Suicidio assistito

Ieri a Londra la Camera dei Lords    ha iniziato a discutere di suicidio assistito.
Ovvero stanno discutendo della possibilita` per i medici di aiutare i pazienti a suicidarsi, fornendo loro delle pillole apposite.
 A proporre la legge e` lord Joffe, un
avvocato non affiliato ad uno dei gruppi parlamentari.

La proposta di legge prevederebbe alcune limitazioni:
Il malato dovrebbe stare soffrendo molto;
Il malato dorebbe avere non piu’ di sei mesi
di vita prevista;
Il malato dovrebbe essere capace di intendere e volere.

 La legge e` osteggiata da tutte le
confessioni religiose. Fin qui non c’e` molto di strano. Spesso infatti le
confessioni religiose osteggiano questo tipo di leggi in materia di vita.
L’Associazione dei Medici
di Famiglia (Royal College of Physicians
) ha dichiarato che 75% dei suoi membri
e` contrario all’introduzione della legge.  L’Ordine degli Infermieri (Royal
College of Nursing) e` pure contrario. Ma come mai?  Essi dicono che nessuno oggi e` inevitabilmente
destinato a soffrire pene atroci  prima
della morte.Esiste la cosi’ detta medicina palliativa, un ramo della medicina
che ha lo scopo di eliminare  il dolore
anche quando non e` possible guarire la malattia. Dicono che si tratta di fornire la
giusta assistenza al malato, non di fargliela macare e poi offrirgli la   
soluzione del suicidio.
Essi affermano che il malato terminale e`, per definizione,
totalmente dipendente da qualcun altro: la famiglia, i conviventi o l’ospedale. Cio’ lo mette
in una quasi necessaria situazione di subordinazione. In molti casi il malato
non cerca di fare quello che vuole, ma quello che pensa possa fare contenti
quelli che lo assistono (parenti medici e infermieri). Cio’ limita molto la
possibilita` che chi decide di suicidarsi in quelle condizioni lo faccia liberamente.
Negli ospedali I medici sono sotto continua
pressione per liberare letti per nuovi pazienti. I budget della sanita` sono
quello che sono. Se loro avessero la possibilita` di liberare letti, aiutando I
malati a suicidarsi, la pressione su di loro diverrebbe davvero grande. Non la
vogliono.

 I lords ieri hanno deciso di postporre la
discussione della legge di sei mesi.

Gustavo Rinaldi

Addendum del 28 maggio 2006
In Italia la ministra Turco promette piu’ attenzione alla medicina palliativa; ben venga! Ce n`e` davvero bisogno  G.R.


Autostrade del mare e balene

Poiche` il trasporto via mare e` uno  di quelli che inquina  poco e costa meno bisognera` cercare di incoraggiarlo. A cio’ si aggiunga che in un viaggio Palermo-Genova un TIR puo’ essere solo difficilmente piu’ veloce di una nave. Il primo deve percorrere 1428 chilometri agli 80 al’ora, se rispetta le leggi vigenti. Se potesse mantenere quella velocita` sempre, ci metterebbe quasi 18 ore; a cio’ si aggiunga qualche fermata, qualche coda e qualche incidente per la strada e facilmente si raggiungono le  20 ore di viaggio. Questo e’ quanto necessario ad una nave per fare Palermo Genova. Sono relativamente pochi i tipi di merce  per i quali poche ore di differenza contano molto. Certo organizzare dei trasporti navali efficienti e veloci non e` una cosa semplicissima, perche’  occorrono non solo porti moderni e ben attrezzati e navi veloci e capaci di caricare e scaricare in fretta e bene, ma anche una capacita` di organizzare il lavoro dentro e fuori i porti in maniera efficiente e competitiva. I porti non possono essere  isole e, se non sono ben collegati con una efficiente rete ferroviaria, divengono molto meno utili. Ancora una volta` l’accento va posto piu’ sull’organizzazione degli uomini che sulle strutture di ferro e cemento. Sono le relazioni tra esseri umani che ci vedono piu’ spesso deboli e perdenti.
Migliorare i nostri porti ed i loro annessi non solo favorira` i trasporti tra nord e sud dell`Italia, ma anche favorira` una partecipazione italiana nel mercato internazionale dei servizi portuali e di logistica, dove il potenziale di crescita e’ notevole.   foto:Stefan Jacobs

