Il Piemonte? Una dinamo

Bruno Gambarotta nel dossier Piemonte di Lastampa.it

Una molla d’acciaio compressa e pronta a scattare se l’obiettivo merita lo sforzo: potrebbe essere questo il logo per caratterizzare le riserve di energia, accumulate nella volontà e nel carattere degli abitanti, delle nostre tre regioni: Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Se invece ci abbandoniamo al gioco delle libere associazioni, una valanga di immagini viene in soccorso della memoria. Rivediamo gli astigiani che, quando è trascorsa una sola settimana dalla disastrosa alluvione del 1994, ricevono la visita del presidente Scalfaro, che resta incredulo perché la città è già stata completamente ripulita e rimessa a nuovo e deve fi – darsi delle descrizioni.

Vediamo una guida alpina che, dopo aver condotto il cliente fi no al rifugio sotto il Cervino, lo saluta e ridiscende di corsa in valle saltando di roccia in roccia come uno stambecco perché un altro impegno lo attende.

Andiamo una domenica mattina sulla piazza appoggiata a un terrapieno di un paese dell’alta Langa. Proviamo a prendere in mano la palla di gomma piena che si usa per giocare a pallone elastico e a immaginare quanta energia serva per lanciarla con un pugno in campo avverso e quanta ne serva per ribatterla. Dalle Langhe scolliniamo in Liguria, ad ammirare i miracolosi terrazzamenti che strappano terra da coltivare a forza di innalzare muretti a secco con pietre incastonate sapientemente a una a una.

Si vanno diffondendo nei piccoli centri gli ecomusei, o musei delle tradizioni, che raccolgono gli antichi strumenti del lavoro nei campi, in cantina e in casa. Uno dei più completi e meglio organizzati si trova a Cisterna d’Asti: attorno a una piazza coperta si aprono le varie botteghe e le offi cine di un tempo. Ricordiamo il Museo Valdese di Torre Pellice e la Casa Museo Walser di Alagna, in Valsesia. Alcuni sono sorti per iniziativa di privati e di aziende agricole. Molti di questi strumenti sono di legno e le impugnature sono state consumate e modellate dall’energia delle mille mani che li hanno usati. Sul ripiano della mia scrivania ci sono il compositore di mio padre tipografo e i ferri per arricciare i capelli di mia madre pettinatrice: quando sarei tentato di smet basta impugnarli per trovare una riserva supplementare di energia.

Nel paesaggio delle nostre regioni, a saperlo leggere, tutto ci parla di energia. A iniziare dal simbolo del Piemonte, quella Sacra di San Michele all’imbocco della Val di Susa: riflettiamo su quanta energia è stata necessaria mille anni or sono per portare fi n lassù i blocchi di pietra e i materiali da costruzione. O nel gesto di Emanuele Filiberto che, nel monumento di Carlo Marochetti in piazza San Carlo a Torino, rinfodera la spada dopo la grande vittoria di San Quintino del 10 agosto 1557 e si appresta a ricostruire un ducato ridotto alle dimensioni di un cortile.

Quanta energia è stata necessaria per realizzare le grandi grandi utopie dei santi sociali? Quanta ne ha dovuto spendere il Cottolengo per passare dai quattro letti della Volta Rossa alle migliaia della Piccola Casa della Divina Provvidenza?

A quanta energia ha dovuto fare appello Maria Adriana Prolo per mettere insieme una collezione che ha permesso di allestire il Museo del Cinema più bello del mondo?
E non è da pensare che le riserve di energia, di volontà, di determinazione siano state spese solo nel passato delle nostre regioni. Pensiamo solo alle Olimpiadi invernali del 2006. L’energia presente sul nostro territorio può spingersi fi no a mobilitare migliaia di persone in vista di un obiettivo comune ostinatamente perseguito, ma anche concentrarsi in un unico minuscolo atomo: la punta della matita impugnata da qualcuno che progetta edifi – ci, automobili, barche o disegna un marchio, la copertina di un libro, la nuova confezione di una cioccolata oppure l’etichetta di una buona bottiglia di vino langarolo.