Conversazione su Torino con Bruce Sterling

Dal sito di Torino World Design Capital l’intervista di Mark Vanderbeeken a Bruce Sterling

Bruce Sterling è uno scrittore di fantascienza americano, noto in particolare per i suoi romanzi e l’autorevole progetto antologico Mirrorshades, che ha definito il genere letterario cyberpunk. Ma è anche un acclamato futurologo e un critico di design. Nel suo libro di recente pubblicazione “Shaping Things”, Bruce ha coniato il termine “spime” per indicare oggetti di futura fabbricazione, che si basano su un supporto informatico talmente esteso e vario, da renderli esemplificazioni materiali di un sistema immateriale.

Nel 2003 ha ottenuto la cattedra presso l’European Graduate School, dove in estate tiene dei Corsi Intensivi di media e design. Nel 2005 è stato invitato a curare il programma “Visionary in residence” presso l’Art Center College of Design di Pasadena, in California. Da quest’autunno, vive a Torino con la moglie Jasmina Te¨anović, scrittrice e regista serba, e ha collaborato in veste di guest curator all’allestimento del Torino SHARE festival

Dom.:Come sei approdato a Torino?

Sono stato invitato. Lo scorso anno, ho partecipato allo SHARE Festival e mi ha profondamente colpito. E’ un piccolo festival, ma ogni anno acquisisce più importanza. Mi hanno proposto di diventare il curatore ospite e aiutarli ad organizzare l’edizione successiva. Allora mi sono detto: “Beh, ecco un peccato che non ho ancora commesso!”. E non avevo alcun motivo per rifiutare. Parafrasando Carla Bruni: “Non potevo dire di no al Presidente. Non c’era motivo per rifiutarlo!”. Neanche io avevo alcun motivo per dire di no, e ho ottenuto ottimi risultati con il lavoro svolto qui.

Dom.: Ti sei fatto un nome a Torino. Ti vedo spesso sul podio, come oratore, anche a fianco di rappresentanti politici.

Questo perché sono un giornalista. Mi interesso a ciò che fanno. Inoltre scrivo per la stampa italiana, e la gente è molto disponibile con i giornalisti, perché ama apparire sui giornali. Personalmente, non mi dispiace affatto. Non chiedo niente in cambio, per altro. Non sono qui per fare pressioni o avanzare richieste assurde. Sono un tipo allegro e innocuo, davvero.

Dom.: E nel frattempo hai avuto l’opportunità di comprendere a fondo la città.

Gli stereotipi non fanno mai giustizia a nessuno, ma se dovessi descrivere in poche parole i torinesi, dovrei rifarmi ai tratti classici per cui sono noti in tutta Italia: freddini, formali, squadrati, militarizzati, ingegneri, cervellotici, intellighenzia, con in più una bizzarra vena mistica. Torino può sopravvivere senza l’Italia, ma l’Italia non sopravvivrebbe senza Torino. I torinesi sono aristocratici, immersi nel proprio universo mentale… So che sto esagerando, ma c’è anche un briciolo di verità.

Dom.: Ma è anche una città in piena trasformazione. Desideravi prendervi parte?

Come americano, quando vedo un posto in fase di radicale cambiamento, mi domando quali siano le leve che mettono in moto il meccanismo. Di conseguenza, all’inizio, quando sono arrivato, ponevo le domande sbagliate, nel tentativo di individuare la mente alla base della trasformazione. E invece quest’ultima non viene dettata dal tecnocrate di turno, come accadrebbe negli Stati Uniti. Si tratta piuttosto di un fenomeno socio-culturale.

Dom.: In che senso?

In America, un forte cambiamento a livello sociale di solito è messo in moto da due categorie, avvocati e finanzieri, ed implica una revisione delle norme giuridiche. Inoltre gli americani si aspettano che i problemi e le sfide siano affrontate con una soluzione di natura tecnica.