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Il mare e` anche abitato da altri mammiferi, le balene. Esse gia` oggi sono spesso vittime di incidenti nautici dove riportano ferite o muoiono.
Probabilmente esiste qualche modo intelligente per  risolvere il problema di questi incidenti. Intanto si puo’ stabilire che le navi seguano il piu’ possibile rotte precise, evitando  cosi’ i posti piu’ frequentemente abitati dai cetacei.  Inoltre gli zoologi marini forse potranno identificare e  suggerire qualche
modo per poter avvertire le balene dell’arrivo delle navi, tenendole  a debita distanza; una specie di clacson per balene.  Non dico di conoscere la soluzione, dico che e` possibile cercarla  e forse anche trovarla.
Il nostro mare ci puo’ aiutare a collegare  il nord ed il sud del paese, ma non per questo dobbiamo rinunciare all’onore e privilegio di ospitare alcune delle piu’ belle comunita` di balene del mondo.

Aviaria: pandemia o normale “influenza dei polli”?

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Un piccolo riepilogo lontano dai clamori mediatici.

Cos’è un virus? Il termine virus (dal latino virus, "veleno"), indica un agente infettivo di dimensioni ultramicroscopiche, costituito essenzialmente di materiale genetico (DNA o RNA) circondato da un rivestimento protettivo proteico. Cos’è l’influenza aviaria? Una malattia virale trasmessa dal virus H5N1 della famiglia Orthomyxoviridae, genere Influenzavirus A (lo stesso che causa l’influenza nelle altre specie animali e nell’uomo). Del virus influenzale sono conosciuti numerosi sottotipi, diversi l’uno dall’altro a dipendenza della  loro conformazione esterna. Questa conformazione è determinata in particolare da due strutture che compongono la membrana esterna del virus: la neuramidinasi (N) e l’emagglutinina (H). Si parla d’influenza aviaria perché essa ha un particolare adattamento nei riguardi dei volatili selvatici, mentre di norma, soltanto virus appartenenti a tre sottotipi di H (H1, H2, H3), di cui gli uccelli sono portatori sani, infettano l’uomo. Il pericolo potrebbe essere costituito dal fenomeno della ricombinazione genetica: nel caso d’infezioni concomitanti in uomini o in suini, i virus d’origine diversa (ceppi umani H1, H2, H3 e aviari H5, H7) potrebbero entrare in contatto e scambiarsi materiale genetico. In questo modo si originerebbero varianti dotate di nuove caratteristiche e nuove potenzialità infettive. L’ipotesi più preoccupante riguarderebbe la nascita di un virus patogeno, trasmissibile da persona a persona e con nuove caratteristiche antigeniche, non riconosciuto dal nostro sistema immunitario. La possibilità che nel nostro paese ciò possa accadere è molto remota: non v’è contatto diretto e continuativo con uccelli selvatici, mentre quelli d’allevamento sono strettamente isolati e monitorati e quindi non pericolosi per l’uomo, né c’è convivenza con suini, indicati spesso come possibili ambienti ideali per una ricombinazione genetica. Insomma, quelle condizioni di promiscuità tra animali e uomo, che hanno causato in Asia quei pochi casi d’infezione aviaria trasmessa all’uomo (trasmissione resa possibile da un fenomeno detto di drift antigenico, cioè mutazioni spontanee del genoma del virus H5N1, diverso dai fenomeni di shift, il pericoloso riassorbimento genetico, nel caso con virus specifici per l’uomo), non sono attuali in Italia. Chiariamo che per contrarre il virus bisogna stare a stretto contatto con un animale infetto, morto o vivo, e che un pollo cotto non costituisce alcun pericolo dato che la temperatura di cottura è in grado di inattivare il virus e in più, come già precisato, i controlli veterinari impediscono il contagio dell’aviaria ai nostri allevamenti. I media così solerti nel rilanciare con tono enfatico allarmi tutti da dimostrare, non sono poi altrettanto pronti a comunicare che molti casi d’influenza aviaria in animali d’altra specie, umana e recentemente nei gatti, si sono risolti con complete guarigioni, dimostrando, tra le altre cose, che la patogenicità del virus H5N1 sembra andare scemando. Se pandemia sarà ci arriverà da lontano e a trasmettercela provvederanno, probabilmente, uomini e donne che, per loro disgrazia, vivono in remote zone rurali del pianeta, dove la presenza di un medico o di un veterinario è cosa molto rara.
Fabio

curatore de Il Corriero

http://www.ilcorriero.ilcannocchiale.it/

Ricerca: piu’ fondi, competizione e parametri oggettivi.

