Da Torino un gene che costringe il cancro al suicidio

Marco Accosato su Lastampa.it

La nuova arma contro i tumori è spingere il cancro al suicidio. Inoculando nella cellula malata un gene terapeutico preparato in laboratorio, all’Istituto di Candiolo per la Ricerca e la Cura del Cancro si è riusciti a trasferire con la terapia genica il Dna di un anticorpo in grado di «spegnere» un oncogene responsabile per la crescita invasiva. Gli anticorpi prodotti da questa sorta di cellula-laboratorio e trasferiti alle cellule malate vicine, rallentano la crescita del cancro e impediscono la diffusione delle metastasi.

Lo studio, sviluppato dalla dottoressa Elisa Vigna, giovane e brillante ricercatrice dell’Ircc, e dal professor Paolo Comoglio, direttore scientifico dell’Istituto alle porte di Torino, è durato quattro anni e sviluppa una sofisticata tecnologia messa a punto negli stessi laboratori dal professor Luigi Naldini: l’infettività del virus dell’Hiv opportunamente modificato può essere utilizzata come proiettile biologico in grado di trasportare materiale genetico come fosse un farmaco. Un lavoro – quello di Naldini – descritto otto anni fa sulle pagine di Nature, arricchito oggi dal successo della dottoressa Vigna, pubblicato su Cancer Research, organo ufficiale dell’Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro. «Successo – dice la ricercatrice torinese – che incoraggia ulteriori studi sulla cura del cancro attraverso approcci molto promettenti, anche se non ancora applicabili ai pazienti».

La terapia genica potrà fornire un’alternativa all’utilizzo degli anticorpi monoclonali convenzionali. «Gli anticorpi convenzionali – dice la dottoressa Vigna – devono essere somministrati solitamente in dosi elevate, il che provoca effetti collaterali e può stimolare una risposta auto-immune dell’organismo». Grazie al trasferimento dei geni terapeutici nella cellula, è il cancro stesso ad autoannientarsi con un’arma naturale che l’organismo è in grado di sintetizzare, secernere e regolare.

Una «terapia attiva», com’è stata definita dalla rivista americana. La tecnica è stata sperimentata con risultati positivi su animali di laboratorio trapiantati con cellule umane di Glioblastoma Multiforme, un tumore del cervello per il quale le cure convenzionali presentano molti problemi. La stessa tecnica – che ha come bersaglio l’oncogene Met che interessa circa il 5 per cento di tutti i tumori epiteliali – si è comunque già dimostrata efficace anche nel trattamento di altri tipi di tumore. Per questa ragione, con «cauto ottimismo», i ricercatori dell’Ircc di Candiolo stanno compiendo i passi necessari per organizzare un trial clinico internazionale.

Innovazione e nuove tecnologie in Piemonte secondo il PD

Dal Manifesto del Forum del PD su innovazione e nuove tecnologie in Piemonte

Il nostro tempo è caratterizzato da un poderoso sviluppo della scienza e dell’innovazione tecnologica congiunto ad un fenomeno di abbattimento delle distanze e delle frontiere economiche e culturali noto sotto il nome di “globalizzazione”.

Le dinamiche ed i cambiamenti (economici, sociali, culturali, persino ambientali) sono sempre più veloci , complessi, interconnessi e non lineari.

Ad una crescita delle opportunità corrisponde un aumento dei rischi, tra cui quello che l’innovazione e lo sviluppo, anziché rispondere all’esigenza di migliorare le condizioni e le prospettive di vita delle persone e dell’umanità, si pieghino alle pure leggi del mercato competitivo e del profitto.

Diventa perciò sempre più urgente l’esigenza di un governo della complessità a tutti i livelli (locale e globale, individuale e collettivo, privato e pubblico), che consenta anche ai popoli e ai Paesi emergenti di accedere ai benefici dello sviluppo economico, ma che sia ispirato all’etica della democrazia liberale, della responsabilità sociale e della sostenibilità ambientale.

Sempre di più, la risorsa fondamentale per affrontare tutte queste sfide è la conoscenza, intesa sia come accesso all’informazione, sia come sapere, sia come competenza, ovvero padronanza delle tecniche e delle tecnologie; prime fra tutte, proprio quelle tecnologie informatiche che consentono di condividere e socializzare la conoscenza, fertilizzando il tessuto sociale e migliorandone i frutti.

