consumatori. L’intento, come detto, è quello di trovare un compromesso in grado di gestire le nuove piattaforme digitali in una logica di integrazione con il mercato tradizionale.

Limitando questo elaborato all’analisi dei punti salienti, il disegno di legge prevede principalmente: l’obbligo di iscrizione delle piattaforme sha­ring ad un registro elettronico nazionale, previa presentazione di un docu­mento di policy aziendale attraverso cui esplicitare le condizioni contrattuali e la devoluzione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) del compito di regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme di­gitali dell’economia della condivisione. Infatti, attraverso l’istituzione di un registro elettronico, le piattaforme dovranno ottenere l’approvazione proprio dall’AGCM che, in sostanza, valuterà la sussistenza di incongruenze ed eventuali violazioni normative o concorrenza sleale nei confronti dei settori tradizionali. Inoltre, in materia fiscale, è prevista la denominazione del red­dito percepito da attività di sharing economy come «reddito da attività di economia della condivisione non professionale», con applicazione di un’imposta del 10% per redditi che non superino i diecimila euro. I redditi superiori a diecimila euro sono, invece, cumulati con i redditi da lavoro di­pendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente. I gestori operano, in relazione ai redditi generati mediante le piattaforme di­gitali, in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori.

Di notevole interesse l’articolo 4, che si sofferma su alcuni dettagli che servono a definire cosa rientri nel concetto di sharing economy e che cosa no. Per esempio, non rientrano in questa tipologia i servizi per i quali il ge­store stabilisce una tariffa fissa.

Anche altri paesi europei hanno varato o stanno discutendo normative di regolamentazione, promozione e monitoraggio del fenomeno. In Belgio è in vigore dall’1 luglio 2016 un trattamento fiscale di vantaggio per i redditi marginali dell’economia collaborativa, approvato con la Loi programme du 1 juillet  2016. In Francia, la legge sull’economia digitale in votazione il 27 settembre 2016 al Senato, comprende disposizioni sulla fiscalità degli individui che utilizzano le piattaforme collaborative oltre i 5000 euro.

Nel Regno Unito, il governo già a marzo 2015 ha formulato delle rac­comandazioni basate su un’analisi indipendente con implicazioni anche per la produzione di statistica ufficiale e favorito la condivisione degli immo­bili a Londra attraverso il Deregulation Act, mentre nella primavera 2016 ha incluso nella legge di bilancio uno “sconto” fiscale aggiuntivo per le atti­vità marginali basate sulle piattaforme digitali.

Dott.ssa Luana Tumbarello

Studio Legale Franzetta Dassano

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E se non pago l’assegno di mantenimento?

Sempre più spesso succede che, in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi,
che viene obbligato a versare l’assegno di mantenimento all’altro, non vi adempie.
L’omesso pagamento dell’assegno di mantenimento può rappresentare per i
genitori, specialmente per i padri, che non riuscissero ad essere puntuali con il
versamento, un problema di carattere penale oltre che civile .
La tutela penale prevista dal nostro ordinamento si fonda, almeno fino a poco tempo
fa lo era, principalmente sull’articolo 570 c.p., “il quale punisce chiunque si sottrae
agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale e fa mancare i mezzi
di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero gli inabili al lavoro, agli
ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.
In realtà, l’articolo 570 c.p. non ha carattere sanzionatorio del mero provvedimento
civile. Si tratta di un reato che si configura, non in presenza di una semplice
omissione di pagamento dell’assegno stabilito dal giudice, ma quando l’omissione di
pagamento dell’assegno in favore del coniuge o dei figli sia preordinata a privarli dei
mezzi di sussistenza primaria.
Molteplici, infatti, sono le sentenze della Suprema Corte che affermano che il reato
di violazione dell’obbligo di assistenza familiare si configura solo in presenza di due
presupposti: l’effettivo stato di bisogno economico dell’avente diritto alla
somministrazione dei mezzi di sussistenza e la concreta capacità economica
dell’obbligato a fornirli. Quindi, anche in presenza di un provvedimento del giudice,
il soggetto obbligato, qualora fosse riuscito a dimostrare di versare in condizioni
precarie, ovviamente non dovute a sua colpa, e che l’avente diritto, invece, fosse
economicamente autosufficiente e riuscisse a far fronte alle esigenze primarie, poteva
restare impunito.
Dal sei aprile 2018, con l’entrata in vigore dell’art. 570bis, in attuazione del decreto
legislativo 01 marzo 2018 n. 21, così intitolato “ Violazione degli obblighi di
assistenza familiare in caso di separazione e scioglimento del matrimonio”, si apre un
nuovo scenario.
Il 570bis c.p., infatti, amplia le tutele previste dal 570 c.p., stabilendo che: “le pene
previste dall’articolo 570 c.p. si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di
corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di
cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di
natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso”.
Come si nota, mentre l’articolo 570 limitava l’applicazione della pena al solo
genitore che faceva mancare i mezzi minimi di sostentamento ai propri figli, ora le
stesse pene possono essere applicate, grazie al 570bis, al coniuge che si sottrae
all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto in caso di separazione, di divorzio,
e persino ai casi di annullamento del matrimonio.
Ad ogni modo, non sembrano mancare critiche sulla portata legislativa e
sull’applicabilità della norma.
Sembrerebbe che il legislatore, infatti, non abbia previsto nessuna tutela per coloro
che scelgono la convivenza di fatto, sia per le coppie omosessuali che etero,
dimenticandosi completamente di quei cittadini, che oramai stanno aumentando di
gran misura.
Nel caso delle unioni civili per le coppie omosessuali e i patti di convivenza per le
coppie eterosessuali che non scelgano il matrimonio, ma sanciscano la loro unione di
fronte ad un notaio e all’ufficiale di stato civile, il legislatore non ha previsto nulla.
Anche per le spese straordinarie, ossia quelle che riguardano la palestra o il medico,
il legislatore non chiarisce se il loro mancato pagamento integri o meno il reato de
quo.
Non si può fare altro che auspicare che il legislatore, colmi tale lacuna, e detti una
disciplina che consideri tutte le situazioni che ricomprednono tale obbligo

