Il resoconto dell'Innovation forum 2007

Nel corso del secondo Innovation Forum di IDC (http://www.idc.com/italy), che si è
svolto a Roma il 27 e 28 Marzo scorsi, protagonisti della ricerca, del mondo accademico, dell’industria ICT e della politica nazionale e regionale si sono confrontati rispetto a quanto è stato fatto e a quanto resta da fare in Italia sul piano dell’innovazione per tornare a crescere davvero.
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Tempo di innovation forum 2007

In occasione del secondo Innovation Forum di IDC verrà presentato in anteprima il Rapporto “Il Sistema dell’Innovazione in Italia: ICT e Società dell’Informazione”, che illustra i risultati del lavoro del Forum sugli scenari di sviluppo dell’innovazione sul territorio e per filiere verticali. L’Osservatorio del Forum dell’Innovazione presenta l’Indice del Sistema dell’Innovazione delle Regioni Italiane (ISIR), sviluppato sulla base di una metodologia originale di IDC ispirata allo European Innovation Scoreboard. L’indice presenta un benchmarking delle Regioni sulla base dei fattori di input e output dell’innovazione, i fattori di sviluppo IT e i fattori del contesto macroeconomico e mette a fuoco le criticità del sistema dell’innovazione in Italia, che spiegano il suo difficile posizionamento internazionale.

Il rapporto pubblicato in marzo 2006 aveva identificato la necessità di un profondo cambiamento delle politiche per l’innovazione per sostenere l’evoluzione del Sistema Paese verso un modello di sviluppo basato sull’economia della conoscenza. Rispetto ad un anno fa, è cambiato il governo e il contesto istituzionale dei ministeri attivi nelle politiche per l’innovazione, portando ad alcuni miglioramenti, ma anche ad alcune battute d’arresto. Ma soprattutto è cambiata la congiuntura economica ed è in corso una ripresa della crescita e delle esportazioni, sostenuta da quella parte del sistema delle imprese che ha saputo ristrutturarsi, internazionalizzarsi e giocare la carta dell’innovazione per recuperare competitività.

L’Indice del Sistema dell’Innovazione delle Regioni Italiane (ISIR) colpisce per la scarsa dinamicità nel periodo 2000-2005, con un valore medio per il sistema Italia sostanzialmente stabile e i valori delle Regioni trainanti addirittura in leggera diminuzione salvo che per il Piemonte. In sostanza ciò riflette un Sistema Paese relativamente
statico, influenzato dalla congiuntura economica negativa, ma soprattutto con una scarsa produttività in termini di capacità innovativa (data dal rapporto input-output dell’innovazione), influenzata in particolare da un calo nella produzione di brevetti. Emerge un quadro nazionale in cui alcune aree compiono notevoli passi avanti e allo stesso tempo altre aree che al contrario fanno dei passi indietro: nello specifico, si evidenzia la distanza che separa la Lombardia, come regione più avanzata e il Molise, che risulta essere quella più arretrata.

Sul fronte delle politiche per l’innovazione, il rapporto del Forum di marzo 2006 aveva evidenziato una serie di debolezze, soprattutto relativamente ai problemi di implementazione a livello di sistema, e di conseguenza la necessità di considerarle prioritarie da un punto di vista politico e strategico. Il primo anno di attività del’attuale
Governo presenta un forte rilancio della politica per l’innovazione industriale sulla base di una visione strategica coerente e di una rinnovata strumentazione di misure di intervento.

Gli investimenti previsti per ricerca e innovazione registrano un certo incremento, anche se inferiore alle speranze. Il riassetto istituzionale ha però creato una certa frammentazione delle competenze, controbilanciata da una buona sintonia fra alcuni dei Ministeri chiave (in particolare Ricerca, Sviluppo Economico e Riforma e Innovazione). Per quanto riguarda l’innovazione nella PA e nel sistema pubblico in generale si registra invece una certa carenza di incisività nelle azioni, più che nelle dichiarazioni ed un supporto di principio per alcune delle iniziative del precedente Governo (per esempio il codice digitale). Nel campo dell’eGovernment in particolare la riorganizzazione interna e la revisione delle priorità hanno rallentato le attività del Governo.