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Codici genetici per tutti

Via Vittorio Pasteris

23andMe è l’azienda che, partendo da un campione di saliva, promette di analizzare il DNA consegnando all’utente uno spaccato di quelle che sono le caratteristiche che porta in dote all’interno del proprio codice genetico. Il gruppo ha ricevuto l’importante riconoscimento di “Invenzione dell’anno” da parte del Time solo nei giorni scorsi e con le luci della ribalta sono in molti ad aver avuto un primo curioso impatto con la proposta dell’azienda.

Il DNA è in qualche modo il nostro codice sorgente, ciò che fa funzionare la “macchina” del corpo, ciò che regola il modo in cui ogni nostra caratteristica è stata maturata dal momento del concepimento in poi. Analizzarlo significa poterlo decodificare in modo che possa essere poi interpretato in una seconda fase. Ed è questo il passaggio più importante: i meandri del codice vengono messi in chiaro e “tradotti” secondo quello che è lo stato attuale della ricerca.

Quello che 23andMe intende proporre è una cosa relativamente rivoluzionaria: aprire il DNA al suo legittimo proprietario, così che ognuno possa leggere e conoscere le proprie caratteristiche e conoscere meglio se stesso di quanto non si possa fare davanti a uno specchio. Ma 23andMe offre anche altro: agendo su base statistica, confronta le attitudini personali ed è in grado di mettere in rapporto le nostre caratteristiche con quelle medie della popolazione, evidenziando così peculiarità accentuate o potenziali pericoli connessi ad eventuali mutazioni genetiche.

23andMe è stata fondata nell’Aprile del 2006 da Linda Avey ed Anne Wojcicki. Di quest’ultima si sa già molto: moglie del cofondatore di Google Sergey Brin, russa di origini come il marito, la Wojcicki è laureata in biotecnologie e la sorella Susan è tra i massimi responsabili all’interno dell’azienda Google. Se si aggiunge al quadro famigliare anche il complessivo dei milioni di dollari versati da Google in 23andMe, diventano oltremodo chiari i forti legami che le parti hanno maturato, legami destinati a scatenare una serie di riflessioni a cui le aziende dovranno sottoporsi prima di compiere qualsiasi ulteriore passo comune.

Il salvagente di Reply su Motorola

Raphael Zanottti su Lastampa

La Reply è interessata ad assorbire almeno una parte degli esuberi della Motorola. Arriva da un’azienda piemontese la prima risposta alla crisi del centro ricerche della multinazionale americana dei telefonini. La società specializzata in sistemi informatici ha intenzione di espandersi. Per questo ha chiesto la disponibilità di una grossa area (si parla di una superficie compresa tra i 5 e gli 8000 metri quadri) in una delle due maniche delle ex Ogr, proprio accanto al Politecnico di Torino. Una richiesta vagliata in un recente incontro tra Politecnico, Comune di Torino, Regione Piemonte e rappresentanti della banca San Paolo-Intesa.

«Una buona notizia – ha commentato il presidente della Regione Mercedes Bresso – perché se è vero che la crisi c’è, è pur vero che il sistema industriale piemontese sembra rispondere bene. Il Politecnico di Torino si mostra un polo attrattivo per le imprese, e questo potrebbe aiutare il nostro tessuto economico a superare meglio il momento difficile».

L’espandersi di Reply prelude a nuove assunzioni. La professionalità ricercata è la stessa dei 370 ingegneri del centro ricerche Motorola. Reply, dunque, potrebbe rappresentare un paracadute importante. Anche perché per adesso non sembra profilarsi all’orizzonte un cavaliere bianco che possa acquistare in blocco il centro ricerche e rilevare i suoi dipendenti. «Continuiamo a lavorare all’ipotesi – spiega la Bresso – ma due mesi sono quelli che sono. Per ora dagli Stati Uniti non è ancora arrivata risposta rispetto alla lettera che abbiamo inviato come Comune e Regione».
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La ricerca perduta

Andrea Rossi su Lastampa

Sette di sera. Via Giuria, al primo piano Francesco Prino, professione ricercatore, è ancora in ufficio. Il suo team lavora al progetto Alice. Da quel laboratorio sono usciti due «pezzi» dell’Lhc, il maxi acceleratore di particelle realizzato al Cern di Ginevra per ricreare i primi momenti successivi al Big Bang. In quattro anni di lavoro il ricercatore Francesco Primo ha raggiunto quota 1600 ore «extra» lavorate. Il ministero non gliele pagherà mai, perché non era tenuto a farle. Lui lo sa e ci scherza su: «Se mia moglie lo viene a sapere rischio il divorzio».