Avv. Giovanna Ventre

Studio Legale Franzetta Dassano

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Società cooperativa e società di capitali

La crescente complessità del mercato del lavoro, porta sempre più spesso i lavoratori ad entrare in contatto, in modo più o meno diretto, con questo particolare tipo di società, senza tuttavia che se ne conoscano a pieno le caratteristiche. Perciò, per comprenderla adeguatamente è necessario partire dalla sua origine.

La prima cooperativa vede la propria origine durante la seconda rivoluzione industriale, con precisione a Londra, quando nel 1844 un gruppo di poveri tessitori, al fine di migliorare la propria condizione sociale, decise di associarsi e aprire una bottega di beni di prima necessità.

Questi, sin da subito, si vollero distaccare dal modello capitalista, non inseguendo perciò la massimizzazione del profitto bensì cercando di migliorare la condizione dei i propri soci, designandoli come  destinatari ultimi dei vantaggi derivanti dall’attività. Ragion per cui a fine esercizio, l’avanzo di gestione veniva in parte accantonato per investimenti futuri, in parte utilizzato per vantaggi collettivi e ciò che avanzava distribuito tra i soci, non in ragione del capitale investito come avviene normalmente nelle società di capitali, ma in base all’utilizzo di ciascun socio, dei servizi della cooperativa.

Vediamo ora da vicino quali siano oggi  gli elementi fondanti della società cooperativa.

Principio che unifica ogni tipo di cooperativa, e le separa dalle società di capitali, è lo scopo mutualistico: secondo cui, in base alla tipologia di cooperativa, assicura ai soci condizioni lavorative, beni di consumo o servizi a condizioni migliori di quelle che offrirebbe il libero mercato. Questo si distanzia nettamente dallo scopo di lucro, normalmente perseguito dalle società di capitali, che si concretizza nella divisione degli utili.

Altro corollario, già presente nella cooperativa di Rochdale,  che rimarca ulteriormente il distacco tra le cooperative e le società di capitali è il voto per teste: ogni socio ha infatti un voto all’interno dell’assemblea, indipendentemente dalla quota di capitale sociale posseduta; questo perché sin dagli albori la cooperativa ha voluto porre in risalto la figura del socio, cercando il più possibile una sua partecipazione attiva.

Rimane un’ultima caratteristica, sancita in Costituzione, ossia: la cooperativa senza fini di speculazione privata svolge una funzione sociale. In questa funzione trovano fondamento le agevolazioni fiscali per  la cooperativa che svolge la maggior parte della propria attività con i soci.

Ora, dopo questa breve introduzione sugli elementi essenziali, ci si domanda come sia possibile che questi principi, sulla carta virtuosi, si siano poi di fatto persi nella selva oscura che è la realtà di fatto.

Sicuramente ha contribuito a ciò il sorgere di numerosissime tipologie di cooperative, alcune molto distanti dall’originale (basti pensare alle cooperative di credito), altro argomento è la smisurata crescita che ha caratterizzato alcune cooperative, trasformandole in colossi dell’imprenditoria. Processo che da un lato attenuato fino a farli quasi sparire, principi cardine come la centralità del socio, dall’altro ha fatto emergere elementi tipici delle società di capitali, come l’emissione di obbligazioni o l’abuso della figura del socio finanziatore (come suggerito dal nome, è un socio non interessato allo scambio mutualistico ma ad un mero investimento).