All’estero, come americano, ho applicato la stessa logica e cercavo di individuare i soggetti che, da dietro le quinte, controllano il cambiamento. Tali individui esistono anche in seno alla società italiana, ma non hanno lo stesso peso. La società italiana, soprattutto a Torino, è dotata di un capitale sociale di gran lunga superiore a quello americano.

L’America è molto più atomizzata: le relazioni sociali fondamentali sono di natura economica e legale. Sono fondate sulla Costituzione oppure sul dollaro onnipotente. Noi americani vogliamo arrivare al succo della questione: una cosa o è illegale o ha arricchito qualcuno.
Trovo che quello che sta accadendo in Piemonte sia affascinante. La regione ha molto da offrire al mondo esterno: ad esempio, il movimento Slow Food.

Tanto per cominciare, si tratta del “movimento” Slow Food, invece che di Slow Food Spa. Negli Stati Uniti, Slow Food sarebbe una catena anti-Mc Donald’s. Il fondatore avrebbe professato: “Odio Mc Donald’s, quindi creo il mio franchising”. Come è stato per Apple in opposizione a IBM.

Slow Food si fonda su una solida base sociale e rappresenta un autentico modus vivendi, con volti diversi: una scuola, una casa editrice, un’università, una serie di conferenze, un network internazionale, un dominio privatizzato di sistemi di controllo e garanzia, ed un guru culturale.

Definire Slow Food è un’impresa ardua. In inglese non lo si può descrivere in parole semplici, e anche questo mi ha colpito. All’inizio ero un po’ perplesso, ma il punto è che funziona perfettamente e probabilmente non sarebbe possibile gestirlo in nessun altro luogo, se non qui.

Oggi il movimento Slow Food è popolare anche negli Stati Uniti, ma l’America non sarebbe mai stata in grado di partorire un’idea simile. È il frutto di un’invenzione sociale, e del genio piemontese.

Dom.: Che cos’altro ti ha colpito?

Il rapporto che Torino ha instaurato con la sua storia: questa è la prima città al mondo a considerare l’industria automobilistica come parte del proprio passato economico. E lo fa in maniera delicata e rispettosa, senza voltare le spalle alla vocazione industriale di un tempo, e senza negare il XX°secolo. Ha semplicemente ideato un metodo, educato e conforme ai dettami del XXI°secolo, per la gestione di strutture in disuso come il Lingotto (ex-fabbrica FIAT), che a Detroit sarebbero state abbandonate, invase dai tossicodipendenti, ricoperte di graffiti, e con gli alberi che crescono da tutte le parti.

La versione americana di questa trasformazione probabilmente avrebbe fallito. In passato
ho affermato che le rovine dello sviluppo non sostenibile sono la frontiera del XXI°secolo. Il pianeta è giunto a saturazione e non ci sono altre vie d’uscita.

Attualmente sono i centri urbani decadenti, ristrutturati e trasformati in quartieri signorili, ad essere teatro dello sviluppo più vivace. O siti come il Lingotto, in cui un’immensa fabbrica di montaggio auto si è trasformata in polo commerciale e di ristorazione. Oggi il Lingotto costituisce uno spazio per i giovani che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro. Trovo che sia una trasformazione formidabile.

Il resto dell’intervista

Silicon Torino memories

da un articolo di Bruno Ventavoli sulla Stampa del 9 novembre 2000

Tecnologici, fantasiosi, flessibili: chi sono i protagonisti della net generation che hanno cambiato l’anima della città Silicon Torino capitael del web. Seimila miliardi di fatturato. 65 mila occupati. Secondo le statistiche, Torino è la capitale italiana della new economy. Dietro le cifre, i grafici, la mole di miliardi creati e spostati, c’è anche un nuovo mondo. Di professioni, competenze, genialità. Che trasforma l’anima e la vocazione di una solida metropoli industriale. Che sperimenta mestieri d’avanguardia.

