L'adsl perduta inventata a Torino

Un’invenzione del 1980 nei laboratori Cselt, oggi Telecom Lab, in era pre-Internet.

È nero su bianco, un brevetto depositato negli Usa nell’ormai lontanissimo (tecnologicamente parlando) 1980, rilasciato nel 1983 e relativo a qualcosa che viene definito «Sistema combinato di telefonia e trasferimento di dati». Le righe centrali del documento sono sbalorditive: «Obiettivo generale di quest’invenzione – si legge – è permettere di comunicare in maniera bidirezionale con una banca dati e/o con un network specializzato, senza che questo impedisca l’uso simultaneo della linea telefonica attraverso cui ha luogo tale comunicazione».

Suona familiare? Si sta parlando di un procedimento con cui si trasmettono nei due sensi – e contemporaneamente – voce e dati (a 16 kbit/s, alta velocità per allora) con il «doppino» telefonico, come avviene oggi lungo le reti in rame potenziate dalla tecnologia Adsl. C’è però quella stranezza della data, il 1980, epoca pre-Internet. E poi una sorpresa ulteriore: nel brevetto l’invenzione e la sua proprietà intellettuale sono attribuite a un centro di ricerca italiano, cioè lo Cselt (oggi Telecom Lab) di Torino.

L’ingegner Auro Artom, che negli anni in questione era direttore della Divisione reti e sistemi dello Cselt, nel mostrare questo brevetto americano e uno spesso fascicolo di altri documenti analoghi, registrati dal suo gruppo di ricerca all’inizio del decennio 80 in tutto il mondo, mette le mani avanti e con scrupolo da ingegnere non arriva a sostenere di aver inventato l’Adsl (mancava il requisito della «banda larga»); però, rivendica a sé e ai suoi collaboratori di essere stati «anticipatori di una struttura tecnologica che permetteva di inviare e ricevere dati, usando le linee telefoniche in rame senza bisogmo di creare una nuova rete apposita», che è la grande virtù dei sistemi di trasmissione «overvoice».


I disegni a corredo dei brevetti sono chiari, la congruenza fra la struttura di ieri e quella di oggi è evidente. Il principale scostamento è che nello schema di Artom alla «filoinformazione» (così veniva chiamata la sua tecnologia) venivano dedicate due specifiche e sottili porzioni di banda, una per la comunicazione dei dati in un senso e l’altra nel senso opposto, porzioni grossomodo paragonabili (per estensione) a quella che sul doppino di rame veniva riservata, in quegli anni, alla «filodiffusione», cioè alla trasmissione di musica attraverso le linee telefoniche; invece l’Adsl usa una enorme porzione di banda e questo ne fa una tecnologia enormemente più potente; eppure la similitudine dei due sistemi generali e la filiazione di uno dall’altro balza agli occhi.

Questo dà la stura a una serie di domande. Perché la cosa è finita lì? Perché non c’è stato il boom già negli Anni 80? Che fine hanno fatto quei brevetti dello Cselt? Come mai le attuali reti Adsl non hanno un riconoscibile marchio italiano? L’ingegner Artom ha risposte per tutte le domande, alcune sotto il segno dell’ineluttabilità e altre condite da una sfumatura di amarezza.

Il lato inevitabile del mancato «big bang» della filoinformazione accomuna questa invenzione torinese con la precoce produzione dei personal computer da parte della Olivetti di Ivrea in quegli anni: allora non esisteva Internet e questo soffocava gran parte delle possibilità di sviluppo. Filoinformazione e pc erano elementi isolati, che faticavano a inserirsi in una rete. Di conseguenza l’invenzione dello Cselt venne proposta (con il nome di Argotel) per una ser