Il centro di ricerca e sviluppo di Torino di Motorola, per il quale Reply ha firmato nei giorni scorsi un accordo di acquisizione, diventerà un centro di ricerca per le tecnologie machine-to-machine (M2M), ovvero sistemi hardware e software per lo scambio di informazioni e l’interazione fra dispositivi in rete, volti all’automazione dei processi mission critical.
L’acquisizione del centro ricerche Motorola s’inquadra nella strategia di sviluppo di Reply articolata su quattro direttrici: reti di processi, di persone, di servizi e di oggetti. Il M2M, alla base dell’internet degli oggetti, è un mercato che in Italia vale oggi oltre 230 milioni di euro (stima NetConsulting) e si prevede che crescerà di circa il 20% in media all’anno nel periodo 2008-2011. A livello mondiale si stima che il mercato M2M raggiungerà il valore di 220 miliardi di euro nel 2010, con un tasso di crescita anno su anno del 50% (stima Idate).
Il centro di Torino, che attualmente comprende 339 dipendenti, porta in dote a Reply liquidità per 20,6 milioni di euro e 3 milioni di altri asset. Reply ha acquisito tale ramo d’azienda a una “cifra simbolica” e accederà a un finanziamento pubblico per la ricerca pre-competitiva che potrebbe arrivare fino a 25 milioni (20 milioni a fondo perduto, più almeno altri 5 milioni a tasso agevolato); 10 milioni saranno messi a disposizione dalla Regione Piemonte, 15 milioni dal Ministero dello Sviluppo Economico.
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L'ex operaio compra un pezzo di Motorola
Rapahel Zanotti su Lastampa.it
Questa storia piacerebbe a Obama. Piacerebbe a tutti perché sa di successo, famiglia, sudore e radici. Questa è la storia di Mario Rizzante, nato operaio alla Fiat e finito imprenditore. Un imprenditore che si è appena comprato un pezzo della multinazionale Motorola.
L’azienda di Rizzante si chiama Reply, una società che offre consulenza, integrazione di sistemi e application management. Quando è nata, nel 1996, aveva dieci dipendenti. Oggi ne conta 2600, produce un fatturato di 240 milioni di euro (primi nove mesi del 2009) e ha un ritmo di crescita che la pone tra le prime in Europa. Ma lui, Rizzante, l’ex operaio della Fiat oggi imprenditore, presenta così la sua creatura: «Io sono quello con i capelli bianchi. Mia figlia Tatiana, amministratore delegato, è quella giovane che si occupa delle nuove tecnologie. Sergio Ingegnatti, l’altro amministratore delegato, è quello che ha il compito di tenere in quadro i conti. La squadra è tutta qui».Per acquisire il pezzo di Motorola, il centro ricerche di Torino che contava all’attivo 339 persone tra ingegneri e ricercatori, Rizzante ci ha pensato un po’. «Mica si può fare così, tutto insieme. Un passo alla volta e si arriva. Noi siamo piemontesi», spiega. D’altra parte, è proprio un passo alla volta che Rizzante è arrivato dove è arrivato. Nella sua Valperga, dov’è nato, nel cuore dell’Alto Canavese, non è che i giovani avessero molte possibilità: il campanile più alto della zona in concorrenza con quello di San Maurizio Canavese, le vigne della collina di Belmonte, da una parte l’agricoltura, dall’altra l’attrazione della fabbrica. «Ho fatto le scuole professionali. A 16 anni in Fiat, come operaio».
Il Centro ricerche Motorola passa a Reply
E’ ufficiale: i lavoratori del Centro Ricerche Motorola di Torino hanno approvato l’accordo sindacale che prevede il loro passaggio a Reply. L’azienda torinese assumerà tutti gli ingegneri del Centro Motorola di Torino, a tempo indeterminato, mantenendo le condizioni contrattuali attuali.
