Silicon Torino memories

da un articolo di Bruno Ventavoli sulla Stampa del 9 novembre 2000

Tecnologici, fantasiosi, flessibili: chi sono i protagonisti della net generation che hanno cambiato l’anima della città Silicon Torino capitael del web. Seimila miliardi di fatturato. 65 mila occupati. Secondo le statistiche, Torino è la capitale italiana della new economy. Dietro le cifre, i grafici, la mole di miliardi creati e spostati, c’è anche un nuovo mondo. Di professioni, competenze, genialità. Che trasforma l’anima e la vocazione di una solida metropoli industriale. Che sperimenta mestieri d’avanguardia.

Della Silicon Valley sappiamo molto. Conosciamo i capitani d’industria in rete come Bill Gates, Jeff Bezos, o Shawn Fanning, che hanno saputo estrarre cascate di miliardi dalle vene minime del silicio. Il sociologo David Brooks ci ha appena tratteggiato il popolo dei Bobos, i 30-50enni che hanno trovato il «paradiso» con la new economy, che mescolano ricchezza e pauperismo, feng shui e borsa. E cosa succede a Torino e in Italia? Qui l’economia della tecnologia avanzata si è sviluppata in ritardo rispetto agli Stati Uniti. La sua crescita tumultuosa determina mutamenti altrettanto radicali. Fa germinare una nuova classe di imprenditori e una nuova categoria di lavoratori. Quelli della net generation.


Uno dei fenomeni torinesi più evidenti è Vitaminic, la piattaforma digitale che ha contribuito a rivoluzionare il modo di ascoltare, promuovere e distribuire musica. E’ stata fondata nel ’99 da Dettori, Gonella, Marconetto, tutti circa quarantenni; ha cominciato a irrorare di note il cyberspazio in agosto; capitalizza in borsa 130 milioni di euro. Ma nella provincia di Torino sono venuti alla luce molti altri figli della new economy, dai grandi portali come CiaoWeb, alle aziende di software e hardware.

Perché – come ha sottolineato il sociologo Luciano Gallino – questa città possiede un solido tessuto particolarmente «attraente» per le aziende ad alta tecnologia, con induservizi, «centri di ricerca pubblici e privati», «università e politecnico che formano giovani competenti nei nuovi rami delle telecomunicazioni». Per galleggiare nei non luoghi di Internet, dove tutto scorre più rapidamente di quanto avrebbe potuto concepire Eraclito, occorre proporre tecnologia. Ma anche, sempre più, sapere umanistico. Amalgamare informatica e contenuti. «Estesa», propone questo tipo di filosofia. Fin dal logo, che cita «memoria, documentazione, comunicazione». Amministratore delegato è Stefania Grossi, 38 anni. Laureata in informatica, dipendeva dall’Olivetti. Poi s’è messa in proprio. All’inizio erano lei e un socio. Molte idée e gli spiccioli della liquidazione. Ora ha due società, 80 dipendenti, decine di collaboratori. Ha curato la gestazione di Stampa on line, mette ordine nelle Teche Rai, lavora con università, banche, enti pubblici. «Realizziamo progetti chiavi in mano – dice -. Dall’analisi del problema alla realizzazione pratica, al controllo del flusso concreto di lavoro nelle aziende. La nostra formula, che si è rivelata vincente, è fornire il software, le competenze tecniche e i contenuti. Siamo tra i pochi in Italia a farlo. Questa è la vera frontiera delle società che vendono servizi informatici».

Si occupa di contenuti anche Vittorio Pasteris. Maglione informale, portatile sempre accanto, 35 anni. Di professione è content manager. Sta accompagnando la nascita del portale CiaoNordovest. «Definire la mia professione concretamente è difficile. Perché è nuova, si plasma e modifica insieme con il mercato. Mescola diverse competenze. Bisogna capirne di tecnologia, di comunicazione. E’ fortemente radicata in un luogo fisico, in una città, perché occorre anche avere contatti con il mondo sociale. E’ come fare il medico di campagna». Gli esordi? Spruzzati di casualità e curiosità. «Lavoravo alla scuola di amministrazione aziendale e all’università. Quando ho cominciato a parlare di Internet, a molti colleghi sembrava una cosa da ragazzini. Anche le aziende in principio erano sospettose».

La lunga galoppata del Nasdaq ha fatto pensare che la borsa tecnologica fosse un eldorado perpetuo. Poi, con i primi crolli, sono affiorate cassandre di sventura. Il Web e la new economy continuano a esercitare un potere d’attrazione fortissimo sull’imprenditoria giovane. E Torino è in linea con il resto del mondo. Insieme con Bologna e Milano, è una delle 15 aree di «eccellenza» individuate dall’Ue per la creazione di aziende. Nell’«Incubatore di imprese», organismo che serve a mettere insieme ricerca, industria, mercato, su 100-150 domande che arrivano ogni anno, il 60% è targato new economy. «L’ultima azienda che abbiamo “incubato” – dice Michele Patrissi, amministratore delegato dell’Incubatore di via Boggio – è una joint venture tra americani e ricercatori del Politecnico, per un software per telefonini di terza generazione. La cosa ci riempie d’orgoglio perché gli americani hanno creato a Torino il centro pensante della società.