Gli Stakanov dell’Università non estraggono carbone come il leggendario minatore sovietico, ma idee, volumi, progetti. Macinano giornate tra cattedra e laboratorio, accumulano ore in eccesso che mai saranno pagate. Un esercito di under 40: 857 all’Università, 347 al Politecnico dove al conto vanno aggiunti 588 assegnisti e 700 dottorandi. Precari, molti, eppure pilastri della ricerca. Poi ci sono docenti e direttori di dipartimento, e anche qui – per molti – le ore lavorate e le nottate in bianco non si contano.
In Italia non hanno molti rivali. Basta scorrere l’ultimo rapporto del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (Civr), che vede Università e Politecnico piazzate ai primi posti in molti settori, a cominciare dalle aree scientifiche e tecnologiche. Un universo che produce ad altissimi livelli ma vive al limite e – ora che nuovi tagli sono in arrivo – spesso oltre. Prendete Francesca Filippi. Il computer su cui lavora al dipartimento di Progettazione architettonica è suo, nel senso che l’ha comprato di tasca propria: «Siamo in tanti, senza telefono e a volte anche senza una targhetta fuori dall’ufficio».
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Progettavano l'anti Iphone

Daniele Lepido sul Sole 24 Ore

“Battere l’iPhone si poteva. E alla Motorola di Torino avevamo già allo studio un paio di nuovi modelli pronti a competere con lo smartphone della Apple. Poi è arrivata la batosta dei licenziamenti e la tragedia del vedersi trasformati in disoccupati (probabilmente) costretti a scappare all’estero. Pensare che ci chiamavano gli ingegneri più bravi d’Europa, ci chiamavano…”.
Parla così R. B., manager del centro di ricerca torinese della Motorola, il più grande in Europa nel settore multimedia, uno dei 370 rimasti senza lavoro dopo la decisione della multinazionale americana di azzerare i laboratori piemontesi a seguito della scelta, tutta industriale, di non puntare più sulla piattaforma Symbian, che fa capo a Nokia, ma su Android di Google e su Windows Mobile e P2k. Quello stesso centro che da dieci anni produce saperi, tecnologia e cellulari hi-tech come il Motorola Q, uno dei concorrenti del Blackberry.

Il super-informatico è il primo dipendente del gruppo ad uscire allo scoperto e a parlare in esclusiva con un giornale, senza eccessi e con pudore, pur in una situazione personale e professionale di grave disagio. Il suo è il profilo di un tecnico altamente qualificato e con un buon stipendio (70mila euro lordi l’anno), un’esperienza in aziende internazionali alle spalle e, come molti, una famiglia da mantenere. Un caso, quello della Motorola, che ha spiazzato persino la Cgil che si è trovata di fronte a un’impresa che non aveva al suo interno neppure una rappresentanza sindacale unitaria. “Nella nostra mentalità chi ci pensava? – continua l’esperto – E non è una cosa strana.

La notizia della chiusura ci ha lasciati increduli e ci abbiamo messo un po’ a capire cosa stava succedendo perché noi eravamo completamente a digiuno di cultura sindacale e ora ci è rimasta addosso un’amarezza e una rabbia incredibili. Prenda nota di questo: qui ci consideravamo quasi una succursale della Silicon Valley e se tu vai a chiedere a un nerd della Silicon Valley, con tutto il rispetto, cos’è un orario di lavoro o un cartellino da timbrare, quello ti ride in faccia. Lui lavora con la bulimia dello studioso, come si fa in università, e ha l’ansia di arrivare al risultato perché ci sono gioco la sua testa, il suo cuore, la sua creatività. Il resto non conta”.

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Il mese dello scorpione: i festeggiamenti Abarth

A Torino giovedì 13 novembre sarà inaugurata  “Da 0 a 100”, una mostra per celebrare il centenario di Karl Abarth che nasceva a Vienna il 15 novembre 190. Karl Abarth fu mente e cuore dell’omonima azienda  specializzata nell’elaborazione sportiva delle automobili. Performance,  velocità e potenza sono, da allora, i tratti distintivi del brand dello  scorpione.

Dal 16 novembre al 9 gennaio 2008 Torino Esposizioni ospiterà il percorso espositivo che ripercorrerà le tappe fondamentali della vita Karl Abarth: i visitatori scopriranno i momenti più importanti, le curiosità, i successi del marchio, seguendo un filo conduttore che lega il passato, il presente e il futuro della casa dello scorpione. Il tutto completato dalla scenografica esposizione di alcuni dei modelli più celebri della storia di Abarth.

In occasione delle celebrazioni del centenario di Karl Abarth, un vero mese dello scorpione, con  l’inaugurazione della mostra a lui dedicata, gli amministratori delegati  di Intel e Abarth presenteranno il primo risultato della loro partnership.  L’evento sarà inoltre occasione di approfondimento sulle ultime novità dai  mondi Intel e Abarth.

