Al gioco delle panchine o si vince, o si muore.

Duecento panchine in granata celebrate con una non-prestazione.
Il dubbio che da giorni si è insinuato come un tarlo nei pensieri di molti tifosi del Toro con oggi ha sicuramente fatto breccia nelle meningi di una grande fetta degli stoici difensori di Ventura.
Tra i quali, il sottoscritto.

Sono in molti in questo deludente pomeriggio a gridare all’esonero, alla necessità di un cambiamento.
Sicuramente degno di nota è come da Agosto ad oggi sia mutata radicalmente la posizione di un consistente numero di sostenitori, quei sostenitori che con ogni probabilità ebbero un tuffo al cuore nel leggere in estate del possibile distacco del mister ed una sua eventuale sostituzione con l’allenatore emerito della panchina dell’Empoli, Sarri.
Non credo che, ad oggi, un cambio Ventura – Sarri lascerebbe grandi dubbi nella gran parte dei tifosi.

Ventura non sembra più essere una certezza.
Non è più un punto fermo al quale non serve nemmeno più pensare, un elemento insostituibile e, quasi, irreprensibile come poteva essere un Darmian della scorsa annata.

Dopo più di tre anni si ritorna a parlare di panchina come mai era avvenuto nel corso del regno di Giampiero.

Un allenatore non è un membro qualunque dell’organigramma, è un elemento senza riserva.
Il fisico dell’allenatore non corre particolari rischi, in cambio gli è delegato un ammontare di responsabilità che, se tradite, non comporterebbero un semplice allontanamento dal campo per un periodo gestito da un adeguato sostituto.
Un allenatore non può permettersi gravi sbavature. Non sono previste seconde occasioni.
All’errore consegue l’esilio.

Per queste, e altre, ragioni un esonero deve essere attentamente valutato.
In tutte le sue variabili.
Senza dubbio, la longevità della panchina di Ventura e i suoi innegabili risultati non vanno ignorati, e anzi, impongono una delicatezza maggiore.
Per non parlare del dettaglio economico, ovvero che il mister sia contrattualmente legato alla società granata fino al 2018, legame che, esonero o meno, impone a Cairo l’obbligo di retribuirlo con quanto concordato.

Lasciamo le ponderazioni di tipo economico a chi di dovere e recitiamo la parte che ci spetta: quella dei tifosi.
Non ho il potere di esprimere qui il pensiero di ognuno di voi, né tantomeno conosco quale sia l’opinione maggioritaria.
Vi dirò soltato quello che passa per la mia testa, e tanto per iniziare voglio fermare su carta una domanda che naviga nel mio cranio da qualche mese, ormai: Mi diverte vedere il Toro?
No, o meglio, non più.
Mi diverte l’occasione di passare del tempo con degli amici, approfittarne per una birra e due parole ma il calcio che la squadra propone non mi intrattiene come vorrei.
È stato divertente, e sicuramente efficace per lungo tempo, ma oggi i miei occhi vedono il solito dispiegamento di qualità e le stesse manovre.
È un gioco visto e rivisto, a tratti pericoloso (in senso sia attivo che passivo), spesso lento, prevedibile e perciò inefficace.
È come una commedia che ti ha intrattenuto meravigliosamente alle prime due o tre visioni, ma che ora si presenta solo come un susseguirsi di battute che tutti sanno a memoria.
C’è bisogno di forze nuove, senza dubbio, ma soprattutto di un’innovazione da parte dello sceneggiatore.
Lo scorso mercato estivo è stato, per quel che mi riguarda, un ciclo di manovre da incorniciare.
Le marionette perciò funzionano, è il marionettista ad aver l’onere di dare una scossa.
E sono convinto che Ventura potrebbe occuparsene, se solo superasse certi tabù autoimposti.

Non voglio che mi si porti la testa del colpevole su di un piatto d’argento e non sto condannando nessuno.
Con queste righe voglio solo far notare che, dopo tre anni con una sola costante al trono, il boia è tornato ad affilare l’ascia.