Marco Ferrando su Il Sole 24 Ore
Visto dal finestrino dell’aereo, il Politecnico di Torino non si distingue facilmente. È come se Torino, gelosa, volesse abbracciarlo, quasi nasconderlo. Non è un caso, o un’illusione ottica: l’ateneo è integrato, profondamente, con il resto della città. Ed è curioso che questa integrazione quasi perfetta emerga proprio oggi che Torino rinasce così come era stata immaginata negli anni Novanta, all’alba dei primi ripensamenti da post-fordismo. D’altronde negli ultimi vent’anni del Politecnico c’è la storia recente di tutta una città e del tessuto socio-economico che la compone. Le stesse tensioni, paure, limiti che l’hanno segnata dalla fine degli anni Ottanta, ma anche i valori, e le scommesse. Poi le prime, e per questo significative, risposte.
È guardando al Politecnico che si trova una città al centro di una crisi profondissima ma che sembra aver ritrovato la strada. Perché ha ripreso ad applicare formule vincenti, che combinano elementi vecchi e nuovi: la tecnologia e la passione per il lavoro, componenti fondamentali del ben noto “paradigma dell’ingegnere”, con l’apertura all’altro, al diverso, al nuovo. Una città che negli ultimi anni si è scoperta capace di fare sintesi nuove e di costruire nuovi progetti di sviluppo. Forse perché forte anche di un progetto, nuovo, di persona.