I brevetti nelle nanotecnologie

Intervista all’Ing. Paolo Rambelli e all’ing. Edgardo Deambrogi, consulenti in proprietà industriale di Jacobacci & Partners*

Quali sono le attività principali della vostra società?
“Le attività principali nel settore sono i depositi e la prosecuzione di brevetti, la registrazione di marchi, pareri e perizie in materia di brevetti, modelli e marchi, consulenze tecniche in controversie giudiziali ricerche di anteriorità e valutazioni sulla proteggibilità di tecnologie. Seguiamo l’industria dal progetto fino alla commercializzazione, affiancandola in ogni aspetto della tutela nel campo della protezione della proprietà intellettuale”.

Chi si rivolge ad un’azienda come la vostra e perchè?
“L’inventore, nell’accezione romantica di una volta, è pressoché scomparso. Oggi, infatti, sono soprattutto le PMI e le grandi industrie a richiedere un riconoscimento, una protezione dei loro progetti di ricerca. Il nostro compito, quindi, è cercare di presentare in maniera chiara e completa il progetto, in modo che emerga l’elemento di novità che esso comporta”.

Quali sono i requisiti fondamentali per ottenere un brevetto?
“Sono fondamentali i requisiti di novità, originalità del trovato ed è necessaria chiarezza nella presentazione ed esposizione del progetto. Aspetto da non trascurare è la sufficienza di descrizione, perchè spesso progetti di nanostrutture che sono ancora all’inizio, con potenzialità e risultati ancora da scoprire, devono essere presentati nel modo più chiaro e completo possibile, altrimenti la domanda di brevetto può anche essere rifiutata, soprattutto a livello europeo e internazionale. In Italia, invece, non essendoci un esame di merito di una domanda, la brevettazione è molto più facile: è in effetti una sorta di registrazione”.

E quali sono i tempi necessari a un progetto di ricerca o un prodotto per ottenere il brevetto?
“Volendo richiedere la tutela in un gran numero di Paesi si passa da una prima fase di ricerca ed esame internazionale da parte di un ufficio competente, della durata di circa due anni e mezzo, alla richiesta diretta negli uffici brevetti locali dei singoli Paesi di interesse, i quali – nella maggior parte dei casi – svolgono un proprio esame di merito della domanda. Quindi una proceduta completa mediamente può durare dai 4 ai 5 anni. Esistono tuttavia procedure nazionali più brevi, che per un trovato riconosciuto senza dubbi nuovo ed originale non superano i 3 anni. Ma ci sono anche invenzioni contestate, che per ottenere il riconoscimento devono aspettare quasi 20 anni”.

Parliamo di costi: quanto si spende in media per un’operazione del genere?
“Da qualche migliaio di euro per il deposito in un solo Paese a decine di migliaia per più Paesi.
Parlando di un brevetto europeo, il costo varia a secondo dell’estensione territoriale che si vuole dare al brevetto stesso. Non è necessario convalidarlo in tutti i Paesi: di solito si scelgono quelli dove si prevede che ci sia un mercato di interesse per il progetto o il prodotto da brevettare. Diciamo che, inclusi i costi di convalida nazionale, per 6-8 nazioni si può andare dai 30 ai 40.000 euro”.

Quali sono, in definitiva, i benefici per un’azienda che riesce ad ottenere un brevetto?
“Il brevetto è una sorta di protezione e sicurezza per il proprio lavoro, altrimenti l’unica alternativa è il mantenimento del segreto aziendale che però comporta dei rischi. Oggi infatti, con le tecnologie disponibili, copiare e ricostruire un prodotto, partendo dal prodotto stesso, è molto facile”.

