Intervista a Mauro Biondini: “l’Opera lirica, e non solo”

Mario Biondini
Mario Biondini

Sulla figura di Mauro Biondini esistono diversi pensieri. La sua storia è costellata dal dono di amare la musica e le sue opere liriche, e soprattutto quella magica passione per tutto ciò che arte e che alimenta la vita.

Un vissuto stimolante riporta una carriera devota alla musica ma che indubbiamente trova la sua carica interiore mettendosi in gioco nell’umiltà di trasmettere il Sapere. Quel sentimento che presta per raccontare l’anima e lo spirito delle cose, caratterizzati dall’esprimere universi affini, tra musica, regia, e voglia di comunicare.

Dobbiamo avere una immensa riconoscenza nei confronti di Mauro Biondini, cultore e regista  delle opere liriche e non solo. A 70 anni è un amore il suo, tra  musica e regia, che ha radici profonde, sentimento, eleganza, solidarietà, il suo sodalizio ha spettacolari e coinvolgenti trascorsi. È proprio così che si impara davvero ad amare l’arte, senza dimenticare i modelli e gli esempi, insieme a quella melodia che evoca in noi tanti ricordi, dove ognuno  può ritrovarsi e prendere un respiro.

Nella vita di Mauro Biondini tutto parte dalla passione, porta a mille sfaccettature, così la sua prima nota lo lega alla lirica e al grande Verdi, che perfettamente rappresenta nei suoi capolavori dedicati, sintetizzando nei suoi film-documentari, l’essenza sofisticata della musica, prima in lista, cent’anni della Corale Verdi, al Teatro di Regio.

Lui trova l’ispirazione nella musica, dando un tocco profondo alla sua interpretazione, col preciso intento di fare amare l’opera. Partendo da questo ideale e parlando di successo ottenuto, la storia è davvero magica.

 

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Se pensiamo a una pellicola che ci racconti le tracce dell’opera, non possiamo non leggere la firma di Mauro Biondini, che riesce nel miracolo di toccare le emozioni dello spettatore.

Orgoglioso ed impegnato in un lavoro commovente da tutti i punti di vista, è stato protagonista di diversi documentari, più di un centinaio nel corso della sua carriera, trovandoci a citarne alcuni ricordiamo: Dedlà da l’àcua , con Verdi nella sua terra, il capolavoro con Carlo Bergonzi,”arte e vita”, tenore lirico recentemente scomparso. I filmati sulla Tebaldi, la corale di Verdi, Maria Luigia una sovrana, una donna, le Perle della provincia di Parma.

Una straordinaria ricchezza culturale. La sua esperienza è fantastica, una realtà che racconta musica, soggetti e territorio, dal momento che essere parmigiano lo rende entusiasta, non perdendosi così l’occasione di raffigurare le bellezze territoriali di Busseto e dintorni.

La creatività e le qualità di quest’uomo sono preziose: critico, intellettuale, curioso, sportivo, appassionato di cucina, sono tutti aspetti che rivestono la sua vita. E proprio a questo ci riferiamo quando scriviamo “lirica e non solo”.

Cus Parma storia di un amore, racconta una importante e forte storia di identità sportive, successi di tante generazioni legate allo sport, alla cultura, al sacrificio di sostenere le discipline, in quella che oggi è la più grande polisportiva dell’Emilia: il Cus  Parma.

Biondini ha percorso e vissuto insieme per vent’anni queste vicende, perché lo sport è altrettanto parte integrante delle sue passioni,  così da proclamarlo un tecnico sportivo di tutto rispetto.

Si è sempre spinto al massimo, incitando e spronando gli altri a fare lo stesso, queste caratteristiche stanno alla base della sua vita e questo ci permette di capire chi per noi rappresenti.

Nel mondo della musica lirica e non solo, lei è ritenuto un “ maestro”. Un regista, integro, discreto, esemplare, che raccoglie e dirige testimonianze più svariate ed apprezzate dell’arte musicale. Che cosa ne pensa degli attuali artisti crescenti, possiamo affidarci al loro impegno?

È chiaro che parlando e dando un giudizio di questo tipo, si sconfina spesso nella retorica. Il cast che c’era allora, e cito due nomi d’elite: Piero Cappuccilli e Flaviano Labò, possiamo definirli delle leggende. Una volta c’era lo studio a pari passo con la gavetta, e meno possibilità, quindi emergevano solo coloro che avevano tantissima qualità, non erano frutto di un sistema di collocamento dei vari procuratori, il mondo è cambiato ovviamente, e non solo nella lirica. Ai giorni nostri ti posso dire guardando da un lato positivo, che sono molto di più i giovani che si approcciano, al teatro, giusto per guadagnare delle emozioni. Parlando di giovani promesse non ci sono delle grandi voci Italiane, Roberto Aronica che stasera canta nella “Forza del Destino” attualmente lo ritengo il più elevato tenore Italiano, Francesco Meli un altro giovane brillante. Una certezza assoluta che ci rende orgogliosi, è quella di essere stati portatori  emblematici di una cultura musicale, che acclama e premia i grandi del panorama Italiano.

Che cosa ha rappresentato per lei il tenore Carlo Bergonzi, lei l’ha ricordato con estremo affetto, specie quando assistiamo al suo documentario: fa emergere un silenzio pieno di musica, recita, ci racconta, capace davvero di raccontarci la grande “Opera”, e la grande bellezza di un uomo, come ci è riuscito?