Un segnale positivo è la moltiplicazione degli attori dell’innovazione sul territorio, che hanno un ruolo critico per consentire il miglioramento del rapporto fra sistema della ricerca e imprese e quindi una maggiore produttività dell’innovazione. Lo studio ha analizzato le tre principali tipologie di attori oggi prevalenti in Italia: i distretti tecnologici, gli uffici di trasferimento tecnologico delle università (UTT) e i parchi scientifici e tecnologici. Sono stati identificati i principali modelli che stanno emergendo, illustrati dai profili di good practice presentati nel rapporto. Non esiste infatti un unico modello di successo di technology transfer fra mondo della ricerca e imprese, gli esempi validi possono essere molti e diversi. Lo studio per la prima volta confronta i modelli emergenti di distretti tecnologici e scopre che i distretti attivi assomigliano, più che alla Silicon Valley, ad agenzie dell’innovazione con forte orientamento a gestire bandi e supportare le PMI. Ma ci sono anche molti distretti tecnologici rimasti da tre anni sulla carta: forse sarebbe il caso di abbandonare il tentativo di forzare lo sviluppo di distretti inventati dove il sistema
economico locale non è in grado di sostenerli.

Le università hanno abbandonato l’ideale della torre d’avorio a favore di un profilo di università imprenditoriale, dove si favoriscono le imprese spin-off fondate da docenti o ricercatori per sfruttare la proprietà intellettuale generata dalla ricerca pubblica. Le imprese spin-off sono più di 450, di cui la metà nata negli ultimi due anni, molte concentrate in veri e propri poli di sviluppo intorno ai principali atenei. Ma a fronte di questa vivacità di iniziative esiste il rischio di una dispersione delle risorse e duplicazione degli sforzi. Pur evitando un coordinamento rigido probabilmente impossibile da realizzare, è fondamentale che Governo e Regioni si occupino di monitorare queste esperienze,
facilitando le sinergie all’interno della filiera dell’innovazione. Particolarmente importante è introdurre una cultura di obiettivi e valutazione dei risultati per guidare investimenti e incentivi, evitando di sostenere per sempre esperienze fallimentari o non adatte alle caratteristiche del territorio.

Il Forum dell’Innovazione ha infine analizzato in profondità le dinamiche di sviluppo di tre filiere nelle quali l’innovazione digitale rappresenta uno strumento indispensabile per la competitività e l’innovazione.
Il primo settore verticale analizzato è quello relativo alla sanità elettronica. IDC ha illustrato come gli strumenti tecnologici possono sostenere la trasformazione del sistema sanitario per rispondere alle nuove sfide di personalizzazione dell’assistenza, contenimento dei costi, razionalizzazione della gestione. La domanda emergente di sanità elettronica, volta a contribuire alla risoluzione di queste sfide, rischia di essere insoddisfatta a causa di una serie di problemi: la frammentazione e dispersione delle esperienze innovative, la carenza di una visione strategica condivisa sul ruolo dell’innovazione, la scarsità di risorse per gli investimenti, la visione riduttiva delle tecnologie informatiche come semplici strumenti di automazione gestionale. Per stimolare un circolo virtuoso di sviluppo
dell’innovazione digitale nel Sistema Sanitario i rappresentanti del Forum dell’Innovazione Digitale presentano alcune raccomandazioni al Governo, alle Regioni ed ai principali attori del Sistema Sanitario, tra cui la necessità che il Governo e le Regioni stringano un patto per accelerare l’implementazione dell’innovazione tecnologica nel Sistema Sanitario; la priorità di sviluppare una visione strategica condivisa dell’innovazione nella sanità; il potenziamento da parte del Governo del ruolo di supporto tecnico e di know-how alle Autonomie Locali per l’implementazione dei servizi di eHealth, eGov e Telecare; la promozione della ricerca e della formazione interdisciplinare sulla sanità
elettronica; il decentramento dell’assistenza attraverso la telemedicina e la teleassistenza.