E’ previsto un periodo di cassa integrazione durante il quale saranno individuati tutti gli strumenti necessari per collocare i lavoratori in mansioni equivalenti alla professionalità di ciascuno all’interno della Reply o in altre aziende del settore, con l’obiettivo di ridurre e possibilmente azzerare il numero di dipendenti a cui applicare eventuali ulteriori ammortizzatori.
Il Ministero allo Sviluppo economico ha comunque confermato la propria disponibilità a sostenere l’operazione mediante incentivi erogati a fronte di progetti condivisi, con la regia della Regione.
Chi non accetterà il nuovo posto potrà prendere l’incentivo all’esodo. «I lavoratori – spiega Cosimo Lavolta, segretario regionale della Uiltucs – hanno apprezzato lo sforzo che le istituzioni hanno fatto per sostenere il piano industriale. Il sindacato giudica positivamente la qualità di un accordo che garantisce l’occupazione, l’incentivo e gli ammortizzatori sociali per chi non potrà essere ricollocato. Questo accordo garantisce una prospettiva economica e sociale al territorio torinese per il valore che avrà in futuro l’information technology al posto della tradizionale industria manifatturiera».
Reply prende Motorola con l'aiutino
L’intesa sulla cifra è raggiunta. Reply vorrebbe acquistare il centro ricerche Motorola e i suoi 327 ingegneri per circa 20 milioni di euro. L’accordo tra la società piemontese e la multinazionale americana, però, non è stato siglato. Ieri le trattative si sono arenate su una serie di questioni legali e procedurali che non sembrano di facile soluzione.
Gli americani, che hanno già accantonato denaro per incentivare l’esodo del personale, non hanno nulla da perdere e ragionano per ultimatum. Il loro obiettivo è avere una data certa per la loro uscita, togliere la bandierina «Torino» dal planisfero delle loro sedi. Ora come ora, però, nessuno è in grado di garantire quella data. Tanto meno Reply.
Il tavolo balla ancora sulla definizione dell’intervento pubblico. Reply (ma lo stesso ha fatto l’altra azienda interessata all’acquisto, la triestina Telit) ha chiesto garanzie agli enti locali.
I telefoni dei Gormiti vicini a Motorola
Via La Stampa
Stretta finale per la Motorola. Oggi i vertici di Telit, l’azienda di cellulari con sede a Trieste che vuole rilevare il centro ricerche di corso Vittorio e i suoi 350 ingegneri , incontrerà gli americani. Le trattative sono avanzate e se andassero a buon fine, Motorola potrebbe avere una way out (via d’uscita) meno onerosa. Tra Tfr e incentivi, infatti, il conto batte sui 20-25 milioni di euro.
In serata Chicco Testa, ex presidente Enel e oggi presidente di Telit, incontrerà l’assessore regionale all’Innovazione Andrea Bairati e il vicesindaco di Torino Tom Dealessandri. Il vertiche è per valutare le possibilità di Telit e compararle con quelle del concorrente Reply, l’azienda piemontese che in poco più di 10 anni è riuscita a raggiungere posizioni leader sul mercato delle nuove tecnologie e che conta oggi 2600 dipendenti. Reply, per ora, sembra più cauta nelle offerte, ma pare offrire occasioni industriali più solide.
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Si tratta per la sede Motorola torinese a Telit
Paolo Griseri su Repubblica porta buone nuove per il caso della sede Motorola torinese: “E’ ufficiale: il centro Motorola di Torino interessa alla Telit, la società triestina di telecomunicazioni di cui è presidente Chicco Testa. La particolare attenzione, spiega Testa, nasce dalla qualità del personale improvvisamente abbandonato dalla Motorola al suo destino: 370 ingegneri specializzati in telecomunicazioni. Gli incontri sono iniziati nelle scorse settimane e proseguiranno. Si arriverà alla vendita? “Stiamo trattando – rivela Testa – ed è prematuro, al momento, fare previsioni. Entro gennaio arriverà la decisione”.