Chiudiamo parlando di nanotecnologie: sono molte le domande di brevetto in questo settore?
“Con le nanotecnologie stiamo parlando di settori della tecnica particolarmente avanzati (fotonica, meccatronica, biotecnologie, per citare alcuni esempi di varietà di applicazioni), dove esistono problematiche particolari dal punto di vista brevettuale. E’ un campo vastissimo ed in una fase di sviluppo, e la domanda di protezione brevettuale è in continua crescita. Gli stessi Uffici Brevetti nazionali stanno sviluppando le proprie competenze professionali nel settore. La tutela brevettuale è riconosciuta dalla nascente giurisprudenza alle invenzioni nanotecnologiche quando alla nanostruttura è associato un nuovo effetto tecnico, oltre alla semplice riduzione di scala”.

Torino Valley al Marketing Camp e all'Innovation Circus

Torino Valley parterciperà al Marketing Camp 3 del 10 ottobre in cui Vittorio Pasteris, il nostro “eroico” fondatore, parlerà dell’esperienza di “Torino Valley, fare comunità vera intorno all’innovazione”

Il tema del MarketingCamp 3 “local Innovation. Polis, innovazione, marketing e comunicazione”

Il MarketingCamp 3 fa parte dell’Innovative Day, durante la settimana dell’Innovation Circus a Milano, dall 8 al 15 ottobre 2007.

Rfid e largo consumo

Via Rfid Italia

L’ultima fatica del Politecnico di Milano, notoriamente attento a monitorare il diffondersi delle tecnologie di mobilità, Wi-Fi e Rfid nelle aziende italiane, è una indagine che come dice il lungo titolo: “Voice Picking, Self Scanning, Rfid: il largo consumo guida l’innovazione”, è mirata al mercato dei prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata, dai produttori ai punti di vendita, passando per gli operatori della distribuzione.

I dati sono stati ricavati da casi di studio realizzati in prima persona dal politecnico su 70 produttori, 14 grandi magazzini e 13 operatori logistica e da una indagine Indicod su 168 produttori e 30 soggetti della grande distribuzione organizzata. In totale sono state esaminate 277 aree applicative.

Dall’indagine traspare che l’impiego delle tecnologie Rfid da parte dei produttori è crescente, e non solo sulle linee di produzione ma anche nei magazzini e nei centri di distribuzione interna, com’è il caso di Sony che utilizza sul larga scala i tag a supporto della logistica interna. Ma non in Italia, bensì nel centro di distribuzione olandese di Tillburg, ottenendo importanti benefici anche come riduzione dei furti.

A valle, nella distribuzione, l’impiego dell’Rfid è sempre molto raro, concentrato presso i soliti noti: “I produttori stanno facendo molto per la diffusione dell’Rfid”, dice Alessandro Perego, professore al Politecnico di Milano, responsabile dell’indagine: “Infatti il 9 per cento dichiara di utilizzare i tag sulle proprie linee. Invece, nella distribuzione l’Rfid non decolla e, nel nostro campione, rimane sotto l’1 per cento, nonostante l’esperienza ormai ben nota di Wal-Mart che riporta una riduzione dei fuori scorta di oltre il 30 per cento con punte del 72 per cento nel caso dei nuovi prodotti o dei prodotti in promozione”.

Festival Cineambiente alla decima edizione

Torna per il decimo anno il Festival Cinemambiente per raccontare attraverso il cinema luci ed ombre della questione ambientale considerata ormai una vera emergenza per il pianeta.

Occuparsi della salvaguardia dell’ambiente oggi non è una scelta politica ma un dovere morale cui rispondono sempre più persone, dai singoli cittadini, alle associazioni, alle star internazionali, registi, attori, musicisti e artisti che sempre più spesso prendono posizioni nette e forti.

Dai film sostenuti e interpretati dalle grandi star americane, alle produzioni delle associazioni ambientaliste, da Ecokids alle conseguenze ambientali del lavoro, dalle grandi questioni energetiche al carburante estratto dall’olio delle patatine fritte dei fast food, oltre 100 film racconteranno in sei giorni lo stato del pianeta.

Diretto da Gaetano Capizzi e organizzato dal Museo Nazionale del Cinema, il FESTIVAL CINEMAMBIENTE sarà a Torino dal 11 al 16 ottobre 2007 per festeggiare la sua X edizione e il consolidato ruolo di maggiore manifestazione cinematografica italiana a tematica ambientale, oltre che leader del network internazionale EFFN (Environmental Film Festival Network) e primo festival europeo a “emissione zero”.