Della Silicon Valley sappiamo molto. Conosciamo i capitani d’industria in rete come Bill Gates, Jeff Bezos, o Shawn Fanning, che hanno saputo estrarre cascate di miliardi dalle vene minime del silicio. Il sociologo David Brooks ci ha appena tratteggiato il popolo dei Bobos, i 30-50enni che hanno trovato il «paradiso» con la new economy, che mescolano ricchezza e pauperismo, feng shui e borsa. E cosa succede a Torino e in Italia? Qui l’economia della tecnologia avanzata si è sviluppata in ritardo rispetto agli Stati Uniti. La sua crescita tumultuosa determina mutamenti altrettanto radicali. Fa germinare una nuova classe di imprenditori e una nuova categoria di lavoratori. Quelli della net generation.

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Festa della matematica 2008

Torna l’appuntamento ormai annuale a Torino con la Festa della Matematica, l’evento dedicato ai numeri e alla logica, che si svolgerà venerdì 7 marzo 2008 all’8 Gallery, in via Nizza 230.
Ideatrice e promotrice della gara è l’associazione Subalpina Mathesis, Sez. Bettazzi, in collaborazione con il Liceo Scientifico N. Copernico di Torino e con il contributo della Compagnia di San Paolo.

La Gara olimpica è destinata ad una delegazione ufficiale di ognuno dei 23 istituti della provincia di Torino che partecipano al progetto. A questa è affiancata la Gara del pubblico, una competizione a squadre senza limiti di iscrizione. Attualmente è possibile creare una propria formazione e prenotare la partecipazione tramite il sito www.festadellamatematica.bussola.it, compilando l’apposito modulo.
L’avvio della Festa della Matematica sarà dato alle 9,30 in una delle multisale del cinema Pathè con la presentazione delle attività da parte dei professori Franco Pastrone e Stefano Grosso.

Durante la mattinata si potrà assistere alle due conferenze proposte, la prima sul tema “Matematica e sincerità” del prof. Marco Li Calzi, dell’Università di Venezia, e “Matematica e magia”, di e con Mariano Tomatis. Alla corte della Ristorazione sarà inoltre possibile visitare la mostra “Il mercatino delle idee”, che raccoglie esperimenti scientifici, giochi matematici e fisici, quesiti originali, ecc. proposti dalle scuole partecipanti.

Giunta alla sua 5° edizione, la manifestazione non è solo un invito a confrontarsi con le proprie conoscenze matematiche, rivolto a docenti e allievi, esperti dell’ambito e dilettanti, ma anche un’occasione aggregativa per scoprire insieme l’aspetto ludico delle scienze.

Il sito della festa della matematica

Piemonte Share Festival 2008 dall'11 al 16 marzo

Dall’11 al 16 marzo 2008 la città di Torino ospita la IV edizione del Piemonte Share Festival, punta di diamante del vasto programma culturale della città italiana nominata per il 2008 World Design Capital.

Con il contributo degli enti pubblici locali – Regione Piemonte, Città di Torino, Compagnia di San Paolo, Camera di Commercio, Fondazione CRT – il festival raggiunge quest’anno una dimensione davvero internazionale grazie alla presenza di Bruce Sterling, scrittore americano inventore cult del genere cyber punk, teorico newmedia e giornalista di design, in veste di guest curator e grazie al consolidarsi del network con il Transmediale Festival di Berlino e il DEAF di Rotterdam, fra le più importanti manifestazioni del settore in Europa.

Piemonte Share Festival sarà un’intensa full immersion nelle culture e nelle arti legate ai nuovi media e alle tecnologie digitali. Cinque giorni di spettacoli, mostre, incontri e presentazioni per raccontare, in un’atmosfera di festa e divertimento, la creatività nell’era dell’Information Technology.