La vicenda della Motorola aveva fatto indignare il sindaco di Torino. Non tanto per l’ improvvisa decisione di chiudere, quanto per la scelta di farlo senza preavviso dopo aver pompato indirettamente quasi dieci milioni di euro dalle casse pubbliche sotto forma di sovvenzioni e aiuti di diverso genere. «Se non si risolve la questione, giuro che mi incateno davanti all’ azienda», aveva detto nelle scorse settimane Sergio Chiamparino suscitando scalpore a livello nazionale. Ora l’ ipotesi Telit sembra essere in grado di risolvere il problema. Chicco Testa, già presidente di Legambiente prima di diventare numero uno di Enel e oggi della stessa Telit e di Roma Metropolitane, appare intenzionato ad approfondire la trattativa.”
Il salvagente di Reply su Motorola
Raphael Zanottti su Lastampa
La Reply è interessata ad assorbire almeno una parte degli esuberi della Motorola. Arriva da un’azienda piemontese la prima risposta alla crisi del centro ricerche della multinazionale americana dei telefonini. La società specializzata in sistemi informatici ha intenzione di espandersi. Per questo ha chiesto la disponibilità di una grossa area (si parla di una superficie compresa tra i 5 e gli 8000 metri quadri) in una delle due maniche delle ex Ogr, proprio accanto al Politecnico di Torino. Una richiesta vagliata in un recente incontro tra Politecnico, Comune di Torino, Regione Piemonte e rappresentanti della banca San Paolo-Intesa.
«Una buona notizia – ha commentato il presidente della Regione Mercedes Bresso – perché se è vero che la crisi c’è, è pur vero che il sistema industriale piemontese sembra rispondere bene. Il Politecnico di Torino si mostra un polo attrattivo per le imprese, e questo potrebbe aiutare il nostro tessuto economico a superare meglio il momento difficile».
L’espandersi di Reply prelude a nuove assunzioni. La professionalità ricercata è la stessa dei 370 ingegneri del centro ricerche Motorola. Reply, dunque, potrebbe rappresentare un paracadute importante. Anche perché per adesso non sembra profilarsi all’orizzonte un cavaliere bianco che possa acquistare in blocco il centro ricerche e rilevare i suoi dipendenti. «Continuiamo a lavorare all’ipotesi – spiega la Bresso – ma due mesi sono quelli che sono. Per ora dagli Stati Uniti non è ancora arrivata risposta rispetto alla lettera che abbiamo inviato come Comune e Regione».
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Progettavano l'anti Iphone
Daniele Lepido sul Sole 24 Ore
“Battere l’iPhone si poteva. E alla Motorola di Torino avevamo già allo studio un paio di nuovi modelli pronti a competere con lo smartphone della Apple. Poi è arrivata la batosta dei licenziamenti e la tragedia del vedersi trasformati in disoccupati (probabilmente) costretti a scappare all’estero. Pensare che ci chiamavano gli ingegneri più bravi d’Europa, ci chiamavano…”.
Parla così R. B., manager del centro di ricerca torinese della Motorola, il più grande in Europa nel settore multimedia, uno dei 370 rimasti senza lavoro dopo la decisione della multinazionale americana di azzerare i laboratori piemontesi a seguito della scelta, tutta industriale, di non puntare più sulla piattaforma Symbian, che fa capo a Nokia, ma su Android di Google e su Windows Mobile e P2k. Quello stesso centro che da dieci anni produce saperi, tecnologia e cellulari hi-tech come il Motorola Q, uno dei concorrenti del Blackberry.Il super-informatico è il primo dipendente del gruppo ad uscire allo scoperto e a parlare in esclusiva con un giornale, senza eccessi e con pudore, pur in una situazione personale e professionale di grave disagio. Il suo è il profilo di un tecnico altamente qualificato e con un buon stipendio (70mila euro lordi l’anno), un’esperienza in aziende internazionali alle spalle e, come molti, una famiglia da mantenere. Un caso, quello della Motorola, che ha spiazzato persino la Cgil che si è trovata di fronte a un’impresa che non aveva al suo interno neppure una rappresentanza sindacale unitaria. “Nella nostra mentalità chi ci pensava? – continua l’esperto – E non è una cosa strana.