In Italia il FESTIVAL CINEMAMBIENTE è un vero e proprio pioniere: da dieci anni infatti affronta e diffonde le tematiche ambientali attraverso il cinema, i dibattiti e gli eventi che compongono ad un programma originale e sempre molto ricco.

L’attivismo ambientalista conquista Hollywood e Cinemambiente presenta, in alcuni casi per la prima volta in Italia, i film ambientalisti che coinvolgono le grandi star americane: da Leonardo Di Caprio a Keanu Reeves, da Alanis Morisette a Daryl Hanna, da Meryl Streep a Robert Redford.

Come sempre saranno tre le sezioni competitive del Festival, il Concorso Internazionale Documentari, il Concorso Italiano Documentari, il Concorso Cinema di Animazione.

Fra i film del concorso internazionale si segnalano le svedese The Planet, sulle verità e bugie dei cambiamenti che sta subendo la terra; A crude awakening che esamina la nostra dipendenza dai carburanti fossili e le conseguenze del loro graduale esaurimento; The Great Warming, narrato da Keanu Reeves e Alanis Morissette, e considerato tra i migliori film sul tema del riscaldamento globale. Unico film italiano in questo concorso è Il mio paese di Daniele Vicari (già autore di Velocità Massima e Non mi basta mai) che ripercorre il viaggio in Italia commissionato nel 1960 da Enrico Mattei a Joris Ivens e che diede origine al celebre documentario L’Italia non è un paese povero.
Who killed the electric car? narrato dalla voce di Martin Sheen e sostenuta anche dalla presenza di personaggi come Tom Hanks e Mel Gibson, cerca il colpevole della scomparsa delle auto elettriche in California, dopo il fortunato lancio del 1996, forse proprio a causa delle lobby dei petrolieri.

Temi scottanti, linguaggio inedito e caparbietà sono gli ingredienti principali delle sezioni dedicate ai documentari italiani e al cinema di animazione. Anche dalla povertà dei mezzi che caratterizza la produzione documentaristica italiana nascono interessanti analisi e denunce, come quella di Alessandro Gagliardo, Antonio e Christian Longo che con 13 variazioni su un tema barocco documentano la battaglia degli ambientalisti contro le trivellazioni dei petrolieri americani nella Valle di Noto, appoggiata dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri. Frutto della sperimentazione tecnica e linguistica legata a molti progetti di animazione è, per esempio, il cortometraggio brasiliano Tyger che in cinque intensi minuti, ispirati all’omonimo poema di William Blake, racconta con lo stile di un videoclip musicale l’arrivo in una grande città di una tigre gigante e misteriosa.

Il FESTIVAL CINEMAMBIENTE non si esaurisce con i suoi concorsi. Ricchissimo il cartellone della sezione Panorama, che porta nei locali di Torino, medi e cortometraggi a tema ambientale per offrire anche fuori delle sale uno spunto di riflessione; così come è simbolico l’approdo della sezione Ambiente e Lavoro all’ex fabbrica IPCA di Ciriè, sede di molti infortuni sul lavoro.
Proseguono poi con crescente interesse le attività di EcoKids, un festival nel festival, che grazie all’appoggio di volontari e personaggi del mondo dello spettacolo porta il cinema ambientalista nelle scuole elementari, medie e superiori di 15 comuni piemontesi.

Avviato con successo nella scorsa edizione, si consolida quest’anno il rapporto con Amnesty International. Il tema dei diritti umani sarà affrontato, attraverso film e incontri, in tre focus dedicati ai Territori Occupati, alla silenziosa crisi politica del Messico, e alle conseguenze della “guerra contro il terrore”. Il pubblico potrà essere, infine, co-protagonista del Festival Cinemambiente. Attraverso il concorso Ecotribe, si potranno caricare sul sito del festival cortometraggi di 3 minuti al massimo, realizzati con il videofonino e che trattino temi “verdi”. I migliori saranno premiati da una giuria di giovani.