Argomento trasversale dell’edizione 2008 del festival, che influenzerà i contenuti di conferenze, tavole rotonde, workshop e performance è quello della nuova materialità dell’arte digitale. Perché se negli anni 90 la net art è nata dal bisogno di spingersi oltre i propri limiti e il fenomeno richiamava l’ immateriale, addirittura minacciava la dimensione del reale, oggi la società si rapporta alle tecnologie con naturalezza, lasciando che l’ immateriale diventi reale, sperimentando sempre nuove interazioni intelligenti tra uomo e macchina, che nel frattempo si è completamente integrata nella vita quotidiana. Piemonte Share Festival è una manifestazione internazionale che risponde al bisogno culturale di fotografare e fermare nel tempo cosa sta succedendo nel panorama mondiale delle nuove tecnologie applicate all’arte e al design.

Ed è per questo legame tra digitale e materiale, e per le caratteristiche del territorio piemontese, che la IV edizione del Piemonte Share Festival si intitola Manufacturing. Un omaggio al passato, al presente e al futuro di Torino, città con forte vocazione manifatturiera, città dell’industria e della ricerca tecnologica, città che celebra il suo talento nel mondo del design diventando proprio nel 2008 World Design Capital e che potrà trovare nuove strategie per il futuro negli sviluppi creativi dell’incontro fra manifattura e nuove tecnologie.

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Facciamo spazio ai giovani

Beppe Berta su Lastampa

Torino qui domani” – il forum di discussione promosso da Torino Internazionale col sostegno della Fondazione Crt che si svolgerà da martedì a giovedì presso Unimanagement – si differenzia dalle numerose iniziative dedicate alla trasformazione della città e del suo sistema urbano. E non solo per il pubblico che coinvolgerà: oltre cento operatori e professionisti di età compresa fra i 25 e i 40 anni, chiamati a esprimersi sul cambiamento in atto a Torino e sulle scelte che la città dovrà compiere nei prossimi anni.

Il mutamento generazionale è un aspetto, importante ma non esclusivo, di un percorso di trasformazione che forse può essere colto meglio da chi rappresenta interessi economici e sociali emergenti e nuove culture professionali, insomma da quanto si è affacciato in maniera più netta sulla scena urbana dal 2000 a oggi.

Si tratta probabilmente di uno strato della popolazione di Torino che non ha ancora avuto la possibilità di riflettere sul cammino che è stato percorso nell’arco di vent’anni e sul ventaglio delle opzioni che si aprono. Oggi è fin troppo facile contrapporre l’immagine della Torino Duemila, post-olimpica, allo stereotipo della città fondamentalmente monocromatica e a una dimensione del decennio Ottanta.

Ma se è vero che la Torino odierna appare a tutti più vivace, gradevole e vivibile, rispetto a quella di un tempo, si dimentica che a quell’epoca essa aveva toccato uno degli apici della sua forza economica. La Torino anni Ottanta, quanto a rilevanza economica, non aveva proprio nulla da invidiare alla «Milano da bere». Tanto per ricordare alcuni dati essenziali, la Fiat si giocava allora il primato sul mercato europeo dell’auto testa a testa con la Volkswagen, grazie al successo strepitoso della Uno. Gli abiti di Armani e di Valentino, prodotti dal torinesissimo Gruppo Finanziario Tessile dei Rivetti, dominavano nelle vetrine della Quinta Strada a New York. A poche decine di chilometri da Torino, poi, la Olivetti produceva il personal computer più venduto al mondo, l’M24. Eppure, quella Torino al vertice del successo economico e industriale, appariva una città laboriosa ma terribilmente grigia,

un po’ ripiegata, segnata da aree di degrado urbanistico e sociale, ben poco attraente. Pesavano le incertezze della politica e un’amministrazione locale che sembrava in crisi perenne. E poi era l’amalgama sociale della città a essere insoddisfacente, a causa di una rete di relazioni deficitaria, all’interno come verso l’esterno.