Ho giocato la sola carta che mi rimaneva, le mie emozioni, le mie sensazioni, fare dei lavori come si suol dire di pancia. Carlo Bergonzi è figlio di frequentazioni teatrali, figlio di grandi momenti. Lo incontrai in occasione di un Aida. Da lì incominciò una frequentazione affettiva, un’amicizia che passava prima di tutto in stima e senso per la musica, così in una maniera del tutto naturale, composta da una fiducia reciproca, incominciammo a girare la storia della sua vita, abbiamo lavorato assieme per due anni, Busseto, Vidalenzo, in Teatro, nel suo arbergo i Due Forscari, Milano, Bergonzi non ha mai letto una riga della sceneggiatura, o tenuto fede al copione, le cose più importanti, quello che trasmetti, che insegni, che lasci, le esprimi quando fai bene il tuo mestiere, e lui era lo specchio di questo bene prezioso. Una parabola che avrà sempre una scia ineguagliabile.

Non solo opera, arte, sport e regia, ma anche impegno sociale, solidale, una sensibilizzazione volta ai meno fortunati: “il documentario Dedlà da l’àcua” ha sostenuto la mensa dei poveri, raccogliendo 6.000,00 €, con la vendita dei Cd. Che effetto fa passare attraverso questa causa, soprattutto se il mezzo è frutto della sua passione?

Io ho giocato tutto me stesso su una scelta di vita, attraversando un percorso fatto di sensibilizzazione, dissipando questo messaggio, ho avuto l’appoggio di vari enti: RotaryLions, amministrazioni Provinciali, Comunali, tutti sono stati disposti a darmi una mano. Coperti i costi, tutti i lavori che ho fatto sono stati in beneficenza. Così come con “Le Perle della Provincia” il cui profitto è andato alla scuola dei giovani della Corale Verdi. È un po’ come cogliere il vero contatto, trasmettere la nobiltà verso chi ne ha davvero bisogno, ed è questo un vero miracolo.

Sono passati poco più di cinquant’anni dal suo via alla musica, come lei ha raccontato al teatro di Reggio nel 62, fu una bella lotta per ottenere i biglietti. Davano: “la forza del destino”. Rispetto al passato oggi lei si ritrova ad essere primo spettatore, opinionista, ideatore, dirigente emblematico di “Vi racconto l’Opera”, una serie che riassume le opere in scena, dunque se assunto un ruolo che le veste a pennello, me ne parli.

Sarò molto onesto, in prima persona mi ritrovo a vivere e respirare il Teatro, le mie giornate sono scandite da questa costanza. Come semplice spettatore in questi ultimi undici anni, mi sono reso conto che l’entusiasmo e la partecipazione, degli appassionati dei tempi passati è un po’ scemata. Figlia dei tempi la scarsa qualità degli allestimenti, la cultura non da profit. Io col mio programma “Vi racconto l’Opera” ho cercato di informare e educare verso una direzione culturale che sviluppa continuità.

Domanda più spensierata. Lei ha avuto la capacità di unire oltre la passione per l’Opera, quello dello sport, simultaneamente questi compiti si sono rilevati processi di una vita che gli hanno concesso tante soddisfazioni. Se le dico Cus Parma, cosa le viene in mente?

Cus Parma è stata la mia occasione, l’università da cui arrivo, lascia dietro di se tante possibilità, si trattava di attuare la grande filosofia dei Campus Americani. Io avevo grande entusiasmo e delle idee, da dove si poteva lavorare. Ho avuto la fortuna di organizzare eventi che rimangono impagabili, grandi meeting di atletica leggera, campionati del mondo,  miscelati alla cultura, accompagnando sempre queste realtà alla musica, due bellissime vocazioni. Tante consulenze sportive mi hanno visto primeggiare a spalla con grandi nomi: Barilla, Parmacotto, Cariparma, a un certo punto amministravo più di 300 attività sportive. Questi percorsi rimarranno sempre delle lezioni eterne, lo specchio in cui io mi posso osservare, in ogni momento io ne senta nostalgia.

Essere illuminati attraverso il racconto e la vocazione di Biondini, ci ha reso il compito prezioso. In quasi due ore il nostro caro protagonista apre lo scrigno della sua vita, narra il ruolo più difficile da interpretare, e si racconta a cuore aperto.

Nell’atmosfera immutata del Teatro di Regio, a Parma, tutto è sembrato speciale, in un linguaggio dove le parole non bastano, quello che si capisce arriva dalle emozioni.

Grazie Mauro Biondini.

 

 

 

 

Un tour in ALMA: “Diplomi in stile” e l’inizio di un nuovo anno scolastico

ALMA scuola di cucina
ALMA scuola di cucina

 

Alma, scuola della cucina Italiana, registra un’altra novità. Venerdì 10 0ttobre ha sancito l’appuntamento più atteso dell’anno per gli studenti del 23° corso Superiore di cucina, la serata degli show neo cuochi che ha segnato un passaggio chiave nel loro percorso. Quanto meno la svolta che li rende a pieno titolo giovani cuochi.

Proprio così: quel diploma tanto atteso, un prima e un dopo raccontato.