BlogBar due: giocando in rete

Via Vittorio Pasteris

Mercoledì 10 ottobre alle ore 18.00 alla Fnac di Torino secondo appuntamento di “BlogBar: blog, internet e altro” una serie di microeventi dedicati alla cultura di rete e all’economia digitale che vogliono essere uno spazio aperto per blogger e non, per addetti ai lavori e per curiosi che possono partecipare a una conferenza, ma anche intrattenersi presso gli spazi e il bar della Fnac di Torino.

Questa volta si parla di videogiochi: giocando in rete: da passatempo per appassionati a mania di massa; intervengono AlessandraC  e Michele Biolè di Gamestribres.tv insieme a Vittorio Pasteris

La TV dell'orso

On air Orso TV, il progetto di Net TV delle Valli Orco e Soana, una televisione dal basso costruita sul territorio per i cittadini e dai cittadini. Parte del programma Regionale Wi-Pie per la diffusione della banda larga in Piemonte, la Orso TV costituisce il primo passo tangibile verso la diffusione di servizi innovativi fruibili da cittadini e imprese grazie a Internet veloce.

Il progetto realizzato da CSP, ha permesso di fornire infrastruttura di rete a banda larga in un territorio, quello delle Valli Orco e Soana, fortemente condizionato da problemi di digital divide determinati dalle caratteristiche di marginalità geografica del territorio, difficilmente oggetto di investimenti in infrastrutture da parte dei grandi operatori commerciali.

E’ dalla necessità di offrire una copertura di rete adeguata, che CSP, in stretta cooperazione con la Comunità Montana, i broadcaster locali – Rete Canavese, Quadrifoglio TV – e i partner – RAI, Wind, Fondazione Ugo Bordoni, Top-IX, AEMNet – ha realizzato il progetto a ridotto impatto ambientale, grazie all’uso integrato di tecnologie di rete tradizionali, wired su infrastrutture già esistenti e di nuova generazione, wireless.

Un modello di progettazione cooperativa dove tutte le parti sociali, dalla pubblica amministrazione ai cittadini, alle imprese, sono state coinvolte a vario titolo e indotte a partecipare a un’iniziativa di interesse collettivo. La realizzazione di Orso TV costituisce il primo tangibile risultato di un progetto che ha visto tutto il territorio e i suoi cittadini coinvolti nella realizzazione dei servizi televisivi dedicati alla quotidianità delle Valli e allo sviluppo del progetto, già disponibili in rete e in corso di realizzazione per i prossimi mesi.

Orso TV rappresenta uno degli elementi della piattaforma multicanale realizzata da CSP che integra il progetto editoriale con Radio Orso, per la sperimentazione della digital radio e Orso Blog per la valorizzazione della comunità di autori digitali delle valli, attivi protagonisti nella creazione di tutti i contenuti del progetto di convergenza digitale.

Il sito di OrsoTV 

La Metro a Porta Nuova

Venerdì 5 ottobre alle ore 12, verrà inaugurata la seconda tratta della metropolitana automatica di Torino dalla stazione XVIII Dicembre/Porta Susa FS a Porta Nuova. Una felice coincidenza esattamente 100 anni dopo l´inizio del servizio di trasporto pubblico gestito dal Comune di Torino nel 1907.Il nuovo tratto della prima metropolitana automatica d´Italia collegherà le due stazioni ferroviarie cittadine di Porta Susa e Porta Nuova in 3 minuti.

Leggi su Torino Valley Blog 

La Metro di Torino arriva a Porta Nuova

Venerdì 5 ottobre alle ore 12, alla presenza del Presidente del Consiglio Romano Prodi accompagnato dal Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, verrà inaugurata la seconda tratta della metropolitana automatica di Torino dalla stazione XVIII Dicembre/Porta Susa FS a Porta Nuova.

