Il Poli compie 150 anni

Andrea Rossi su Lastampa. Sul sito del Politecnico il programma degli eventi per le celebrazioni dei 150 anni

Sempre all’avanguardia e mai a rimorchio». Lo dice il rettore Francesco Profumo ripercorrendo un secolo e mezzo di vita del Politecnico. Potrebbe essere lo slogan di quest’ateneo che celebra i suoi 150 anni, in cui «ha cercato di anticipare processi e cambiamenti anziché subirli. Ancora oggi è così».
C’è un pezzo d’Italia e di Torino in quelle foto ingiallite dal tempo che raccontano un’era di tecnologia italiana. C’è un frammento di storia nei volti di Lagrange, Galileo Ferraris, Alessandro Antonelli, Camillo Olivetti, Sergio Pininfarina. C’è una storia dalle radici antiche, metà del ’700, la Scuola di artiglieria dell’esercito, oppure l’Accademia delle Scienze, fondata nel 1783. E’ qui che si gettano le basi, qui che «il Piemonte diventa motore dell’innovazione in Italia», dice Vittorio Marchis, direttore del Museo del Politecnico.


Poco importa se poi la dominazione francese spoglia Torino delle sue scuole e dei giovani più promettenti. Carlo Mosca e Carlo Ignazio Giulio quando tornano da Parigi, dopo il 1814, hanno in mano la chiave di volta della città dell’innovazione, motore dell’Italia che ancora non c’è. Giulio è convinto che anche gli operai vadano istruiti. La sera, con alcuni colleghi, organizza corsi per tecnici, fabbri, falegnami. Nel 1845, con Quintino Sella, fonda l’Istituto tecnico torinese. Sella sarà uno degli ispiratori della legge Casati. E’ il 3 novembre 1859, 150 anni fa: l’istruzione tecnica entra nell’Università. Nasce la Scuola di applicazione per ingegneri. Nasce, di fatto, il Politecnico. La sede, non a caso, è il Castello del Valentino, che Napoleone aveva voluto svilire facendone la sede delle esposizioni dei prodotti dell’industria e dell’artigianato.


Tre anni dopo, altra data chiave: nel 1862 a Londra si tiene l’Esposizione internazionale, la prima cui partecipa l’Italia unita. Di ritorno gli italiani portano con sé tutti i «pezzi» lasciati nei padiglioni. Diventano l’ossatura del Regio museo industriale italiano. Torino non è più capitale, ma ha gettato le basi per diventare cuore pulsante del sistema economico nazionale. Spariscono uffici e ministeri, arrivano industriali da mezza Europa. Merito del sindaco Luserna da Rorà: nel 1865 scrive una lettera in quattro lingue indirizzata ai sindaci delle città europee. «Dite ai vostri imprenditori che vengano a investire qui, Torino è pronta ad accoglierli».


La Scuola di applicazione è ormai caposaldo della formazione d’alto livello: idraulica, costruzioni. Al museo industriale invece c’è l’ufficio brevetti, si formano i quadri della nuova industria. La competizione prevale sulla cooperazione, ma la politica è lungimirante: nel 1906 Scuola di applicazione e museo industriale vengono unificati sotto il nome di Politecnico di Torino. A quel tempo Emma Strada è già una studentessa. Due anni dopo si laurea, prima donna ingegnere d’Italia. Sono passati cent’anni. Il processo è stato lento ma costante: 38 laureate nel 1959, 52 nel 1974, 425 nel 1994. Quest’anno saranno quasi 2500. «Il Politecnico ha portato l’innovazione anche dentro la società, nel modo di vivere», sostiene Profumo.


L’inizio del Novecento segna un altro primato, l’aeronautica; gli anni tra il 1926 e il 1930 la definitiva consacrazione: si laureano Dante Giacosa (progettista della 500 Topolino), l’architetto Carlo Mollino, Mario Boella, Corradino d’Ascanio, il papà della Vespa. C’è fermento, ma anche tensioni: nel 1931 il regime fascista chiede ai professori universitari il giuramento di fedeltà. Solo tredici si oppongono; sei sono soci dell’Accademia delle Scienze di Torino. Tra loro c’è Vito Volterra, primo direttore del Politecnico. Guastavo Colonnetti, direttore dal 1922 al 1925, è costretto a fuggire in Svizzera. A Losanna fonda un campus universitario per italiani rifugiati, una sorta di succursale del Politecnico. A liberazione avvenuta sarà uno dei pilastri della ricostruzione post-bellica.
Dell’Italia che esce dal baratro il Politecnico è uno dei simboli. Torino è l’epicentro della grande industria: Fiat, Pininfarina, Olivetti. «Quando la classe politica si trasferì prima a Firenze e poi a Roma, Torino seppe mantenere l’industria militare e quella delle infrastrutture ferroviarie, matrici della nostra industria», racconta Marchis. L’Italia rinasce e il Politecnico si espande: gli iscritti si moltiplicano. Nel 1958 viene inaugurato il complesso in corso Duca degli Abruzzi e la facoltà di Ingegneria viene trasferita. E’ la prima grande trasformazione edilizia – e non solo – del 1900. L’altra comincia a fine secolo, nel 1998, ed è la seconda rivoluzione: la Cittadella, 170 mila metri quadrati di aule, laboratori e spazi per le aziende. Gli studenti, adesso, sono 27 mila. Le matricole aumentano fino al boom di quest’anno: oltre il dieci per cento in più del 2008. Sempre di più e sempre più internazionali, in un ateneo dove un ragazzo su sei non è nato in Italia. E questa, forse, è la terza grande rivoluzione.