La domanda emergente di cultura digitale, cioè di nuove modalità di fruizione dei beni culturali caratterizzate da multimedialità, personalizzazione e interattività, può generare nuovi ricavi e aprire nuovi orizzonti agli attori del settore quali i musei. In particolare l’ICT può rappresentare una leva strategica per rinnovare il sistema dell’offerta e della domanda nella filiera integrata turismo-beni culturali, favorendo nuove forme di marketing territoriale. Secondouno studio di IDC Italia realizzato per il Forum, i servizi innovativi digitali per il turismo culturale potrebbero generare al 2011 circa 270 milioni di euro di spese aggiuntive dei turisti, secondo uno scenario ottimistico, oppure 177 milioni
di euro in uno scenario conservativo. Questa stima si basa sull’iniziativa di un piccolo numero di città e di musei (rispettivamente 12 e 10 nello scenario ottimistico, 6 e 6 in quello conservativo) e non considera il possibile incremento del numero di turisti/visitatori dovuto alla maggiore attrattività del territorio. Si tratta quindi di una stima
riduttiva rispetto a quello che può essere il potenziale di mercato.

Per innescarne lo sviluppo il gruppo di lavoro del Forum dell’Innovazione Digitale propone alcune linee guida, come lo sviluppo di politiche integrate del marketing del territorio che prevedano una forte integrazione tra cultura e turismo; la promozione di una strategia di fruizione dei beni culturali che comprenda il concetto di cultura digitale, superando la nozione riduttiva di pura digitalizzazione dei beni esistenti; la predisposizione di piani per la formazione di personale specializzato nell’utilizzo dell’ICT applicato ai beni culturali che affianchi le strutture museali; la definizione di incentivi per la creazione di siti evoluti da parte degli enti culturali e dei musei, per facilitare la fruizione online e l’integrazione con i siti degli operatori del territorio; la predisposizione di strumenti per il monitoraggio del
turismo culturale.

Per finire il Forum si è focalizzato sul Made in Italy, in cui la sfida delle nuove tecnologie, come l’innovazione di prodotto e di processo, sta aiutando le nostre imprese a riprendere competitività sui mercati internazionali. Una serie
di attori da tempo si adoperano per supportare le imprese e le aggregazioni di riferimento, quali i distretti industriali, nel ripristino di quelle condizioni di competitività che nei decenni scorsi hanno fatto conoscere il made in italy in tutto il mondo. Una delle difficoltà incontrata dalle piccole e medie aziende del made in italy è trovare motivazioni per
sganciarsi dalle logiche tradizionali consolidate. L’ottimizzazione della catena di fornitura, produzione e distribuzione è resa difficile da colli di bottiglia generati da attività ancora molto manuali, dalla mancanza di soluzioni tecnologiche in grado di rendere più fluidi ed efficienti determinati processi. Per innescare lo sviluppo dell’innovazione nei settori del made in italy il gruppo di lavoro del Forum dell’Innovazione Digitale evidenzia alcune priorità, tra cui l’esigenza di capitalizzare l’esperienza delle medie imprese dinamiche del made in italy; la necessità di prepararsi a segmentare una domanda di acquisto crescente del sud est asiatico; la creazione di osservatori e politiche per la compliance nelle filiere del made in italy; e infine, per il made in italy delle grandi aree urbane/metropolitane, la
definizione di politiche rivolte al recupero di quella capacità di fare sistema che la contrapposizione di grandi interessi in gioco rischia di indebolire.

In conclusione, l’innovazione procede per filiere superando i confini tradizionali dei settori. Il gap di innovazione digitale in Italia è legato ad un utilizzo riduttivo delle infrastrutture dell’informazione nelle filiere, che non sostiene i nuovi modelli di cooperazione-concorrenza fra attori e di stretta interazione con fornitori, clienti, interlocutori istituzionali.

Il gap di innovazione digitale è anche un sintomo delle molteplici dogane della conoscenza, le barriere che impediscono la mobilità di idee, competenze, modelli organizzativi e persone, fra settori e comparti tradizionali. Ma esiste anche un ritardo delle infrastrutture tecnologiche sul territorio, con particolare riferimento alla larga banda. E’
fondamentale stimolare il dialogo fra fornitori di tecnologie e stakeholders delle filiere per risolvere i problemi comuni, come propone il Forum dell’Innovazione Digitale.