In conclusione ci troviamo di fronte ad un processo di “capitalizzazione” della cooperativa, che senza un intervento del legislatore, non si potrà certamente essere invertito. Ciò che possiamo dunque auspicare, premesso che difficilmente vedremo uno spontaneo cambio di rotta degli imprenditori, è che vengano introdotti strumenti efficaci per limitarne la speculazione, che tanto avrebbe fatto rabbrividire i “Probi pionieri di Rochdale”.

Dott. Flavio Ruffinatti

Studio Legale Franzetta Dassano

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Shared Custody dei figli

Quando una coppia si separa sorge il problema, in presenza di figli, dell’affidamento degli stessi e del loro collocamento presso un dei genitori con la determinazione delle modalità di visita da parte dell’altro genitore.

Con la Legge 54 del 2006 è stato introdotto l’affidamento condiviso, cioè i minori vengono affidati ad entrambi i genitori al fine di “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi”, contrariamente a quanto avveniva in precedenza che venivano affidati esclusivamente ad un genitore, di solito la madre, mentre l’altro era chiamato ad assumere insieme al genitore affidatario le decisioni più importanti mentre quelle di routine venivano prese dal genitore affidatario. Con l’introduzione dell’affido condiviso il Giudice, mentre decide sulla residenza dei figli minori collocandoli presso l’abitazione di un genitore, determina i tempi e le modalità per garantire ai figli la presenza anche presso l’altro non collocatario.

Di recente, i vari Tribunali stanno cercando di interpretare il dettato della legge nel senso che debba essere garantito a ciascun genitore il coinvolgimento quotidiano nell’educazione dei figli facendo diventare la residenza in cui sono collocati gli stessi un elemento meramente anagrafico mentre il domicilio dei minori diventa quello di entrambi i genitori.

In questa ottica sta facendosi largo anche da noi un istituto di diritto americano che di recente è stato modello ispiratore di un decreto del Tribunale civile di Parma: stiamo parlando del Shared Custody che in italiano suona come Custodia Condivisa. In effetti esso è un affidamento condiviso con tempi di frequentazione uguali per ciascun genitore.

Il Tribunale di Parma, chiamato a regolamentare la potestà genitoriale ed il diritto di visita per il genitore non collocatario in un caso di affido condiviso in cui i genitori erano animati da forte conflittualità, ha applicato i principi della cosiddetta “Shared Custody” suddividendo in maniera paritetica tra i genitori i tempi di frequentazione nell’interesse dei minori che avevano trovato un equilibrio nel frequentare alternativamente le abitazioni di entrambi. Il Tribunale ha suddiviso i turni di frequentazione dei minori a settimane alternate decidendo che una settimana il padre possa tenere i figli dal martedì al mercoledì mattino e dal venerdì al lunedì mattino (quattro pernottamenti) mentre l’altra dal martedì al venerdì mattino (tre pernottamenti).

Nello stesso decreto il tribunale indica ai genitori alcune linee guida nell’interesse dei figli quali, ad esempio, mantenere una comunicazione con i figli, essere collaborativi tra di loro, contattare immediatamente l’altro in caso di emergenza, essere flessibili nel sostenere la relazione degli stessi con l’altro genitore. Queste e le altre contenute nel decreto sono statuizioni che si rifanno al buon senso ed all’interesse primario dei figli.

Infine il decreto in esame prevede che, considerata la frequentazione paritetica fra i genitori, il mantenimento dei figli spetta a ciascun genitore nei periodi di rispettiva permanenza senza riconoscimento all’uno o all’altro di alcun assegno a titolo di concorso nel mantenimento dei minori, mentre le spese straordinarie mediche e scolastiche spettano a ciascun genitore nella misura del 50%. (Tribunale di Parma 14 maggio 2018).

Questo decreto, ultimo in ordine di tempo e successivo ad altra statuizione simile da parte del Tribunale di Brindisi (1017), ha accolto il principio dello Shared Custody e si auspica che altri Tribunali vogliano uniformarsi all’istituto di oltre oceano al fine di fare in modo che il genitore “non collocatario” non sia relegato al ruolo di “ufficiale pagatore” e sporadico giocattolo per i propri figli ma giochi un ruolo più importante che è quello che gli viene riconosciuto all’interno della famiglia non in crisi-

Avv. Maria Franzetta Dassano

Studio Legale Franzetta Dassano

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Benvenuti su “Il diritto intorno al cittadino”

Sappiamo che è così, ma spesso ce ne dimentichiamo e solo quando capita qualcosa che a noi non piace od è contraria alle nostre idee e pensieri, allora invochiamo il Diritto, ed in taluni casi ci rivolgiamo a Professionisti del settore per vedere tutelati quelli che sono i nostri Diritti.

