L'Università di Torino bandisce 94 posti per ricercatori

Il Senato Accademico dell’Università di Torino ha bandito concorsi per 94 posti di ricercatore e ha deliberato «la stabilizzazione di tutto il personale tecnico amministrativo che ne aveva i requisiti». Lo rende noto l’ateneo.

Le decisioni sono «sono un’attestazione di fiducia e una scommessa meditata nel futuro dell’Università e della ricerca – si legge in una nota dell’Università torinese – ci auguriamo che l’indubbio sforzo fatto solleciti le autorità competenti, il parlamento e il governo nazionale a riflettere sulla necessità di investire in cultura, alta formazione, ricerca e innovazione per raccogliere le sfide del mondo globale e per impedire il progressivo declino del Paese».

«Si tratta – continua il Senato accademico – di una rilevante operazione di reclutamento su posti a tempo indeterminato, che nella presente contingenza pochi enti e istituzioni, pubbliche e private, possono permettersi».

La rivolta dei ricercatori torinesi

I ricercatori torinesi hanno deciso di non insegnare più in modo volontario

Adesso fanno sul serio. Altro che minaccia sbandierata per ottenere condizioni migliori o limitare un precariato fuori controllo. Stavolta non è una provocazione, ma una decisione già presa e messa nero su bianco in una facoltà dell’Università di Torino e che presto potrebbe dilagare in tutte le altre: i ricercatori non vogliono più insegnare. Basta corsi, basta didattica, basta esami. Dal prossimo anno, a Scienze, torneranno a occuparsi solo di quel che prevede la legge: fare ricerca e seguire la didattica complementare, ad esempio le esercitazioni.

«L’abbiamo deciso a malincuore», racconta Alessandro Ferretti, ricercatore al dipartimento di Fisica sperimentale. «Smetteremo di svolgere tutti quei compiti didattici a cui fino a oggi ci siamo dedicati con passione, su basi volontarie, e per il bene degli atenei e dei loro studenti. Da ottobre lavoreremo a tempo pieno al nostro compito istituzionale». Il motivo di questa rivolta è tutto racchiuso nel nuovo disegno di legge sull’Università. «Speriamo che la nostra protesta serva ad attirare l’attenzione sulle condizione disastrose che il ddl Gelmini produrrà dentro gli atenei, soprattutto sul fronte del personale», spiegano.

La riforma varata dal ministero, che presto passerà all’esame del Parlamento, per chi si occupa di ricerca contiene infatti una rivoluzione: introduce la figura del ricercatore a tempo determinato, con contratti di tre anni rinnovabili per altri tre, «con il risultato che alla fine ci si potrebbe trovare senza un concorso cui partecipare, obbligati a reinventarsi una professione fuori dall’Università a 40 anni. Inoltre, se anche il concorso fosse previsto, si scatenerebbe una “guerra tra poveri”: da una parte i ricercatori strutturati, che aspirano a un avanzamento di carriera; dall’altra quelli a tempo determinato, che rischiano di uscire dall’Università». Leggi tutto “La rivolta dei ricercatori torinesi”

Concorso anti raccomandazioni al Politecnico

Si cerca una procedura “perfetta” per i concorsi universitari

Addio agli scritti, ma soprattutto alla prova orale nei concorsi per diventare ricercatori universitari. Debutta il modello taglia raccomandazioni. Un sistema, quello della segnalazione, che nel mondo dei baroni universitari è abbastanza praticato per dare un aiuto al pupillo. Il Politecnico, mettendosi al passo con la nuova normativa del ministro Mariastella Gelmini, ha varato il primo bando per 17 posti a tempo indeterminato che prevede solo la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni. Niente scritti e nessun colloquio con punteggio, come in passato. Un esame freddo. Solo carte che vengono valutate in base ai criteri già definiti al momento del lancio del concorso.

Due gli obiettivi: trasparenza e oggettività. Tenendo il più possibile fuori dai giochi i giudizi soggettivi, come quelli dei membri della commissione, soprattutto dopo una prova orale. Un sistema apprezzato dall’Apri, l’associazione precari della ricerca italiana, che nel suo blog scrive: “Si tratta di un caso del tutto inedito nel panorama italiano, che pone il Politecnico di Torino come esempio virtuoso per tutte le altre università e per lo stesso ministero”. Il Poli ha infatti interpretato alla lettera la nuova normativa varata dalla Gelmini sui concorsi universitari. “Esiste un colloquio – spiega il prorettore Marco Gilli – ma da questo non può scaturire un punteggio. Serve solo per discutere le pubblicazioni presentate, per rendersi conto, ad esempio, se il candidato è il vero autore. La commissione deve valutare i titoli e gli articoli. Se si attribuisse un risultato al colloquio sarebbe come giudicare due volte le pubblicazioni. Un doppione. Non avrebbe senso”.