Andrea Rossi su La Stampa
C’è l’auto a idrogeno, la nuova frontiera della mobilità su quattro ruote. C’è General Motors, che nella cittadella ha già investito quasi trenta milioni di euro e sta lavorando alla costruzione dei motori di ultima generazione. C’è la Pirelli, che ha scelto Torino per realizzare i pneumatici intelligenti e, dopo aver sborsato 140 milioni di euro, ha aperto un centro per lo sviluppo di programmi di ricerca e innovazione. E poi Lavazza: espresso ad alta tecnologia, qualità, sicurezza alimentare, tracciabilità, sostenibilità ambientale ed energetica, ottimizzazione dei cicli produttivi e dei materiali impiegati.
C’è tutto un mondo di piccole e grandi imprese, che ruota intorno al Politecnico di Torino e ai suoi ricercatori. Un universo che vale quasi 50 milioni di euro all’anno, circa un sesto del bilancio del «Poli», la metà veicolati da privati attraverso contratti di ricerca. Un «tesoretto» in espansione: tre anni fa eravamo a 34 milioni, e i privati ne stanziavano 16.
«C’è stato un lavoro profondo per cercare di avviare collaborazioni stabili e durature», spiega Marco Ajmone Marsan, vice rettore con delega alla Ricerca. «In passato l’industria veniva in università quando aveva un problema da risolvere. Ci chiedeva interventi “spot” e una volta finiti ognuno per la sua strada». Da qualche anno la musica è cambiata: «C’è un approccio nuovo – racconta Ajmone – Le collaborazioni si consolidano a medio-lungo termine. E sono molto più efficaci, perché con l’azienda non bisogna ogni volta ricominciare da zero». È la strategia degli insediamenti, molto più vantaggiosa per chi non si può permettere gruppi di ricerca in azienda.