QUANDO IL WEEKEND DURA MESI

Tempo di “coronavirus”, tutti a casa. La famiglia, come nei tempi passati quando uno stipendio solo bastava alle necessità familiari, si ritrova insieme organizzandosi una vita differente, meno frenetica, ritrovando il piacere del dialogo e della condivisione di compiti, gioie e dolori. Tuttavia, anche la vita in comune da mattina a sera, così come l’ospite ed il pesce, dopo tre giorni puzza, ed ecco che iniziano i primi screzi e le prime incomprensioni e ben presto si giunge all’esasperazione dovuta alla clausura forzata e, naturale conseguenza, a comportamenti  ingiuriosi e violenti .

Nella maggior parte dei casi è l’uomo che, non abituato alla ristrettezza delle mura domestiche, si lascia prendere dalla rabbia che sfocia nell’ira nei confronti di chi gli sta accanto, moglie o compagna di vita provocando gesti violenti ed inconsulti che, sovente, portano a gesti estremi.

Nel luglio 2019 è stata promulgata la L. 69/19 meglio nota come “Codice Rosso” che ha introdotto delle disposizioni in materia penale e di procedura penale a tutela delle vittime della violenza domestica. Tuttavia, non sempre, specie le donne, sono propense a denunciare chi, nel chiuso delle mura domestiche, si rende colpevole di atti violenti nei loro confronti o nei confronti dei figli (violenza su questi ultimi è anche quella di dover assistere alla violenza  sulla madre) per un qualche senso di pudore, per evitare che i figli possano un domani rimproverarle di avere fatto “andare in carcere” il padre o nella speranza che le cose volgano al meglio. In questi casi, sovvengono le previsioni del codice civile che agli artt. 342 bis e 342 ter  (introdotti con la L. 154/2001- misure contro la violenza nelle relazioni familiari) che  disciplina gli “ordini di protezione contro gli abusi familiari”. in particolare si afferma che “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio], su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter”.

Quali sono questi provvedimenti?

Innanzitutto l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole, inoltre può disporre: l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, ove occorra l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare, l’intervento di associazioni che sostengano le vittime (donne o minori) di abusi o maltrattamenti, il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che, a causa dell’allontanamento del congiunto, si trovino prive di mezzi di sostentamento.

L’ordine di protezione può avere durata fino ad un anno prorogabile per il tempo strettamente necessario qualora ne ricorrano gravi motivi.

Queste misure di protezione stabilite dalla legge civile non vanno ad intaccare quella che viene conosciuta come “fedina penale” del colpevole degli abusi e quindi non gli inibiscono di svolgere quei lavori che prevedono la condotta irreprensibile dal punto di vista penale o di partecipare a concorsi in cui è richiesto il certificato penale “pulito”, ma hanno la stessa forza coercitiva degli ordini emessi dal giudice in sede penale in quanto qualora dovessero essere disattesi scatterebbe la denuncia in quella sede.

Avv. Maria Franzetta

Studio Legale Franzetta Dassano

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E se non pago l’assegno di mantenimento?

Sempre più spesso succede che, in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi,
che viene obbligato a versare l’assegno di mantenimento all’altro, non vi adempie.
L’omesso pagamento dell’assegno di mantenimento può rappresentare per i
genitori, specialmente per i padri, che non riuscissero ad essere puntuali con il
versamento, un problema di carattere penale oltre che civile .
La tutela penale prevista dal nostro ordinamento si fonda, almeno fino a poco tempo
fa lo era, principalmente sull’articolo 570 c.p., “il quale punisce chiunque si sottrae
agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale e fa mancare i mezzi
di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero gli inabili al lavoro, agli
ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.
In realtà, l’articolo 570 c.p. non ha carattere sanzionatorio del mero provvedimento
civile. Si tratta di un reato che si configura, non in presenza di una semplice
omissione di pagamento dell’assegno stabilito dal giudice, ma quando l’omissione di
pagamento dell’assegno in favore del coniuge o dei figli sia preordinata a privarli dei
mezzi di sussistenza primaria.
Molteplici, infatti, sono le sentenze della Suprema Corte che affermano che il reato
di violazione dell’obbligo di assistenza familiare si configura solo in presenza di due
presupposti: l’effettivo stato di bisogno economico dell’avente diritto alla
somministrazione dei mezzi di sussistenza e la concreta capacità economica
dell’obbligato a fornirli. Quindi, anche in presenza di un provvedimento del giudice,
il soggetto obbligato, qualora fosse riuscito a dimostrare di versare in condizioni
precarie, ovviamente non dovute a sua colpa, e che l’avente diritto, invece, fosse
economicamente autosufficiente e riuscisse a far fronte alle esigenze primarie, poteva
restare impunito.
Dal sei aprile 2018, con l’entrata in vigore dell’art. 570bis, in attuazione del decreto
legislativo 01 marzo 2018 n. 21, così intitolato “ Violazione degli obblighi di
assistenza familiare in caso di separazione e scioglimento del matrimonio”, si apre un
nuovo scenario.
Il 570bis c.p., infatti, amplia le tutele previste dal 570 c.p., stabilendo che: “le pene
previste dall’articolo 570 c.p. si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di
corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di
cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di
natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso”.
Come si nota, mentre l’articolo 570 limitava l’applicazione della pena al solo
genitore che faceva mancare i mezzi minimi di sostentamento ai propri figli, ora le
stesse pene possono essere applicate, grazie al 570bis, al coniuge che si sottrae
all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto in caso di separazione, di divorzio,
e persino ai casi di annullamento del matrimonio.
Ad ogni modo, non sembrano mancare critiche sulla portata legislativa e
sull’applicabilità della norma.
Sembrerebbe che il legislatore, infatti, non abbia previsto nessuna tutela per coloro
che scelgono la convivenza di fatto, sia per le coppie omosessuali che etero,
dimenticandosi completamente di quei cittadini, che oramai stanno aumentando di
gran misura.
Nel caso delle unioni civili per le coppie omosessuali e i patti di convivenza per le
coppie eterosessuali che non scelgano il matrimonio, ma sanciscano la loro unione di
fronte ad un notaio e all’ufficiale di stato civile, il legislatore non ha previsto nulla.
Anche per le spese straordinarie, ossia quelle che riguardano la palestra o il medico,
il legislatore non chiarisce se il loro mancato pagamento integri o meno il reato de
quo.
Non si può fare altro che auspicare che il legislatore, colmi tale lacuna, e detti una
disciplina che consideri tutte le situazioni che ricomprednono tale obbligo

Avv. Giovanna Ventre

Studio Legale Franzetta Dassano

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