La ricerca in
Europa, in Italia, in Piemonte e a Torino non e’ solo mediamente molto piu’
povera di quella americana, ma anche
finanziata secondo criteri normalmente meno competitivi.

Spesso i fondi
vengono assegnati da delle commissioni aggiudicatrici in base alla validita’
dei progetti presentati e al curriculum dei presentanti. Inutile dire che
questo tipo di assegnazione si presta ad abusi e assomiglia piu’ ad un concorso
di bellezza che ad una gara su parametri oggettivi. Contano molto i contatti
che si ha a Bruxelles, nelle capitali nazionali, in Regione, a Torino, nelle fondazioni
bancarie…

Il  rischio per la collettivita’ e’ quello di
perdere degli ottimi ricercatori, non abbastanza bravi nel creare reti di contatti.

Sarebbe
decisamente meglio assegnare risorse ai dipartimenti di ricerca in base alla
quantita’ e qualita’ delle loro pubblicazioni negli ultimi cinque anni. Dove
per la qualita’ bisognerebbe usare i criteri di importanza usati dalle
principali riviste scientifiche e nei migliori dipartimenti universitari del
mondo. Per aumentare le possibilita’ di accesso nella serie A della ricerca,
ogni dipartimento dovrebbe sapere che attraendo presso di se’ ricercatori con
pubblicazioni recenti e di prestigio, potrebbe attrarre un relativo rivolo di
denaro. Ci sarebbe cosi’ un incentivo ad attrarre ricercatore bravi. Questo metodo e’
attuabile a tutti i livelli da quello comunitario a quello comunale o di
fondazione bancaria.  Nel caso
dell’Unione Europea e dell’ Italia non si dovrebbe vietare i sussidi pubblici
alla ricerca, in base al principio che distorcerebbero la concorrenza.Cioe’ se la
regione Marche o il comune di Catania volessero sostenere la ricerca delle universita’ operanti sul loro
territorio, perche’ queste potessero divenire piu’ competitive nella
competizione Europea, dovrebbero poterlo
fare liberamente. Oggi e` cosi’ e cosi’ deve rimanere.

 Qualcuno notera’
che questo sistema finira’ per avvantaggiare alcuni atenei a discapito di altri
e lamentera’ l’ingiustizia. Di fatto oggi la ricerca e’ prodotta in ben pochi luoghi e per i ricercatori di
molte zone d’Europa ed Italia non resta che l’emigrazione. Li ritroviamo
ricercatori o professori a Birmingham, ad Harvard o alla London School of
Economics. Questo sistema permetterebbe a loro di tornare in Italia, se lo
volessero,  e forse richiederebbero ad
alcuni ricercatori rimasti a casa di rimettersi a studiare o di riscoprire
delle capacita’ in loro nascoste.

 Inoltre si potra’
notare che perfino la pubblicazione su grandi riviste scientifiche non avviene
secondo un criterio assolutamente oggettivo perche’ anche presso di esse i
“network”, le reti di contatti, contano. E’ vero. L’oggettivita’ assoluta non
c’e’, ma non abbiamo miglior criterio di questo, la pubblicazione su riviste
internazionalmente accettate dalla comunita’ scientifica mondiale. Gli altri
criteri hanno vizi ancora peggiori. Se avessimo delle burocrazie perfette
potremmo assegnare a delle amministrazioni composte di “esperti” il compito di assegnare i fondi, ma questo non sembra essere il caso. E` megio avere meccanismi automatici, che non dipendono da  amministratori esperti ed imparziali.

 Ci vogliono piu’ soldi per la ricerca e
piu’ competizione vera per ottenerli.