Il ritardo di innovazione è particolarmente evidente nei grandi sistemi dei servizi (sanità, turismo, beni culturali, università e ricerca), dove l’intreccio fra operatori pubblici e privati, punto di forza rispetto al capitale sociale, diventa un ulteriore elemento di freno rispetto all’innovazione di filiera. In questi sistemi diventa sempre più urgente il problema della governance: occorre un modello più efficace di coordinamento Governo-Regioni per l’innovazione, che eviti di rallentare i pionieri e incentivi invece i comportamenti virtuosi.

Quanto costa un laboratorio di Ricerca?

da www.torinoscienza.it

In Piemonte, come in Italia si investe meno rispetto agli altri paesi per la ricerca. Pertanto l’attività principale di un capo laboratorio, che in genere è un professore universitario, è quella di reperire i fondi per pagare gli strumenti, gli stipendi ed i reagenti necessari, mentre dare l’indirizzo scientifico ai ricercatori e svolgere attività didattica diventa quasi un’occupazione secondaria.

Per avere le sovvenzioni, bisogna dimostrare di essere bravi (pubblicando spesso articoli su riviste scientifiche internazionali) ed avere progetti di ricerca validi ed innovativi.

L’Università annualmente eroga poco. Sono previsti i progetti chiamati “ex 60%” dove il contributo si aggira intorno a 5.000 Euro. Ovviamente è molto esiguo ed in genere è soltanto il primo passo per richiedere al MUR (Ministero dell’Università e Ricerca) il cosiddetto PRIN (Progetto inter- o intra universitario di rilevante interesse nazionale) a questi si aggiungono i FIRB (Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base.) che sono di entità simile ai PRIN e sempre banditi dal MUR.

Laboratori biotecnologie L’iter è il seguente: una cordata di 4 o 5 laboratori presenta un progetto: se i revisori, cioè altri scienziati deputati a valutare il progetto, lo reputano degno, il MUR finanzierà il 70 per cento mentre il restante 30 sarà a carico delle strutture richiedenti (che lo copriranno in parte con denaro reperito da altre sovvenzioni). Con questi progetti si otterranno circa 60 mila euro per due anni. La richiesta si può formulare, in caso di assegnazione, con cadenza biennale.

La cifra è comunque inadeguata. Per fare attività di ricerca avanzata, servono infatti almeno 60-80 mila euro all’anno soltanto per il materiale di consumo (reagenti, anticorpi, soluzioni), la cifra lievita a 80-100 mila euro se un laboratorio deve mantenere uno stabulario (area riservata all’allevamento e riproduzione di topi da laboratorio). Oltretutto l’acquisto di prodotti per la ricerca è molto caro in Italia, basti pensare, per esempio, che uno stesso anticorpo o reagente, sul mercato americano costa dal 30 al 60 per cento meno. Bisogna quindi integrare il finanziamento ministeriale con fondi di altri enti pubblici, quali la Regione, la Comunità Europea e organizzazioni private, quali l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e Telethon. La Regione Piemonte gestisce il cosiddetto “CIPE” (Comitato Interministeriale per la programmazione Economica) che con delibera del 27 maggio 2005 n35, ha approvato i criteri per l’assegnazione delle risorse e la loro ripartizione alle regioni. Al Piemonte sono stati assegnati, per il triennio 2005-2008, circa 98 milioni di euro, di questi, compreso un cofinanziamento della Regione, alla Ricerca Scientifica Applicata sono arrivati circa 30 milioni di euro, che si sono trasformati in contributi per 311 progetti. Le Regione Piemonte contribuisce ogni anno alla ricerca anche con il Bando “Progetti di Ricerca Sanitaria Finalizzata” che in genere riescono a coprire una borsa di studio di un ricercatore per un anno.