L’aspettativa di assistere a queste avvincenti cerimonie crea una continuità, che alimenta una comunicazione di interazione anche con chi non ne è coinvolto in prima persona. Lo si capisce lanciando un breve sguardo a chi, da sotto il palco, alimenta le speranze per il proprio figlio o beniamino. Sul palco, ad uno ad uno, sfilano giubbe bianche e strette di mano: quelle pronte ad afferrare il meritato diploma, frutto di uno studio e di un percorso durato dodici mesi intensi, attraverso una formazione altamente professionale che solo Alma, scuola di cucina, ha il prestigio di governare.

” La famiglia di Alma”, cosi mi piace apostrofarla, è ricca di persone che hanno dato e continuano a dare tanto, la stessa ragione che rende Alma la scuola di cucina internazionale più prestigiosa del settore.

Gualtiero Marchesi, (Rettore Alma),  Andrea Sinigaglia, (Direttore Alma), Giovanni Ciresa, (Coordinatore Didattico), Matteo Berti, (Coordinatore Didattico di Pasticceria), Michel Magada, Tiziano Rossetti, Marco Soldati, ecc.. e l’Ingegnere Accademico Massimo Gelati (Sicurezza degli Alimenti), quest’ultimo dimostratosi molto apprezzato dall’indice di gradimento degli studenti.

Tutti presenti a consolidare e rappresentare l’istituzione Alma insieme ai ragazzi neodiplomati.

 

Non sono mancati sorrisi, interventi, aneddoti mentre un monitor mostrava le mirabili performance culinarie degli allievi, che conquistavano la nostra attenzione. Veri capolavori di ciò che hanno appreso e recepito dall’insegnamento Alma: la scommessa e la nascita di nuovi chef di valore.

Tra le tesi che più si sono distinte figura quella di Rattini Giorgio, un cammino  nei meandri della Sicilia, il racconto di un viaggio nella Ragusa più energica, fatta di sapori, territorio e tradizioni antiche. Nel cuore e nelle menti di questi giovani chef, la passione è calda come un raggio di sole.

La serata si è celebrata consumando un ricco buffet, curato e preparato dagli esperti della cucina Alma. Si è concluso un anno significativo, di grande successo. Lo dimostra intensamente la crescita di iscrizioni, decisamente ogni anno maggiore del precedente. A supportare questa espansione hanno partecipato attivamente alcuni giornalisti del TG5, che hanno dedicato un servizio sulle migliori scuole di Arti e Mestieri d’Italia.

Non solo una grande conclusione, ma il rinnovo di un nuovo anno che è già sul nascere. L’immagine è quella di un fermento di un sabato mattina del giorno successivo, l’11 ottobre, che stringe la mano al giorno passato, dando così il via all’inaugurazione del XI anno Accademico.

Quest’anno la cerimonia d’apertura si è alimentata di temi e realtà profonde: la conferenza tenuta da Claudio Della Seta (Capo Redattore del TG5) ha tenuto banco e affrontato  la discussione dell’occupazione, il peso delle testimonianze, e il valore di tali protagonisti, dei mestieri d’arte in Italia.

Di fronte a tanta valenza comunicativa e prospettive, la Reggia di Colorno brillava e brulicava di oltre 400 giovani studenti, dei workshop, o il fascino di una fotografia della mostra dei Mestieri d’Arte, che ha annunciato un inizio caratterizzato da una preminenza che solo Alma e i suoi partecipanti possono regalarci.

Si ringrazia inoltre l’intervento di apertura di: Andrea Zaniari, Presidente della Camera di Commercio di Parma.

Questa esperienza mi ha spinto non solo a raccontarvi la storia dei successi, o quella di condividerne la passione o il valore: questa è anche la testimonianza di quelle persone, che oggi tengono salde le fondamenta della causa più nobile che esista: “il lavoro”, trovando espressione in un opera antica come il mestiere del saper cucinare.

 

Isabella Scuderi

 

 

Orizzonti futuri: la moda sostenibile con il sostegno di CNA Federmoda

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È stata una grande manifestazione l’iniziativa che si è svolta a Milano, all’interno del palazzo Isimbardi. Nel comunicato diffuso da tutte le persone presenti, pubblico ed esperti, il messaggio primario annunciava: “L’importanza della sostenibilità, sul fronte del tessile”.

A sostenere questa grande partita hanno preso posizione diverse figure, aziende, istituzioni, col patrocinio dell’Expo 2015, simbolo imprescindibile del sostegno della salvaguardia del nostro pianeta, ragione in più per prepararci a riflettere, ed imparare l’importanza della moda sostenibile.

Se finora a guadagnare l’attenzione del consumo dei prodotti eco-sostenibili, compariva la filiera delle materie prime collegate all’alimentazione, oggi non si può più ignorare, o mettere in secondo piano, l’importanza del tessuto che entra in contatto con la nostra pelle, in gioco c’è la salute personale e la tutela dell’ambiente in cui viviamo. Non si tratta più di prestare attenzione a ciò che ingeriamo, oggi è di fondamentale importanza guidare, e lasciarsi guidare da altre fonti, che agiscono comunicando e diffondendo una cultura e una disciplina a favore dell’essere umano e della natura, un ciclo che si compensa universalmente.

Attenzione ed occhi puntati, dunque sono stati rivolti alla magnifica esposizione di capi realizzati con materiali sostenibili, creazioni di chi tiene fede dei materiali biologici,ecologici e naturali, nello stesso tempo liberandosi dai pregiudizi del poco “cool”,c’era da stupirsi ammirando le collezioni. La creatività sostenibile non mancherà a divenire attrattiva globale.