Da questo punto di vista, il periodo di crisi che Torino ha attraversato in seguito ha costituito uno shock salutare. L’ha obbligata a tirar fuori da sé nuove energie e a ottimizzarle; soprattutto le ha insegnato i vantaggi del lavoro di squadra. Per questo, Torino ha saputo reagire e anche sorprendere, rivelando un volto diverso all’Italia e al mondo. Ma ora deve dare prova di saper costruire il futuro. E per far questo deve dimostrare di riuscire a elaborare nuove capacità e saperi, da mettere in campo attraverso lo sviluppo di una cooperazione efficace. È quel che si cercherà di fare a “Torino qui domani”, una sorta di modello di simulazione per delineare scenari e proposte di intervento per la città del prossimo futuro

Flash Festival: siamo alla settima edizione

tff2008.jpgLiberate la creatività e iscrivetevi al 7º TORINO FLASH FESTIVAL! Festival internazionale dedicato all’animazione e alle applicazioni del linguaggio flash. ANIMAZIONE, DIGITALE TERRESTRE, FLASHGAMES, ADSGAMES le categorie di gara . Potete vincere 4.000 Euro! L’iscrizione è gratuita e hai tempo fino al 1 maggio 2008

In collaborazione con Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione CRT, Premio Grinzane Cavour, Topix, Wi-Pie, TEX97 e Museo del Cinema, l’Associazione Culturale Azimut presenta il 7° Torino Flash Festival e apre ufficialmente le iscrizioni sul sito www.flashfestival.it

La manifestazione a iscrizione gratuita è rivolta agli artisti italiani e stranieri e ha tra le sue priorità quella di creare uno spazio che permetta agli autori di animazioni di scindere il legame tra la creazione digitale e la sua diffusione tramite siti internet, nonché di far conoscere questa nuova forma d’arte ad un pubblico meno solito all’uso della rete e alle potenzialità creative a artistiche della stessa.
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Una indagine conoscitiva sugli operatori Open Source

Check up della Commissione Open Source sullo sviluppo del settore imprenditoriale della produzione dei programmi informatici a codice sorgente aperto e, quindi, modificabili.

Attraverso una specifica indagine conoscitiva, infatti, la Commissione, che opera presso il CNIPA-Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, ha ritenuto opportuno ed utile raccogliere una serie di indicazioni presso gli operatori di mercato, ossia tutte le aziende ed in particolare le piccole e medie, che vedono nell’open source una parte del proprio business.

L’Italia si pone al 4° posto al mondo per numero di sviluppatori di software open source. Da oggi al 7 marzo gli operatori interessati a fornire il loro contributo all’indagine conoscitiva dovranno compilare un apposito forma disponibile nel sito dell’Osservatorio Open Source, attivo al CNIPA, all’indirizzo

http://www.osspa.cnipa.it/home/

La Commissione, presieduta dal prof. Raffaele Angelo Meo, ha tra i principali obiettivi lo studio delle linee guida operative per l’acquisizione di soluzioni open source nei sistemi informativi della PA, nonché capire come incentivare, sostenere ed integrare con la Pubblica Amministrazione il lavoro svolto dalle community su progetti open source particolarmente fecondi.

Tali conclusioni, inoltre, potranno costituire un punto di partenza per un futuro aggiornamento delle linee guida, individuate dal CNIPA, e delle eventuali disposizioni di legge, relative all’uso dell’open source nella Pubblica Amministrazione (PA).