Di ben altra entità i fondi erogati dalla Comunità Europea nell’ambito del sesto e settimo programma quadro (FP6 e FP7). Di solito queste sovvenzioni vengono erogate ad una cordata internazionale di laboratori che sottendono ad un programma derivato dalle linee guida della Comunità. In genere un laboratorio si assicura un contributo di circa 500/700 mila euro per 4 anni. A Torino, attualmente, sono circa 10 i laboratori che hanno ottenuto un contributo di questo tipo.

Microscopio invertito Pensato al fabbisogno quotidiano, il capo del gruppo di ricerca deve preoccuparsi di tutta la strumentazione scientifica. Sul nascere un laboratorio medio piccolo ha bisogno di circa 400 mila euro (un buon microscopio ad esempio costa circa 25 mila euro). Per poi assestarsi sui 50 mila euro ogni due anni per aggiornare la strumentazione. In questo caso, in linea di principio, il P.I. (Principal Investigator) si rivolge a fondazioni bancarie quali la Compagnia di San Paolo o la Fondazione Crt che spesso sponsorizzano gli “start up” per progetti innovativi. L’Università degli Studi di Torino promuove il “Bando per l’acquisto di grandi apparecchiature e strumentazioni” con un contributo a titolo di cofinanziamento del 40% per strumentazioni dal valore non inferiore a 200 mila euro e grandi apparecchiature dal valore non inferiore a 500 mila euro. Il bando 2006 ha elargito 890 mila euro.

Da quanto precede risulta chiaro che l’intera attività di un laboratorio di ricerca vive nell’incertezza quotidiana: se non si pubblica e non si presentano buoni risultati, diminuiscono le possibilità di accedere ai finanziamenti, ma allo stesso tempo senza soldi non si può fare buona ricerca e ottenere risultati scientifici degni di pubblicazione.

Ma chi sono i “cervelli” che, di fatto portano avanti l’attività di ricerca? In ogni laboratorio si seguono diversi filoni di studio perciò il direttore scientifico deve contare su ricercatori per così dire di prima nomina, che saranno aiutati da schiere di post dottorati, dottorandi, borsisti, tecnici di laboratorio e studenti. I posti di ruolo sono pochi, così come i soldi che si possono investire per gli stipendi. Per quanto riguarda le borse di dottorato ogni professore può avvalersi di una borsa elargita dal MUR con cadenza bi o tri-ennale, per gli altri dottorandi bisogna cercare uno sponsor. In genere a pagare questi salari sono le fondazioni bancarie, ad esempio il progetto Lagrange, bandito dalla fondazione CRT.

Un’altra forma di finanziamento sono gli Assegni di Ricerca, l’Università di Torino quest’anno ne elargirà 100, che andranno a coprire il 50% del costo dell’assegno che è di 18.666,29 euro all’anno lordi, il resto è coperto dal laboratorio. Un assegnista percepisce circa 1.100 euro netti al mese, un dottorando 900. Le borse di studio per la ricerca vengono perlopiù sostenute da associazioni senza fini di lucro che operano a livello nazionale (quali Telethon e AIRC) o locale come la Fondazione Cavalieri Ottolenghi, la Fondazione Internazionale di Ricerca in Medicina Sperimentale, la Fondazione Ghirotti, la Fondazione per la Ricerca Biomedica. Infine una grossa mano per l’attività del laboratorio viene dagli studenti: futuri medici, biologi o biotecnologi, che offrono la propria opera gratuita in cambio della possibilità di fare una tesi sperimentale.

Face2Face: video chat con l'imprenditoria e l'innovazione

L’ambasciata USA in Italia organizza “Face2Face”, delle video webchats che ospiteranno nei prossimi mesi diversi esperti americani ed italiani per discutere di formazione, di ambiente, di imprenditoria, dell’iniziativa “Partnership for Growth” e di molti altri argomenti.

La novità di questo progetto è l’interattività della conversazione: seguendo l’intervista on-line potrete interagire ponendo le vostre domande agli ospiti, che vi risponderanno nel corso dell’intervista.
Le registrazioni di questi incontri rimarranno poi disponibili in queste pagine.

Uno dei temi trattati all’interno del Face2Face sarà quello dell’imprenditoria di prima generazione, con il programma Capturing Creativity.