 

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Sui passi più decisi a diffondere concetti ed esempi, sono i messaggi lanciati dalle persone coinvolte in prima persona, interventi, premesse, progetti, testimonianze che segnano una storia tra il prima e il domani, quel domani composto dalla “moda naturale.”

Si ringraziano i seguenti partecipanti: Silvia Garnero, Assessore alla Moda, Eventi ed Expo della Provincia di Milano

 

Anna Detheridge, Connecting Cultures Paolo Foglia, Responsabile Ricerca & Sviluppo di ICEA – Istituto Certificazione Etica e Ambientale Marco Ricchetti, Sustainability Lab Mauro Rossetti, Direttore dell’Associazione Tessile e Salute – Osservatorio nazionale tessile-abbigliamento-pelle-calzature Pier Giorgio Silvestrin, Imprenditore e Vice Presidente CNA Federmoda Nazionale Mauro Vismara, Titolare della Maeko Tessuti, Produzioni tessuti con filati naturali Cristina Tajani, Assessore alle Politiche per il lavoro e Sviluppo economico del Comune di Milano

Marina Bigi, Direttore di TuStyle

Aziende Selezionate aderenti CNA Federmoda Torino

Elena Imberti Gabriella Deplano Elisa Giampietro Lucia Russo Rossella Calabrò

 

 

 

Intervista a Matteo Baronetto: tecnica, estro e classe. La sua cucina un’improvvisazione ragionata

 

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La Distilleria Bocchino di Canelli (At) propone il Concorso culinario “Lo Spirito del Tempo”, evento nato in  collaborazione con Passione Gourmet, che ha preso il via lo scorso gennaio 2014. In autunno sarà proclamato il cuoco  vincitore, scelto fra chi avrà saputo osare e esprimere al meglio la versatilità dei famosi distillati, attraverso un’interpretazione attuale di una ricetta storica della tradizione italiana.

Protagonista e vincitore del mese di luglio è il piemontese Matteo Baronetto, Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino, che propone il piatto “ Branzino al vapore e coda di bue brasata”. La sua ricetta ha convinto gli esperti fra i 150 assaggi effettuati: un successo meritato.

Il ristorante Del Cambio, un monumento della storia e ristorazione italiana, è da qualche mese il suo regno. Dopo un’accurata e attenta ristrutturazione e riqualificazione, questo luogo magico ha riaperto: una sfida per lo Chef, che è stato per molti anni il braccio destro di Carlo Cracco. Ne esce un’immagine precisa di una cucina intrigante, riconoscibile a prova di un talento libero di esprimersi.

Lo Chef in questo piatto propone la sua cucina, di forte personalità, sicura, concreta, di ricerca continua, composta da pochi ingredienti, che coinvolge, sollecita l’immaginario e la memoria dell’interlocutore su vari livelli, dove l’incontro tra mare e terra trovano il loro punto di equilibrio.

Matteo Baronetto, classe 1977, nato a Giaveno, un paese vicino a Torino, studia all’Alberghiero di Pinerolo, matura esperienze professionali presso La Betulla a San Bernardino di Trana (To). Successivamente approda dal Maestro Gualtiero Marchesi presso L’Albereta, dove ha modo di conoscere Carlo Cracco. Lo seguirà alle Clivie di Piobesi  d’Alba e al Cracco-Peck di Milano, successivamente Ristorante Cracco. Dall’aprile 2014 è Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino.

Ci troviamo seduti  nel più elegante ristorante, della città più elegante d’Italia, precisamente nel “Bar Cavour” avvolti in un’atmosfera magica. In questa intervista ci accompagna con lo sguardo, da un suo conosciutissimo ritratto, un grande habitué del Cambio, famoso registra dell’Unità d’Italia.

A soli 17 anni lei scrisse un paio di lettere a Carlo Cracco, dove gli domandava di poter lavorare con lui all’Albereta, allora gestita dal Maestro Gualtiero Marchesi. Lo stesso Cracco ricorda questo episodio nell’introduzione del suo conosciutissimo libro “ Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”. Aggiungendo che fu molto colpito dalla sua determinazione e decise di accettare la sua candidatura.  

Che ricordi, motivazioni ed emozioni l’hanno spinta così giovane a scrivere proprio a questo chef?

A Carlo Cracco mi lega un affetto sincero. Ai tempi, un mio professore della scuola alberghiera, che conosceva un sommelier che lavorava da Gualtiero Marchesi, mi chiese se alla fine della scuola volevo andare a fare esperienza all’Albereta, io accettai e fu il mio tramite. Inoltre proprio in quel momento Carlo Cracco, chef all’Albereta, cercava una persona alle prime armi per la sua brigata: disponibile, volenterosa, che non si tirasse indietro. Furono proprio queste le caratteristiche che seppe apprezzare in me. Iniziò tutto così. La cosa più bella e magica, è che non mi rendevo conto di dove stato andando, non sapevo cosa significasse una cucina con 20 cuochi e fino ad allora non conoscevo la fama del Maestro Marchesi.

Lei è stato eletto vincitore per il mese di luglio del Concorso “Lo spirito del Tempo” by Distilleria Bocchino, col piatto “Branzino al vapore e coda di bue brasata”, che propone consistenze, cotture di elementi distanti, ma che inaspettatamente danno vita a un bilanciamento di gusto sorprendente. Da dove prende corpo l’idea di rivisitare questo piatto e quali sono gli equilibri che modellano i sapori?