Il Diritto quindi è fondamentale nella vita di tutti noi, regola qualsiasi andamento di questa, e spesso non ce ne rendiamo conto e lo consideriamo superficialmente.

Anche gli operatori del Diritto iniziamo spesso a considerarli come coloro che “non lavorano” ma che fanno un qualcosa di scontato, ma questi sono fondamentali per poter interpretare, essendo in un paese in cui la Legge va interpretata, quello che possiamo e quello che non possiamo fare nel rispetto del diritto di ognuno.

Nel Diritto siamo immersi fin ancora prima della nostra nascita ( Procreazione assistita o p. in vitro) ed il Diritto ci accompagna fin oltre la nostra morte ( diritto delle successioni), Tutta la nostra vita è “nel Diritto”.

Quindi cari lettori, questo spazio su questa autorevole pubblicazione, nasce proprio per affrontare varie tematiche tutte specifiche od inerenti all’alveo del Diritto o riconducibili a questo, cercando in primis di dare risposte a curiosità su di esso, e informare sulle novità legislative, per commentare sentenze o leggi, per informare e commentare degli Istituti del Diritto o Leggi particolari che ritroviamo nella vita di tutti i giorni e che con la giusta informazione ci possano risultare utili, od anche solo per affrontare temi di attualità Giuridica o che con il Diritto ha ben a che fare, insomma, trattazione globale, come è nello spirito dello Studio.

Nasce anche con un secondo fine, meno espresso ma recondito in quello che facciamo, e passatemi è più una battaglia personale che il nostro Studio porta avanti ossia, cercare di ridare valore, professionalità ed autorevolezza alla Professione che riteniamo sia la più bella ed affascinante che ci sia e che purtroppo è da tempo bistrattata.

Lo spazio è a cura dello Studio Legale Franzetta Dassano che ho l’onore di Dirigere, quindi le pubblicazioni saranno inerenti a quanto sopra a 360° e fatte ad opera di nostri Collaboratori e Componenti del nostro Studio, Avvocati, Praticanti, Consulenti e professionisti di varia natura, Esperti in quella determinata Materia o per quella determinata questione affrontata, potranno anche essere effettuate a più mani in maniera trasversale, non ci mettiamo limitazioni, quindi mi preme informarvi, che ci impegneremo per pubblicare articoli in Italiano e non nella lingua più cara e semplice per noi che è il “Legalese”, cercando quindi di evitare richiami a Leggi o citazioni legali o quanto possa essere più difficile nella comprensione, per rendere il Diritto semplice per tutti, vi chiedo però, citando il Diritto d’Autore, di non divulgare “in tutto od in parte” quanto contenuto nelle pubblicazioni, poiché sono proprie dell’Autore.

Ora però Vi chiedo anche un aiuto, come vi ho detto lo spazio è tenuto dal nostro Studio Legale, e si sa che gli Avvocati se devono affrontare un argomento generico scrivono tanto e parlano tanto toccando i problemi solo in maniera appunto generica e non entrando nel caso pratico, questo perché il Diritto è generale ed astratto, ed è passibile di varie e varie interpretazioni, una questione affrontata può essere a favore di uno ma basta un non nulla che può passare a sfavore di quello, percui diventa difficoltoso addentrarsi nella specifica di ogni singola questione, ma chiamandosi questo spazio “Il diritto intorno al cittadino”, penso che sia giusto che oltre a scrivere di quello che desideriamo nel rispetto a quanto sopra enunciato, siate voi a darci spunti e farci richieste specifiche, sottoponendoci unicamente dei temi, per far in modo che ci sia un dialogo tra noi e voi.

Le domande e richieste potrete indirizzarle alla Redazione di Quotidiano Piemontese o direttamente a noi alla mail [email protected], ma vi avverto fin d’ora che, nel rispetto della Professione e del Codice Deontologico Forense a noi caro, e non ultimo del lavoro di ogni singolo Professionista, non volendo in alcun modo fare concorrenza sleale, risponderemo alle richieste in maniera generale e non particolare, non citando ovviamente chi ci ha posto la questione, ma unicamente trattando appunto genericamente quello o quell’altro aspetto del Diritto o questione, cercando di consegnare nelle mani del lettore un buono strumento di conoscenza a misura sua.

Benvenuti su “Il diritto intorno al cittadino”e buona lettura.

 

Gianmarco Dassano

General Manager dello Studio Legale Franzetta Dassano