La notizia della chiusura ci ha lasciati increduli e ci abbiamo messo un po’ a capire cosa stava succedendo perché noi eravamo completamente a digiuno di cultura sindacale e ora ci è rimasta addosso un’amarezza e una rabbia incredibili. Prenda nota di questo: qui ci consideravamo quasi una succursale della Silicon Valley e se tu vai a chiedere a un nerd della Silicon Valley, con tutto il rispetto, cos’è un orario di lavoro o un cartellino da timbrare, quello ti ride in faccia. Lui lavora con la bulimia dello studioso, come si fa in università, e ha l’ansia di arrivare al risultato perché ci sono gioco la sua testa, il suo cuore, la sua creatività. Il resto non conta”.
Tre nomi per il dopo Motorola
Via Repubblica
«Dobbiamo trovare una soluzione per la Motorola, con gli enti locali, gli industriali, l’azienda. Ci sto lavorando». Il rettore del Politecnico, Francesco Profumo, non vuole lasciare nulla di intentato, insieme a Regione e Comune, non tanto per evitare che la «M» del colosso statunitense scompaia da via Cardinal Massaia, ma per scongiurare un fuggi-fuggi delle competenze che si sono formate in dieci anni. Ci sono trattative in corso? Bocche cucite e soprattutto i tempi sono stretti: 75 giorni da lunedì scorso. Tutti i 370 addetti rimarranno a casa dal 19 gennaio. Non mancano le indiscrezioni.
Sembra che Motorola abbia fatto intendere agli enti locali di avere in corso contatti con un gruppo, senza spiegare però di cosa si tratti. A questo si aggiunge che dirigenti italiani abbiano cercato una sponda nell’avversario diretto degli americani: la Nokia. Risposta? Non ha escluso di prendere in considerazione l’i potesi. Molto più di sostanza sembrano i tentativi di coinvolgere una grande società indiana, attiva nel settore dei software per le telecomunicazioni. D’altronde la stessa Motorola ha storici rapporti con l’India e un centro a Bangalore. E su questa partita potrebbero entrare in gioco altre due società, entrambe giapponesi. Gruppi mondiali che avrebbero puntato gli occhi su Torino e che in questo momento, con l’addio di Motorola, potrebbero assorbire, sempre che le trattative per l’apertura dei siti vadano a buon fine, gli addetti lasciati a casa. Si parla della Fujitsu, interessata alla cittadella del Poli, e della Sharp, proiettata sul vercellese per avere più spazi. Contatti che passerebbero attraverso Poli ed enti locali.
«Sono molto dispiaciuto di quanto è accaduto — aggiunge il rettore Profumo — perché il centro ricerche Motorola è uno dei migliori al mondo. Ci sono competenze uniche». Lunedì Profumo, insieme all’a ssessore regionale all’Innovazione e all’Università, Andrea Bairati, incontreranno il direttore generale del sito torinese, Massimo Marcarini, che ieri ha parlato telefonicamente con la presidente Bresso: «Il patrimonio umano e personale non va disperso», dice la presidente che scriverà ai vertici statunitensi di Motorola per chiedere un allungamento dei tempi di chiusura. Missiva che si va ad aggiungere a quella firmata dal sindaco Chiamparino. «I due mesi e mezzo previsti sono troppo poco per trovare una soluzione», dice Bairati.