E perché il software è stato inventato qui, sette anni fa, al Politecnico. Internet è il settore con la maggiore entropia di idee. Dall’e-business alla formazione, al Graphic Design. C’è una generazione di neolaureati, con un’ottima formazione scientifica e propensione all’imprenditoria. Hanno idee. E hanno bisogno di soldi. Pochi e subito. Per mettersi alla prova». Il contributo di Torino alla rete è antico e costante. Qui è nato il trading on line. Ovvero la partecipazione diretta al grande gioco della borsa, senza intermediari. In tempo reale. L’invenzione è di Massimo Segre, di Directa. Da allora il servizio si è raffinato e diffuso. Nessuna banca al mondo, ormai, ne può fare a meno. «Quando arrivarono i computer e Internet – ricorda Segre -, telefonai a un professore dell’Mti per chiedere un parere. Mi disse che era un’idea fessa. Perché in America si faceva tutto al telefono. E sarebbe stato sempre così. Una sera, organizzando una serata culturale al caffè san Carlo, invitai un ingegnere con la passione degli scacchi a commentare i mondiali di Kasparov. Gli chiesi se fosse possibile elaborare un progetto per collegare alla borsa italiana telematica anche i computer privati. Si entusiasmò. Si licenziò dall’azienda dove lavorava. Fondammo insieme Directa. Il nostro primo ordine fu nel novembre ’95. Il primo americano è del marzo ’96. Partimmo con tre clienti. Oggi ne abbiamo 10 mila».

Oltre agli affari i ragazzi del Web di Torino trapiantano in rete di tutto. Dalla grafica in 3-D all’architettura, alle lettere, al porno. Performer estremi della body art e videomaker ipertecnologici. E anche linguaggi artistici più tradizionali. Silvio Bastiancich, ex attore, ex barista, ex collaboratore della Lanterna Magica, dopo una caparbia gestazione ha creato il primo portale dedicato al teatro italiano. Mentre Ugo Nespolo è stato uno dei primi pittori ad aprire una galleria virtuale. Scoprì Internet all’inizio degli Anni 80, dal suo studio di New York. «Avevo un modem enorme, lungo mezzo metro – dice -. Lo usavo per collegarmi a una banca dati del Minnesota. Mi sono innamorato subito del mezzo. Ora ho aperto un sito. Per far visitare il mio cyberstudio ai naviganti. Internet è uno straordinario strumento di lavoro. Per esempio ho fatto disegni per un committente di Hong Kong senza muovermi da Torino».

Il mondo è difficile. Il futuro incerto. Direbbe Carotone. E nulla è più vago della new economy. L’unica cosa sicura è che le nuove tecnologie offrono lavoro. A Torino ci sarebbe bisogno di 14 mila persone in più. Analisti, programmatori, softwaristi, Internet product designer, field service specialist. Lo sbilanciamento tra domanda e offerta rende più
appetibili gli stipendi, più rapide le carriere.

Alessandro Capriolo è un simbolo di questa nuova, frizzante professionalità. Barba e capelli rasati, intelligenza guizzante, ha bruciato le tappe con talento e sicurezza. A 29 anni è nel consiglio d’amministrazione di una società che realizza siti e portali. Si occupa di organizzazione, contenuti, tecnologia. Un sapere a tutto campo. «Ho il diploma di perito. Non ho fatto l’università. Il mio curriculum? Tante notti in bianco da ragazzino davanti al computer e valanghe di improperi di mio padre per il tempo che sprecavo sulla tastiera. Quindi è arrivato il lavoro. Prima da solo. Poi in qualche società. Perché la sopravvivenza del singolo è difficile. Non riesci a dimostrare quanto sei bravo. Le aziende sono a caccia di personale. Dove pescarlo? Università, corsi, master? Scuole importanti. Però la formazione non esiste, perché la tecnologia è troppo veloce per essere studiata e insegnata. Io sono arrivato casualmente in questo mondo, da autodidatta. E cerco autodidatti. Se ce l’hanno nei cromosomi lo capisci subito. Li butti nel gruppo e imparano».

Il Web è uno straordinario acceleratore di destini, particelle, idee. Rimescola e compagina le carte del lavoro giovanile. Ha abbattuto l’età di accesso a professioni qualificate. I ragazzi di Internet hanno intorno ai vent’anni. Provengono da studi di ingegneria e informatica, ma anche da architettura, da lettere, da niente. Leggono molto, conoscono molto. Sanno usare la giacca e la cravatta. E gli abiti oversize. Conoscono la tecnica, e la musica. Vanno al cinema, lavorano in chat, navigano su Internet, leggono Ballard, Sterling, Stephenson. Moltissime sono le donne. Ci sono persone della sinistra extraparlamentare, passati magari attraverso il carcere per terrorismo, ma anche i laureati in economia, gli esperti del marketing, che lasciano posizioni ben retribuite.

«La chiamerei generazione felice» dice Alessandra C., scrittrice, acuta osservatrice del costume tecnologico (il suo romanzo Webmaster è un cult), tornata a Torino dopo un lungo soggiorno all’estero. «In questa città la new economy ha prodotto un forte mutamento nella cultura e negli stili di vita. La generazione degli Anni 80 era triste. Torino metteva addosso un grigio senso di claustrofobia. C’era l’impressione di non riuscire a migliorare rispetto ai padri. Questa generazione, invece, è fortunata. Forse non si arricchirà come fa sperare la mitologia del Web, però ha davanti a sé migliaia di possibilità. E’ veloce. Sicura di sé. Gioiosa. Ha capito che le macchine sono strumenti. Da piegare ai propri bisogni. Per questo è riuscita là dove molti, prima, sono falliti: considera e vive il lavoro come divertimento, creazione, attività dove lasciare qualcosa di sé».

Foto della Mole da www.bgblitz.com