Una felice coincidenza esattamente 100 anni dopo l´inizio del servizio di trasporto pubblico gestito dal Comune di Torino nel 1907.

Il nuovo tratto della prima metropolitana automatica d´Italia collegherà le due stazioni ferroviarie cittadine di Porta Susa e Porta Nuova in 3 minuti. Il prolungamento è di circa 2 km di tunnel sotto corso Bolzano e corso Vittorio Emanuele II con 3 nuove stazioni: Vinzaglio, Re Umberto e Porta Nuova. L´intero percorso da Collegno (stazione Fermi) a Porta Nuovaè lungo 9,6 km (14 stazioni) percorso dai treni in 15 minuti.

Per celebrare quest´occasione si potrà viaggiare gratuitamente sull´intera tratta fino al termine del servizio di venerdì 5 e per l´intera giornata di sabato 6 e domenica 7 ottobre.

Nella giornata di sabato 6, dalle ore 15 fino alle 24, in via Roma si svolgerà una festa con spettacoli, esibizioni musicali e animazioni, con la partecipazione della Banda musicale GTT. L´evento è realizzato in collaborazione con l´Associazione Torino via Roma e la Circoscrizione 1. In occazione del centenario del trasporto pubblico a Torino, dal 5 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008 sono in programma eventi e iniziative.

Il programma delle iniziative sul sito GTT

La carica dei professori nonni

Via Giovanna Dall’Ongaro su Galileonet.it

Il “caso Italia” descritto sulle pagine di Nature Physics: docenti anziani e nessun ricambio generazionale. Perché manca un flusso costante di nuove assunzioni, come invece accade negli Usa e in Francia

 L’anomalia italiana balza subito agli occhi. L’età media dei professori universitari in alcuni paesi europei svetta sulle altre, mettendoci in evidente imbarazzo: nel nostro paese la percentuale di ultrasessantenni che insegnano nelle facoltà di fisica è la più alta del vecchio continente. Un dato riportato in un editoriale pubblicato su Nature Physics a firma di due giovani (il dato anagrafico è d’obbligo) fisici italiani, Francesco Sylos Labini (ricercatore del centro Enrico Fermi e del Cnr) e Stefano Zapperi (ricercatore anche lui del Cnr e dell’Infm), intenzionati a descrivere il “caso Italia” ai lettori della prestigiosa rivista.

Il ritratto assume da subito i toni di una grottesca caricatura: un’università in mano a docenti dai capelli bianchi, in posizione di potere, con stipendi invidiabili, attorniati da giovani senza alcuna capacità decisionale e sottopagati. E invece è il fedele identikit di un paese in cui il momento di lasciare la cattedra non arriva mai, in cui abbondano i corsi tenuti da professori di 70 anni, in cui il 41 per cento dei professori di fisica ha appunto superato i 60, mentre solo il quattro per cento ne ha meno di 40. Se poi si fa riferimento ai soli professori ordinari il quadro peggiora: il 47 per cento supera i sessanta e tra i fisici si arriva al 64 per cento. E, dato inquietante, la situazione non sembra destinata a cambiare.

Le colpe? Non possiamo attribuirle esclusivamente all’elevata età pensionabile, dicono gli autori, perché dall’estero abbiamo la dimostrazione che un efficace sistema di reclutamento può compensare il divario generazionale. Negli Stati Uniti per esempio dal 1994 non esiste alcun obbligo per i professori universitari ad andarsene in pensione a un’età stabilita. I criteri più flessibili per l’avanzamento di carriera, correlati al merito e non solo all’anzianità, hanno permesso di mantenere giovani gli staff delle università statunitensi: così dal 1992 al 2003, nonostante l’eliminazione dell’obbligo di pensionamento, la maggior parte dei docenti è rimasta nella fascia d’età trai 45 e i 54 anni.