A proposito di questa iniziativa il presidente del CNIPA, prof. Fabio Pistella, ha precisato che «non ci troviamo dinnanzi ad improbabili “guerre di religione”, ossia l’open source contrapposto ad “altre modalità” di software, ma di fronte alla possibilità di fornire reali alternative informatiche alla Pubblica Amministrazione e, di conseguenza, ai cittadini». Secondo Pistella, «i reali vantaggi di una scelta in favore dell’open source per i sistemi informativi di una qualsiasi Pubblica Amministrazione iniziano ad emergere solo nel medio-lungo periodo»

L' innovazione parla anche italiano

La tenuta dell’economia di un Paese si basa soprattutto sulla capacità delle sue imprese di innovare e dunque di svilupparsi. Questa affermazione, valida da sempre, lo è ancor di più nell’era della globalizzazione. Un’era che costringe le imprese ad operare in mercati altamente competitivi dove chi non innova non ha diritto di cittadinanza. Ma da cosa dipende la capacità di innovare? Non certo dalla dimensione, né dal settore di appartenenza. L’innovazione è alla portata di tutti. Anche delle aziende piccole e medie, ovvero di quel tessuto produttivo composto da 4,5 milioni di aziende (l’83,5% dei posti di lavoro) che “è limite e allo stesso tempo punto di forza del nostro sistema economico”. La conferma arriva dalle ‘dieci storie di piccole imprese eccellenti’ narrate da Giordana Taggiasco in questo volume mandato in libreria nelle scorse settimane dall’editrice Il Sole 24 Ore. Un volume che sin dal titolo chiarisce che quando si parla di innovazione “anche” l’Italia riesce a dire la sua. E lo fa ben “più di quanto il senso comune possa immaginare”. Anche se “l’ampio processo di innovazione” – che è poi la caratteristica peculiare delle nostre piccole e medie imprese – “rimane occulto e non compare nelle statistiche e nelle analisi sulla salute economica del nostro Paese”. Un Paese che continua comunque a spendere poco in ricerca e sviluppo – appena l’1,1% del pil nel 2006 – e che su questo versante è in ritardo “non solo sul Giappone e gli Stati Uniti, ma anche rispetto agli altri paesi dell’Unione europea, la cui percentuale di investimento è circa il doppio”.

L’innovazione che caratterizza le ‘dieci storie eccellenti’ di cui parla la Taggiasco non è solo quella di prodotto (la produzione di un nuovo bene) o di processo (un nuovo metodo di produzione), bensì quella ad ‘ampio spettro’ – delineata per primo dallo studioso J.A. Schumpeter – che si estende all’apertura di un nuovo mercato (innovazione commerciale), alla conquista di una nuova fonte di materia prima (innovazione negli approvvigionamenti) alla riorganizzazione della struttura di offerta di un settore industriale (innovazione di mercato). Un’innovazione – quella messa in atto da aziende come la Piquadro (pelletteria) o la Cartemani (arredo bagno), la C-Map (cartografia navale elettronica) o la Grivel Mont Blanc (articoli per l’alpinismo) – tesa a un approccio “sistemico” con l’ambiente esterno di riferimento e che procede in sinergia con le istituzioni, le università, gli istituti di ricerca, i propri clienti, i fornitori e i concorrenti.

“La forza e la rappresentatività di queste dieci imprese – scrive l’autrice – sta nell’essere riuscite a trasformare la loro capacità innovativa in vere routine aziendali, arrivando a cogliere le opportunità che i molteplici contesti hanno loro offerto”. La forza di questi imprenditori sta nell’aver saputo rispondere in modo originale alla riduzione del ciclo di vita dei prodotti, all’accelerazione del processo tecnologico, alla crescente intensità scientifica dei prodotti e dei servizi: chi sperimentando nuove forme di collaborazione, chi attraverso un processo di internazionalizzazione, chi puntando sull’eccellenza e l’alta gamma, chi agendo sulle diverse tipologie di innovazione esistenti, chi combinando questo mix di elementi in modo unico e irripetibile.

Ognuno delle dieci “storie di straordinaria imprenditorialità” viene corredata da una o più tabelle e proposta dall’autrice come modello da cui trarre lezione e, perché no, da emulare. Nella convinzione che “oggi vince chi investe in innovazione, chi fa dell’innovazione l’humus dell’impresa”.