Proprio in questa creazione è racchiuso un passaggio che sto cercando di compiere; l’esatto passaggio di Baronetto da Cracco a Milano, a Baronetto al Cambio a Torino. In questo piatto definito da Alberto Cauzzi, ideatore e presidente del progetto Passione Gourmet, geniale, irriverente, terribilmente buono, ogni elemento fa “a pugni” con l’altro. Partendo dal piatto tradizionale, la coda di bue classica, il branzino diventa la sua degna consistenza e lascia percepire tutta la sua delicatezza. Nella mia visone di cucina apprezzo molto, un piatto che abbia solamente due passaggi, che non confonda, che faccia riflettere e non sia troppo bello esteticamente.

Definisco la mia cucina “un’improvvisazione ragionata”: l’improvvisazione è il momento, l’attimo, l’approccio con un’idea nuova, il termine ragionata indica il modo, la possibilità di poterla proporre. Coniglio e salmone ad esempio, sono un abbinamento che sconvolge gli equilibri, una rottura con gli schemi e un’evocazione di un prodotto, come il salmone, che è stato bistrattato negli ultimi 25 anni.  Il primo piatto che ho ideato con l’abbinamento carne e pesce, fu nel 2002, il rognone di vitello con i ricci di mare. In natura esistono prodotti, che anche se di categorie diverse, hanno delle affinità. In questo caso la ferrosità del rognone, la sua nota aromatica si lega molto bene col salmastro e la sapidità del riccio.

Creativo, attento, talentuoso, posato, non ha bisogno di “fare rumore” per far notare la sua bravura a chi se ne intende. Milano per Torino, un ritorno alle origini, un cambiamento importante al ristorante Del Cambio. 

Ci racconta le sue impressioni dopo alcuni mesi dall’apertura?

In seconda superiore avevo già fatto uno stage al Cambio, quello che io considero uno dei ristoranti simbolo di Torino. In questo ristorante sento una percezione di libertà. Carlo Cracco mi aveva dato in mano la cucina del suo ristorante con una fiducia incondizionata, una rarità in questo ambiente. Quando è entrato in un mondo che non era più mio, dove c’era una concezione diversa delle cose, mi sono reso conto, in un modo molto umile, che non ero più adatto a seguirlo.

Un ristorante di successo ha al suo interno, in cucina, una brigata che deve funzionare all’unisono, come un’orchestra.

Quali sono gli elementi che le fanno capire e scegliere i suoi collaboratori?

Non sono io che scelgo le persone, ma sono le persone che scelgono me, che decidono di rimanere. Per chi vuole lavorare nella mia cucina, impegno e dedizione sono fondamentali.  Non meno importanti il rispetto delle persone e delle regole. Apprezzo le persone che hanno la voglia e la volontà di seguirti nello sviluppare un lavoro, nel decodificarlo, quando si sviluppano pensieri che non sai dove ti porteranno.

In un’intervista al ristorante Del Cambio, prima dell’apertura ufficiale, lei ha espresso la sua volontà di sostenere un principio culinario tradizionale piemontese, rielaborando il suo attuale metodo. Torino come ha accolto la sua proposta?

Sono molto contento dei risultati. A Torino c’era la necessità di ritrovare un luogo dove poter mangiare in modo diverso e in tutta onestà non pensavo di poterlo fare in 5 mesi.  Non ho ancora vinto la mia partita, con i Piemontesi e Torinesi, ma devo dire che c’è stato un senso di affetto e rispetto molto caldo nei miei confronti. Mi sono sentito accettato e riconosciuto come un piemontese che torna in patria, dopo aver lavorato quattordici anni a Milano. A mio favore devo dire che mi sono rivolto a loro con umiltà, non era mia intenzione fare quello che dice “adesso vi faccio vedere io”.  Ho cercato solo, e questo è il mio pensiero, di varare la nave. Nel varo di una nave da crociera, come questo, bisogna essere sensibili, ma anche riflessivi. Un grande pilota, un comandante, non può non essere riflessivo.

Matteo Baronetto è stato protagonista di una trascinante testimonianza: lo ringraziamo per averci accolto in un luogo affascinante e intriso di storia.

 

 

Intervista a Giovanni Ciresa: nuovo coordinatore didattico ALMA

Tra i talenti più celebri del panorama culinario figura Giovanni Ciresa. Classe 1967, chef straordinario, firma pietanze ricche di alto simbolismo culinario.
Ha iniziato la propria carriera creativa a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, una realtà di riferimento che rimane alla base della sue opere culinarie, dal 1991 al 1995, applica doti e impegno.
Il talento, la volontà di dimostrare le sue idee, lo spingono verso mete lontane: Tokyo, Singapore, una resa culinaria al ristorante Bologna, di cui la Marina Mandarin detiene la paternità.
La ricercata Saint Tropez a La Pinéde, le Cote d’Or di Saulieu, un registro che non lascia dubbi, il suo impegno è passato attraverso luoghi prestigiosi dal punto di vista culiario, come  la Terrazza dell’Hotel Eden, a Roma. Un percorso, il suo, nel quale si intrecciano esperienze e abilità che immortalano attitudini, patrimoni che recitano un suo vissuto ineguagliabile.
 