Per gli amanti dello «Scorpione», siano essi di lunga data o meno, domenica 16, in contemporanea all’apertura della mostra al pubblico, si svolgerà l’«Happening Abarth»: un’opportunità per confrontarsi con altri fedelissimi del marchio e passare una giornata con le nuove vetture. Ma anche l’occasione per visitare le nuove officine e la nuova sede dell’Abarth Spa.

Istat sull'innovazione nelle imprese italiane

Via Pmi.it

Diffusi oggi i dati ISTAT sul livello di innovazione registrato dalle imprese italiane, nell’ambito dell’indagine europea sull’innovazione nei paesi Ue (CIS – Community Innovation Survey).

Il 27% delle imprese in Italia, nel triennio 2004-2006, ha introdotto in azienda o sul mercato innovazioni di prodotto o processo. La percentuale scende al di sotto del 25% nel caso delle Pmi con meno di 50 addetti, per questa categoria con investimenti inferiori al 20% della spesa complessiva, che risulta globalmente in calo del 5% rispetto alle rilevazioni 2004.

Il rapporto ISTAT Innovazione nelle imprese italiane si basa sulla valutazione delle attività innovative di un campione di 17mila aziende dai dieci addetti in su, e si articola su tre comparti d’analisi: piccole e medie imprese ed esercizio di arti e professioni; sistema dei conti delle imprese; Intermediazione monetaria e finanziaria e Assicurazioni.

Il rapporto restituisce perciò sia dati classificati per settore di attività economica che per dimensione aziendale. Le imprese più innovatrici sono state quelle del settore Industria (36,3%), seguite da Costruzioni (17,3) e Servizi (21,3%). In particolare, su un ammontare complessivo di quasi 29 miliardi di euro spesi dalle nostre aziende, oltre il 60% riguarda proprio il comparto Industria.

Le innovazioni avvengono soprattutto a livello di innovazione di processo (50,5%) mentre nel 35,2% dei casi tali attività si estendono anche al prodotto, su cui si concentra in esclusiva il 14,3% delle imprese italiane.

Interessante la valutazione ISTAT sul grado di novità e originalità delle innovazioni di prodotto introdotte: nuovi in assoluto o nuovi per l’impresa. Il 6,9% delle imprese italiane (il 25,4% di quelle che innovano) ha lanciato sul mercato novità assolute, e di queste il 5,6% proveniva da Pmi con meno di 50 addetti (22,4% tra le aziende innovative).

Tre nomi per il dopo Motorola

Via Repubblica

«Dobbiamo trovare una soluzione per la Motorola, con gli enti locali, gli industriali, l’azienda. Ci sto lavorando». Il rettore del Politecnico, Francesco Profumo, non vuole lasciare nulla di intentato, insieme a Regione e Comune, non tanto per evitare che la «M» del colosso statunitense scompaia da via Cardinal Massaia, ma per scongiurare un fuggi-fuggi delle competenze che si sono formate in dieci anni. Ci sono trattative in corso? Bocche cucite e soprattutto i tempi sono stretti: 75 giorni da lunedì scorso. Tutti i 370 addetti rimarranno a casa dal 19 gennaio. Non mancano le indiscrezioni.

Sembra che Motorola abbia fatto intendere agli enti locali di avere in corso contatti con un gruppo, senza spiegare però di cosa si tratti. A questo si aggiunge che dirigenti italiani abbiano cercato una sponda nell’avversario diretto degli americani: la Nokia. Risposta? Non ha escluso di prendere in considerazione l’i potesi. Molto più di sostanza sembrano i tentativi di coinvolgere una grande società indiana, attiva nel settore dei software per le telecomunicazioni. D’altronde la stessa Motorola ha storici rapporti con l’India e un centro a Bangalore. E su questa partita potrebbero entrare in gioco altre due società, entrambe giapponesi. Gruppi mondiali che avrebbero puntato gli occhi su Torino e che in questo momento, con l’addio di Motorola, potrebbero assorbire, sempre che le trattative per l’apertura dei siti vadano a buon fine, gli addetti lasciati a casa. Si parla della Fujitsu, interessata alla cittadella del Poli, e della Sharp, proiettata sul vercellese per avere più spazi. Contatti che passerebbero attraverso Poli ed enti locali.