Inutile, insomma, prendersela con chi a una veneranda età continua ad avere voglia di svolgere il proprio lavoro e riesce ancora a farlo bene. La situazione italiana dipende, invece, in larga misura dall’irregolarità dei flussi di reclutamento. Alle assunzioni in massa degli anni Ottanta, per esempio, non è seguito un costante ricambio generazionale e il modo più diffuso per ottenere l’agognato contratto resta quello di resistere il più possibile, da precario, in un istituto, per ricevere prima o poi il “premio fedeltà”. Che non tiene conto però dei meriti individuali. E così un nuovo arrivato di gran talento può venire scavalcato da un mediocre ricercatore con qualche anno in più di precariato. Il governo Prodi, contrariamente a quanto promesso, denunciano i due fisici, non ha fatto altro che assecondare questa tendenza. Il budget stabilito per il 2007 per sanare la posizione dei ricercatori del Cnr, per esempio, è stato impiegato ancora una volta a beneficio dell’anzianità e non del merito.

Niente a che vedere con quel che accade oltralpe, dove i ricercatori non devono aspettare i capelli bianchi per ottenere un incarico a tempo indeterminato. Tanto che molti giovani cervelli nostrani hanno pensato di trasferirsi là. Il Cnrs francese ha quest’anno reclutato sette nuovi ricercatori in fisica teorica, di cui quattro italiani. L’inverso, neanche a dirlo, non si verifica quasi mai. Eppure il loro sistema non è molto dissimile da quello italiano con salari e carriera che vanno di pari passo con l’anzianità. La differenza, anche qui, è data dalla costanza nelle nuove assunzioni.

Ecco come scoveremo i mecenati

Elisa Rosso, Direttore Associazione Torino internazionale su La Stampa

I tagli alla spesa pubblica per la cultura, di cui ha parlato in questi giorni l’inchiesta di Gabriele Ferraris, hanno profonda incidenza su una città come Torino, che su questa risorsa ha investito molto, ritenendola strategica per diversificare l’economica del territorio. Come sappiamo, sono tante le iniziative per coinvolgere i privati, in particolare su progetti di grande scala. Ma il potenziale culturale di una città è fatto anche di iniziative con dimensioni ridotte e bisogni misurati. Su queste, il singolo cittadino che voglia dare un proprio contributo può fare qualcosa, a condizione che il suo intervento si assommi a quello di altri e sia convogliato su programmi e obiettivi chiari. Uno dei modelli più interessati cui ispirarsi è la community foundation (fondazione di comunità), nata in America a inizio Novecento. Ora questo strumento, importato in Italia dalla Fondazione Cariplo, è oggetto di uno studio di fattibilità da parte dell’Associazione Torino Internazionale, con un finanziamento della Compagnia di San Paolo e la collaborazione della Fondazione Agnelli: esplorare la disponibilità a costituire una fondazione di comunità, specializzata nella raccolta di capitali privati per progetti culturali, è fra le azioni auspicate dal 2° Piano strategico di Torino.

L’originalità dell’idea è mobilitare risorse filantropiche su un certo territorio, a favore del territorio stesso: i torinesi che sosterranno la fondazione di comunità sapranno che investirà tutto in ambito locale. Inoltre, rispetto alle fondazioni tradizionali, le risorse non provengono da pochi grandi finanziatori stabili, ma da una molteplicità di donazioni, lasciti e légati di tutte le entità. Negli Usa è possibile trovare fondazioni comunitarie nelle aree disagiate come nei quartieri ricchi: la spinta che le fa nascere, infatti, non è dettata solo dalla necessità, ma dall’interesse delle persone verso il luogo dove vivono.

La base etica di questo strumento è che ha finalità pubbliche, partendo da logiche private: la trasparenza e l’organizzazione snella garantiscono che quasi il 100% delle risorse sia impiegato per i progetti e non per il mantenimento della struttura. Per incidere veramente, la fondazione dovrà sapersi garantire continuità. Il principale ostacolo è che la fiscalità italiana incentiva poco la donazione; tuttavia noi siamo ottimisti: basta pensare a “Specchio dei Tempi” per convincersi che le persone possono mostrare una moderna cultura del dono.