Gli italiani l'innovazione la vorrebbero

Via Punto Informatico

Quanto si è permeabili all’innovazione? Quanta fiducia si ripone nella tecnologia? L’Italia vince su Finlandia e Paesi Bassi nella disponibilità ad accogliere nella propria vita prodotti innovativi.

Si è proposto di sondare l’atteggiamento dei consumatori su scala globale l’Institute for Innovation & Information Productivity, un’organizzazione non profit che conta fra i suoi membri Microsoft e HP, Fraunhofer Institute e Oxford University, e che si occupa di stimolare nelle persone e nelle aziende la fiducia e entusiasmo nel nuovo che avanza.

25mila i soggetti adulti coinvolti, dodici le nazioni sotto la lente degli analisti, inaspettati i risultati. Ai campioni rappresentativi di popolazioni eterogenee sono state poste tre domande: la prima riguardo alla disponibilità o all’intenzione, nei prossimi sei mesi, di acquistare prodotti innovativi che verranno lanciati sul mercato; la seconda in merito alla disponibilità a provare servizi che implementano tecnologie che potrebbero sconquassare le loro abitudini; la terza, volta a misurare la fiducia che le persone ripongono nella capacità della tecnologia di migliorare le proprie vite.


I paesi più disponibili ad abbracciare l’innovazione sono quelli i cui mercati sono in fermento, quelli composti da una popolazione giovane, dinamica e aperta, ha spiegato uno degli autori dello studio. Ciò giustifica la posizione guadagnata dai paesi emergenti. Ma, precisano i ricercatori, non è ancora possibile stabilire con certezza quanto l’atteggiamento della popolazione possa influire sul fiorire del comparto industriale, né quale correlazione ci sia tra l’atteggiamento dei consumatori e il grado di innovatività del paese.

Verso i festeggiamenti per Italia 150

italia-150.jpgCon la Fiera del Libro 2008 prenderanno il via le attività di avvicinamento ai festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia che si terrà nel 2011. Il Comitato Italia 150, che ne curerà l’organizzazione a Torino e in Piemonte, propone – in collaborazione con la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura – una serie di incontri dal titolo A che punto è l’Italia?

Nell’ambito della Fiera scienziati, intellettuali, politici, economisti ed esponenti del mondo della cultura saranno chiamati ad esprimere le loro considerazioni sull’Italia, la sua identità, i suoi valori e il suo futuro. Ciò che si intende stimolare è una significativa riflessione sulla nostra nazione, in vista del “compleanno” del 2011 e delle prospettive che si aprono fino al 2061, anno del duecentenario.

Ogni giornata vedrà la discussione di un tema e dei diversi aspetti che lo compongono: scienza (medicina, energia, ambiente, alimentazione e ricerca), cultura (teatro, letteratura, cinema, arte e musica), società (volontariato, immigrazione, religione, scuola), economia (industria, design, finanza e rapporto pubblico/privato), politica (locale, nazionale, internazionale e democrazia).

Con A che punto è l’Italia? iniziano le attività verso il 2011 e con loro la collaborazione con la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura: un cammino che prende il via nel 2008 e che proseguirà con continui approfondimenti nel 2009 e nel 2010. In quest’ottica il tema scelto per la Fiera 2008 risulta particolarmente significativo. È proprio la bellezza, in tutte le sue declinazioni, la caratteristica che viene maggiormente attribuita al nostro Paese dai turisti stranieri: secondo recenti studi il 77% di loro ha associato all’Italia l’aggettivo “bella” mentre nella classifica complessiva dei brand nazionali, l’Italia nel 2007 si è collocata al 5° posto assoluto.

Nel corso della Fiera 2008 inoltre il Comitato presenterà le linee ispiratrici e i principali contenuti del progetto nazionale Scuola e Formazione Esperienza Italia che coinvolgerà da settembre del prossimo anno non solo gli studenti e le scuole ma anche la formazione per adulti.