Il De Pisis, nella sfavillante Venezia, sul Canal Grande, rappresenta gli anni trascorsi nel pieno della sua comunicazione: un linguaggio culinario che lo vede protagonista in un tempo sospeso tra il 2002 e il al 2012,  ma inebriante per la sua eccezionale completezza formale. Scelte precise gli suggeriscono di non fermarsi agli schemi tradizionali tipici dello chef. Veste una figura che lo rende eclettico. Le sue consulenze lo rendono un docente di rara influenza: teorie, produzioni, dottrine. Nel suo bagaglio trionfano le più autorevoli esperienze in materia food. Numerose le attività, come  intraprendere nel mese di giugno 2014, il timone di coordinatore didattico Alma (la celebre scuola Internazionale della cucina Italiana), a Colorno, Parma.
Nel suo criterio di cucina, tutto parte dall’incontro con la sperimentazione, sofisticato, perfezionista, la sua tecnica esterna l’integralismo,  ossia non compromette il valore genuino della materia prima. Il cibo è come la sensualità, a volte è difficile trovare una sinergia perfetta, soprattutto se gli elementi e le culture d’origine miscelati, sono diverse. In sintesi lei ha creato un ponte con due culture, nel suo caso: l’Asia e l’Italia. È forse questa la filosofia culinaria del futuro?
 
Se guardiamo al giorno d’oggi l’influenza orientale incontra tanti abbinamenti e condivisioni, del ruolo del cibo in cucina. L’Italia è un paese con una memoria della storia gastronomica immensa.  In rapporto con le altre culture, in questo caso si parla dell’Asia, è riuscita a creare una combinazione calibrata, dunque la capacità di riconoscerla familiare. E al tal proposito una caratteristica in più per aggiudicarsi il titolo di cucina del futuro.
Lei ha saputo costruirsi una carriera di tutto rispetto e oggi è stato chiamato a ricoprire la carica di Coordinatore Didattico Alma. Il titolo e gli obbiettivi esprimono una condivisione diversa nel trasmettere la sua identità in cucina. Sarò più chiara: deve convincere, o meglio educare i possibili potenziali chef del futuro. Una bella responsabilità? 
Durante il primo approccio che ho avuto con i miei allievi ho affrontato l’argomento che diventa storia nella vita di uno chef: la carriera, la sua costruzione nel tempo, l’esperienza si accumulano, si espandono. Questo ci permette di avere nuove fonti d’ispirazione, segnali creativi. C’è sempre un futuro da conquistare. Trasmettere, comunicare questo messaggio, riflette il mio spirito: nulla è infinito, non esiste il posto perfetto. La differenza sta nell’occasione di scoprirsi migliore, migliore di ieri.
 
Sono molto curiosa di sentire in che maniera metterebbe d’accordo tre palati dai gusti differenti. Chiamiamo in causa tre etnie lontane: russi, arabi e francesi. La sfida è un piatto unico che arriva al cuore dei loro sapori. Non voglio metterla in difficoltà, ma lei è considerato “l’apertura mentale in cucina”.
 
Questa domanda mi ha colpito. L’ispirazione di una pietanza che abbia un mezzo unico di creare unione è sempre difficile da mettere in atto. A maggior ragione se questi sono i presupposti. I popoli chiamati in causa evocano una memoria che si chiama cartoccio di bigoli fatti al torchio, con essenza di curry caffè e crostacei: una sorta d’ingredienti che testimoniano apertura mentale, pronta ad entrare nei gusti di diverse tradizioni. Un piatto che è stato un cavallo di battaglia incisivo.
Lei ha dichiarato che l’esperienza più formate l’ha vissuta a Firenze, all’Enoteca Pinchiorri. Tuttavia sviluppa le sue abilità nei più considerevoli ristoranti stranieri. In che misura influisce oggi il significato della tradizione del Bel Paese nei suoi piatti, considerando che la sue tecniche spezzano alcuni princìpi, sopprimono l’utilizzo di alcune cotture e sintetizzano al minimo la presenza dei grassi? La domanda è: privilegia proporzioni dei sapori nella creazione di nuovi accostamenti?
Il rispetto del prodotto, la scarsa elaborazione degli elementi, la corretta prassi della pulizia delle verdure, tale da non disperdere poi il loro valore, fa riferimento a quello che riassume i concetti fondamentali in cucina. In Italia, così come in qualsiasi cucina che si rispetti al mondo. Sulla creazione e il rispetto dei sapori, nutro una tendenza che assicura il rispetto di entrambe le tecniche.
Come è iniziato il rapporto con Alma? Una posizione lungimirante la sua. Le scelte professionali sono la sostanza di ogni grande successo. Ce ne parli.
È incominciato tutto in modo molto naturale.. Ho collaborato con Alma dal 2003, in veste di docente esterno: un impegno ed una responsabilità portati avanti negli anni. A partire dal 2013 ho lavorato poi in tutti i corsi internazionali, che andavano dall’Asia, India, Cina e Malesia. Sorprendente, inaspettato, ora è molto importante il presente, il domani e il suo futuro. Questo lo affermo da nuovo coordinatore didattico Alma.
La disinvoltura riscontrata nel corso di una lunga chiaccherata con Giovanni Ciresa non l’avvertivo da tempo. Concetti forti, che hanno il simbolo di chi sa concludere in bellezza. E allora mi verrebbe da dire: “il nostro passato è il miglior modo per presentarci al futuro”.
Detto questo a voi le conclusioni.
Isabella Scuderi