Il vicesindaco Tom Dealessandri ha incontrato un gruppo di lavoratori, riunione dove è emersa l’ipotesi che alcuni professionisti decidano di mettersi in proprio, creando aziende più piccole nel campo delle tlc e dei software, anche grazie all’aiuto del pubblico. Uno scenario che prende piede a Palazzo Civico e che il vicepresidente della commissione lavoro, Enzo Lavolta, vorrebbe trasformare presto in realtà.
Torino, l'epicentro della crisi
Il conto della crisi per Torino è salato. Più salato che altrove. Ed è bastata una settimana nera di annunci, fra chiusure e cassa integrazione, per convincere il sindaco Sergio Chiamparino che «la città sta pagando dazio più di altri». Il cardinale, Severino Poletto, che ieri ha incontrato il primo cittadino, è preoccupato «per le famiglie dei lavoratori precari che non hanno nemmeno diritto alla cassa integrazione». La presidente della Regione, Mercedes Bresso, non fa fatica a fornire le cifre: «Un quarto delle grandi imprese del Piemonte sono a rischio, ci sono quaranta tavoli di crisi aperti e il credito al consumo ammonta a otto miliardi di euro». Sotto la Mole, il 21 novembre, sarà sciopero generale dell´industria. Un fermo proclamato dalla numero uno della Cgil provinciale, Donata Canta, presente il segretario generale di corso d´Italia, Guglielmo Epifani, che non ha dubbi: «Torino è l´epicentro della crisi». Ed il segretario regionale del Pd, Gianfranco Morgando, ha convocato una riunione urgente a Roma dei parlamentari piemontesi per esaminare la situazione. I numeri parlano chiaro: 3 mila posti in bilico e 40 mila in cassa integrazione.
A far paura non è solo la situazione della Fiat e dell´indotto auto, ma le decisioni prese da gruppi come Motorola. Il colosso dei telefonini, dopo nove anni di attività del centro ricerche e un sostegno pubblico non indifferente, ha cancellato 370 lavoratori. Tutti giovani ingegneri e tecnici che ieri mattina si sono sentiti dire: «Si chiude». E al danno rischia di aggiungersi la beffa. Il gruppo non ha pagato i contributi per gli ammortizzatori sociali, quindi addio alla cassa integrazione ordinaria. Altra multinazionale che ha annunciato da un giorno all´altro di voler serrare i cancelli è la Dayco: 470 tute blu, che fino a ieri hanno occupato lo stabilimento, in mobilità.
Crisi che si vanno ad aggiungere a situazioni ormai in cancrena, come la storica Bertone, dove in 1.200 sono in attesa di sapere, dopo tre anni di cassa integrazione, se gli amministratori nominati dal tribunale troveranno una soluzione. Ma ben presto si potrebbero aggiungere altre 700 tute blu della Pininfarina, in profonda crisi ed in cerca di una boccata d´ossigeno da parte delle banche. L´azienda, dopo la morte di Andrea Pininfarina guidata dal fratello Paolo e dalla sorella Lorenza, deve far fronte ad una mole di debiti pari a 700 milioni di euro e ad un calo vistoso della produzione, tanto che si ipotizza la chiusura di due stabilimenti nel Canavese e una riduzione degli addetti.
Anche i francesi della Michelin hanno inferto un colpo a Torino, storico insediamento della multinazionale delle gomme. Lo stabilimento Stura sarà chiuso, ma gli addetti non finiranno in strada: i 640 operai verranno trasferiti a Cuneo ed Alessandria. A Mirafiori e nei siti del gruppo Fiat il clima non è migliore. Non si parla di esuberi, ma da ieri fino al 16 novembre i portoni del più grande stabilimento italiano sono chiusi per 3.500 operai. Tutte le linee, tranne quella dell´Alfa MiTo. Cassa ridotta a sette giorni per 1.200 addetti della Powertrain nell´ex Iveco. Nei prossimi mesi si replicherà, mentre i sindacati temono che a gennaio si dovranno fare i conti con scelte ancora più pesanti.