Moda, la nuova sfida torinese

Via repubblica.it

La seconda età della moda torinese inizia nel 2000, quando Alice Capelli, dopo varie esperienze nel campo dell’arte e del design, apre per prima un negozio in via Bonelli. Il nome del suo marchio, Autopsie Vestimentaire, viene preso in prestito da una mostra, ma riflette bene il suo stile: «La parola autopsia rimanda all’idea dell’indagine – spiega Alice – . Nei miei abiti conta molto la ricerca dei volumi». Abiti destrutturati, dai particolari spesso stranianti, ma che proprio per questo convincono la clientela, che dopo nove anni di attività e due negozi (l’atelier principale si trova ora in via Bligny, da giugno via Mazzini ne ospita un altro) è particolarmente affezionata: «Chi compra un mio abito sceglie di vestire un capo speciale, realizzato con materiali di qualità come le lane biellesi».
Che tutto sia confezionato in Piemonte è la scelta di Giunone Couture, marchio fondato nel 2003 dalla sarta Cinzia De Biase e dall’architetto Sabina Marinello. Il nome unisce un ideale e un desiderio: quello di vestire donne “giunoniche”, piene di forme da valorizzare, e di essere delle “couturières”, fondendo vestibilità ai canoni dell’alta moda. È la manipolazione dei tessuti il valore aggiunto della collezione: «Ci piace plasmarli – racconta Sabina – , in modo che seguano il contorno della donna e nascondano i difetti. È questa la vera sfida per chi fa moda».

In piazza Vittorio, roccaforte della Torino bene, c’è Eleonora Carisi che nel 2006, a soli ventun anni, apre You, negozio di moda street, e fonda il marchio What’s Inside You. «All’inizio è stata dura – dice Eleonora – , proponevo le borchie, che si trovavano a Londra o a New York, e la gente non capiva. Poi finalmente sono diventate di moda». Ora il viavai di clienti è continuo, c’è il ragazzo che passa solo per salutare o la mamma che accompagna la figlia e decide di rifarsi il look. Per ispirarsi, Eleonora non guarda le sfilate, ma fa molto “web surfing”: «I blog e MySpace sono importanti per trovare nuove tendenze e per creare contatti». A Gaia Audino le idee saltano fuori all’improvviso, anche di notte. È da quando ha otto anni che sogna di fare la stilista, ora a trentadue conta su molte collaborazioni e su una linea tutta sua, Love The Dj. È il mondo dei club a fornirle la grande occasione: vestire i Subsonica per il tour 2008. «Il tema era il risparmio energetico e volevano degli abiti che brillassero al buio. Ho realizzato per loro delle camicie verdi fluo, che poi sono state scelte per le locandine del tour». Gli abiti double face e le t-shirt di Gaia si vendono ovunque, anche in Norvegia. Ora spera di creare una settimana della moda torinese, da contrapporre a quella di Milano, per coinvolgere i designer della città.

Chi “esporta” in tutta Italia, ma è orgogliosa del “made in Turin”, è Daniela Natale, che nel 2003, con Andrea Chiales, crea Tuz, una bambolina truccata come i drughi di Arancia Meccanica. Il successo del logo, che accompagna i party nei locali, è immediato e da lì a creare una collezione il passo è breve. Nasce così il Korova Milk Shop, in via Rattazzi, e presto Daniela e Andrea vengono scelti da Pitti Immagine come stilisti emergenti. Ora Tuz campeggia su felpe e borse, in negozi sparsi per tutta l’Italia. Molto ha fatto la promozione secondo Daniela: «In estate sponsorizziamo diversi locali e i nostri Korova Milk Party sono molto seguiti, con un pubblico anche di duemila persone».

E se c’è chi da Berlino, dove nascono le nuove tendenze europee, sceglie Torino per fondare una griffe, significa che la città non ha molto da invidiare alle altre realtà europee. Judith Hohnschopp e Julia Buttkewitz arrivano qui per una borsa di studio di sei mesi, che poi diventano due anni. Nel 2005,) , con Simone Mussat-Sartor, lanciano la linea Born in Berlin (for fashionists), che mixa lo streetwear al vintage. Una piccola produzione per uomo e per donna, a cui presto si affiancherà anche una per bambini. Il primo negozio apre in via delle Orfane, a novembre hanno bissato a Berlino. Torino, secondo Judith, è una città molto creativa, ma sul lato pratico non dà un grande aiuto: «In Germania le piccole imprese sono tutelate, qui in Italia invece è molto dura. Anche le istituzioni locali non ci aiutano, non danno visibilità a noi designer. Dovrebbero avere uno sguardo più internazionale».