Gustum et Vinum: l’aperitivo “stellato” al G Ristorante Italiano

G Ristorante italiano, ristorante del Golden Palace all’interno del Gruppo HCS, leader in Italia della ristorazione 5 stelle con a capo il Presidente Carlo Samuelli e l’Executive Chef Diego Rigotti, lo Chef stellato più giovane d’Italia, propone a partire dal mese di settembre  Gustus et Vinum

Leggi tutto “Gustum et Vinum: l’aperitivo “stellato” al G Ristorante Italiano”

Intervista a Philippe Léveillé: la “cucina perfetta”

leveillePhilippe Léveillé : autenticità e cultura, la sua arte in cucina diventa una mostra gourmet, che raccoglie molteplici testimonianze lungo il percorso di un grande recordman . La sua fama e il suo bagaglio di conoscenza sono uniti e inseparabili: un punto gastronomico che coniuga  l’abilità a un carattere vincente.

Ecco, allora, come si comprende l’importanza di essere “Chef”, contrariamente all’abuso di questo titolo, e del grande talento che ne accompagna il termine.

Si parla di esordi. Anni che consacrano e forgiano l’avvenire di giovani promesse. L’Hotel Windsor Clovis, a Parigi” è stato l’arena di ore, giorni, mesi di educazione e costruzione della personalità del giovane Léveillé. Il principio di un vocabolario appena nato, il suo. Helton Kennedy Hotel, a New York, ristorante Boucairre Meridiane, a Martinica, Hotel Vis Palace Grand Corniche, a Cap Martin Montecarlo. Indice di lustro.

L’Italia arriva nella metà degli anni ’80: le Maschere di Iseo primo approdo, dal 87 al 91, dimostrando le sue origini Bretone in materia cucina, ma in comunione col metodo Italiano. Miramonti L’altro, nel Bresciano, rivendica la sua presenza da più di 20 anni ad oggi. È proprio l’incontro con la famiglia Piscini nel 92 che l’ha incoronato il reale chef del prestigioso ristorante.
Philippe Léveillé  è probabilmente lo chef più singolare che abbiamo incontrato, ma è soprattutto il suo modo di interpretare la cucina, che incanta e stupisce. Lo incontriamo al Miramonti L’altro, ci accomodiamo e, semplicemente, comincia una spontanea conversazione.

Philippe Léveillé ci spieghi, quando le dicono che è un francese “molto” italiano, come lo percepisce?

Sono orgoglioso ed è un dato di fatto, ho del resto vissuto più in Italia che in Francia.

Qual è il concetto vincente della sua filosofia in cucina?

Ritengo innanzitutto che il concetto vincente della cucina sia “il buono”. Nel mio caso cerco di trasmettere nei miei piatti quello che nel mio viaggio di vita ho assimilato: in primis la tecnica francese e poi la materia prima italiana.


In questo mondo dipendiamo sempre più dai giudizi altrui. Non trova possa diventare sconveniente tutta questa esposizione mediatica a cui gli chef si sottopongono. Qual è secondo lei, il prezzo che si paga per questo genere di notorietà?

Bisogna semplicemente imparare a distinguere la critica costruttiva, che a volte può aiutare, dalla denigrazione del proprio lavoro fine a se stessa.

Hong kong è la tappa dell’altro Miramonti, di cui lei ne detiene la regia, Antimo Maria Merone è il suo interprete. Necessità e strategie. Quali sono le differenze fra l’Italia e il mercato straniero?

Non ci sono strategie particolari, il fondamento primo in Italia come ad Hong Kong è la soddisfazione del cliente. La necessità prima è invece riuscire a trasmettere il concetto di collaborazione in brigata, cosa non semplice nella mentalità asiatica (per conoscenza diretta). Da ottobre lo chef responsabile della mia cucina a L’Altro sarà Mauro Zacchetti che sostituirà Antimo Merone al quale auguro una sfolgorante carriera

Lungo il corso della sua carriera qual è l’effetto più desiderato della sua professione, quello per cui prova più soddisfazione?


Sono orgoglioso di aver ottenuto un certo successo professionale che mi ha ripagato di tutto l’impegno messo nel mio lavoro, di essere spesso riuscito a trasmettere ai miei ragazzi la passione per questo lavoro.


È difficile riuscire a fare più volte qualcosa di totalmente singolare, riferendoci alla creazione di grandi piatti, quando si è ai vertici della propria espressione. Mi spiego, paragoniamo il campione col massimo dei risultati, esiste una fase di stallo per voi chef?

È possibile… Siamo umani, molti difetti e qualche pregio.


Un profilo culinario quello di Léiveillé, che mostra una storia fatta di protagonismo in cucina, ambizioni e risultati eccelsi.
Narraverlo è stato intrigante.