«Sono molto dispiaciuto di quanto è accaduto — aggiunge il rettore Profumo — perché il centro ricerche Motorola è uno dei migliori al mondo. Ci sono competenze uniche». Lunedì Profumo, insieme all’a ssessore regionale all’Innovazione e all’Università, Andrea Bairati, incontreranno il direttore generale del sito torinese, Massimo Marcarini, che ieri ha parlato telefonicamente con la presidente Bresso: «Il patrimonio umano e personale non va disperso», dice la presidente che scriverà ai vertici statunitensi di Motorola per chiedere un allungamento dei tempi di chiusura. Missiva che si va ad aggiungere a quella firmata dal sindaco Chiamparino. «I due mesi e mezzo previsti sono troppo poco per trovare una soluzione», dice Bairati.

Il vicesindaco Tom Dealessandri ha incontrato un gruppo di lavoratori, riunione dove è emersa l’ipotesi che alcuni professionisti decidano di mettersi in proprio, creando aziende più piccole nel campo delle tlc e dei software, anche grazie all’aiuto del pubblico. Uno scenario che prende piede a Palazzo Civico e che il vicepresidente della commissione lavoro, Enzo Lavolta, vorrebbe trasformare presto in realtà.

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Torino, l'epicentro della crisi

Via Repubblica.it

Il conto della crisi per Torino è salato. Più salato che altrove. Ed è bastata una settimana nera di annunci, fra chiusure e cassa integrazione, per convincere il sindaco Sergio Chiamparino che «la città sta pagando dazio più di altri». Il cardinale, Severino Poletto, che ieri ha incontrato il primo cittadino, è preoccupato «per le famiglie dei lavoratori precari che non hanno nemmeno diritto alla cassa integrazione». La presidente della Regione, Mercedes Bresso, non fa fatica a fornire le cifre: «Un quarto delle grandi imprese del Piemonte sono a rischio, ci sono quaranta tavoli di crisi aperti e il credito al consumo ammonta a otto miliardi di euro». Sotto la Mole, il 21 novembre, sarà sciopero generale dell´industria. Un fermo proclamato dalla numero uno della Cgil provinciale, Donata Canta, presente il segretario generale di corso d´Italia, Guglielmo Epifani, che non ha dubbi: «Torino è l´epicentro della crisi». Ed il segretario regionale del Pd, Gianfranco Morgando, ha convocato una riunione urgente a Roma dei parlamentari piemontesi per esaminare la situazione. I numeri parlano chiaro: 3 mila posti in bilico e 40 mila in cassa integrazione.

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A far paura non è solo la situazione della Fiat e dell´indotto auto, ma le decisioni prese da gruppi come Motorola. Il colosso dei telefonini, dopo nove anni di attività del centro ricerche e un sostegno pubblico non indifferente, ha cancellato 370 lavoratori. Tutti giovani ingegneri e tecnici che ieri mattina si sono sentiti dire: «Si chiude». E al danno rischia di aggiungersi la beffa. Il gruppo non ha pagato i contributi per gli ammortizzatori sociali, quindi addio alla cassa integrazione ordinaria. Altra multinazionale che ha annunciato da un giorno all´altro di voler serrare i cancelli è la Dayco: 470 tute blu, che fino a ieri hanno occupato lo stabilimento, in mobilità.

Crisi che si vanno ad aggiungere a situazioni ormai in cancrena, come la storica Bertone, dove in 1.200 sono in attesa di sapere, dopo tre anni di cassa integrazione, se gli amministratori nominati dal tribunale troveranno una soluzione. Ma ben presto si potrebbero aggiungere altre 700 tute blu della Pininfarina, in profonda crisi ed in cerca di una boccata d´ossigeno da parte delle banche. L´azienda, dopo la morte di Andrea Pininfarina guidata dal fratello Paolo e dalla sorella Lorenza, deve far fronte ad una mole di debiti pari a 700 milioni di euro e ad un calo vistoso della produzione, tanto che si ipotizza la chiusura di due stabilimenti nel Canavese e una riduzione degli addetti.

Anche i francesi della Michelin hanno inferto un colpo a Torino, storico insediamento della multinazionale delle gomme. Lo stabilimento Stura sarà chiuso, ma gli addetti non finiranno in strada: i 640 operai verranno trasferiti a Cuneo ed Alessandria. A Mirafiori e nei siti del gruppo Fiat il clima non è migliore. Non si parla di esuberi, ma da ieri fino al 16 novembre i portoni del più grande stabilimento italiano sono chiusi per 3.500 operai. Tutte le linee, tranne quella dell´Alfa MiTo. Cassa ridotta a sette giorni per 1.200 addetti della Powertrain nell´ex Iveco. Nei prossimi mesi si replicherà, mentre i sindacati temono che a gennaio si dovranno fare i conti con scelte ancora più pesanti.