 

Marino Marini: un racconto chiamato cucina

Incontro con un autore che non ha perso la nostalgia delle sane fondamenta di un racconto chiamato cucina. 
Spesso sono e le scelte di una vita, che si suggellano nella nostra memoria e che ci raccontano di più di una persona, della stessa conversazione in sé.
La soggettività con cui Marino Marini riempie la sua biblioteca, con i suoi libri,  i manoscritti, le opere pregiate  esprime la sua letizia Migliaia di raccoglitori che contengono l’elenco delle opere collezionate personalmente, meticolosamente, e forse sono uno dei motivi per cui quest’uomo straordinario trova espressione.
E così di anni ne sono passati parecchi, vissuti sul campo, coltivati e arricchiti da grandi idee: per anni dirige Slow Food, di cui ne è curatore, seguendo una costante ricerca sull’archeologia e la storia enogastronomica.
Chef, curatore, educatore delle ragioni più profonde della cucina: un approccio che cattura larghi orizzonti.
Osterie D’Italia è il frutto nero su bianco del nucleo completo del suo altissimo valore, dei luoghi dove vale la pena fermarsi. Marino Marini ne è il padre ideatore, colui che partorì  la più grande lettura sulla cucina familiare del territorio.
Sono entrata nella sua biblioteca in Alma, pensando a quanto è affascinante e contagioso questo luogo, a quanta persuasione e cultura trasmette la sua persona.
Dialoghiamo con un grande collezionista e vero talento poliedrico Marini:
“Osterie d’Italia”, sono sinonimo di civiltà e tradizione dei sapori dell’antichità. Si riscopre il bisogno di capire il legame con la cultura d’origini. In che modo si rapporta, secondo il suo giudizio, la cultura storica culinaria, con le nuove generazioni e con le recenti  mode come quella del “cibo di strada”? 
 
La gente incomincia a capire che quello che non rientra nella nostra cultura, ci va bene fino ad un certo punto, ma poi ci disturba. I giovani oggi cercano altre risposte. Il McDonald’s può essere comodo, ma l’esigenza dell’identità culinaria è diventata un cult. E’ corretto parlare di ritorno all’origini, e della forte affluenza da parte dei giovani, nell’imparare il valore di un codice alimentare, attraverso quello che può essere l’informazione educativa, formativa, gli eventi dedicati. Il Salone del Gusto è pieno di giovani, come sono d’esempio tantissimi altri eventi enogastronomici. L’Osteria, cosi come la tradizione, sono il ponte verso i propri luoghi, sentimenti, la propria terra.
Parliamo di cose importanti: di libri, un vero e proprio valore aggiunto nella sua vita, lei è un collezionista di pezzi preziosi, aggiungerei di viaggi singolari. Qual è il suo rapporto con essi?
Il primo libro che mi ha regalato mio fratello è stato Artusi, grande scrittore e critico gastronomico. Ho sempre fatto la felicità degli editori, “politica, saggi, classici, a un certo punto con la nascita di Slow Food ho sentito l’esigenza di  concretizzare il mio interesse verso argomenti che toccavano la storia e la civiltà del cibo e dell’alimentazione. Il mio rapporto con la lettura, con i libri è riflessione, empatia, confronto, un rapporto fisico, diretto, immediato.
Oltre ad essere un grande lettore, lei vanta la paternità di diversi libri. Come quello di “La Gola”, un’opera che ha vinto il quinto premio Bancarella, aggiudicandosi il più celebre dei risultati. C’è un capitolo a cui lei è più affezionato, a cui ha dedicato una ragione più intrinseca? 

Il capitolo che mi ha  dato più soddisfazioni è stato quello più banale: “il risotto alla Milanese”. Il paragrafo dedicato al  piatto ha identificato l’importanza e l’origine di ogni singolo componente, dalla presenza del riso, allo zafferano ecc… quindi la ricostruzione storica, la nascita, la forma, non è solo la ricetta.
Il sapere è da sempre potere, soprattutto se è unito alla passione. Lei della sua passione ne ha fatto il suo fuoco sacro. C’è una storia, una ricetta, ed un rimpianto, che non l’abbandonano mai? 

Io sono contento di avere scelto questa nobile professione, aver fatto il cuoco mi ha trasmesso la cognizione di amare e scoprire i mille volti di questo mondo. Ho avuto la fortuna, ma anche la volontà di andare oltre alla figura dello chef. I sacrifici non sono mancati, si lavorava tanto, poco spazio ai divertimenti, tanta attenzione nel migliorarsi, questo mi ha portato ad avere delle idee che si proiettavano ad ampliare la cultura culinaria in larga scala.
Il manifesto di Slow food nasce ufficialmente nel dicembre 89, nei tre anni precedenti vigeva  Arcigola, con tanto di iscritti e tesserati. L’incontro con Carlo Petrini, avviene tramite Santo Bertrocchi presidente provinciale dell’Arci del mio paese. Fece il mio nome e Petrini mi offri il ruolo di responsabile di Arcigola a Brescia. Una sera a Parigi, di fronte ad ostriche e Champagne, a spese di Arcigola, leggemmo il Gambero Rosso di cui eravamo soci al 50%: stavano pubblicizzando  l’uscita di una guida dell’osterie. Noi non eravamo d’accordo, a questo punto ci separammo aprendo per conto nostro una casa editrice, e cosi parti l’avventura. Con in mano un taccuino da Peppino Cantarelli, famosa Osteria storica dall’ora, lanciai l’idea nuova: non ci son più l’osterie, stanno scomparendo, vogliamo indagare in ogni regione la presenza di esse? Nacque  la prima edizione con 800 indirizzi e ”Osterie d’Italia” prese vita.
In ultima istanza, comprendiamo in che modo e in quale direzione, la tradizione culinaria sia un elemento culturale. In altre parole Marini ci insegna che il valore evocativo del cibo esprime l’unione tra cultura, storia, riflessioni e la speranza di accrescerle, ereditarle, col più nobile dei sentimenti: l’amore per la cultura d’appartenenza.