Capturing Creativity è incentrato su interviste on-line a giovani imprenditori di prima generazione, che hanno avuto successo grazie ai loro sforzi e alle loro capacità.
Gli invitati metteranno a confronto le proprie esperienze, raccontando: ad esempio, come è nata la loro attività ed in che modo sono riusciti a trasformare le loro aspirazioni in realtà.

Il primo evento è in programma per mercoledi 14 alle ore 17:00. Durante la video chat Marco Palombi, fondatore di Splinder intervisterà, Michele Appendino, uno dei pionieri del Venture Capital in Italia, che risponderà anche alle domande inviate dal pubblico.

Per seguire l’intervista www.italy.usembassy.gov/Face2Face

Open Source for Competition

floss.gifNell’ambito di Quality for competition 2007, in programma dal 14 al 15 Marzo 2007 al Centro Congressi Lingotto di Torino, le aziende di floss.piemonte.it organizzano il Seminario “Open Source for Competition” presso la Sala Atene dalle 12,00 alle 13,00

Il software Open Source si è ormai affermato come standard di fatto, fondato sulla collaborazione di migliaia di sviluppatori in tutto il mondo. Torino si propone come nuova capitale del software libero dedicato all’industria italiana.

Il programma del seminario prevede:

  • La presentazione dell’iniziativa floss.piemonte.it: un network di aziende innovative per fornire soluzioni eccellenti al mercato – Ing. Manuela Martini, e-Mentor srl
  • Il modello dell’Open Source nell’area torinese: come un modello aperto di produzione, distribuzione e utilizzo di conoscenza tecnologica può generare nuove opportunità di business – Dott. Lorenzo Benussi, Dipartimento di Economia dell’Università di Torino
  • L’Open Source come strumento innovativo e di competizione per aziende e Pubblico Amministrazione: lo stato dell’arte in Italia e nel mondo – Prof. Raffaele Meo, Dipartimento di Informatica e Automatica Politecnico di Torino

La partecipazione all’evento è gratuita. Per motivi organizzativi, è necessario iscriversi al Seminario.

Scuola di sicurezza alimentare

La Scuola di Sicurezza Alimentare, giunta alla seconda edizione, apre il via il 12 marzo 2007 alle ore 9.30 a Villa Gualino, Torino, con il primo modulo riferito alla legislazione igienico sanitaria e all'analisi di casi pratici.
Il corso, di carattere interdisciplinare, prenderà in rassegna i concetti della sicurezza alimentare nei suoi principi generali e attraverso un'analisi complessiva del quadro delle regole vigenti.

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Scuola di Sicurezza Alimentare 2007

La Scuola di Sicurezza Alimentare, giunta alla seconda edizione, apre il via il 12 marzo 2007 alle ore 9.30 a Villa Gualino, Torino, con il primo modulo riferito alla legislazione igienico sanitaria e all’analisi di casi pratici.

Il corso, di carattere interdisciplinare, prenderà in rassegna i concetti della sicurezza alimentare nei suoi principi generali e attraverso un’analisi complessiva del quadro delle regole vigenti.
Grazie al contributo di esperti legali di aziende leader di mercato e avvocati specializzati in diritto alimentare verranno affrontati casi pratici di crisi aziendali legati ad allerte, sequestri, ritiri, richiami nonché le Special Situations nell’ambito di un’industria alimentare di marca:
– caso carne in scatola e mucca pazza; crisi di una categoria e coinvolgimento del leader di mercato.
– Caso Sudan Red (peperoncino rosso) e Tomato Kechup.

Si passerà poi alla disamina, anche con esemplificazioni pratiche tratte da casi giudiziari, degli aspetti di rilevanza penale contenuti nella normativa di matrice nazionale e comunitaria, soffermandosi in particolare sui rapporti e le interferenze tra le stesse, alla luce della recente entrata in vigore dei regolamenti comunitari.

La scuola offrirà attraverso un ciclo di corsi e di convegni in programma a Villa Gualino, Torino, da marzo a ottobre 2007 un’occasione di aggiornamento sulla ricerca applicata all’alimentazione con lo sguardo rivolto alla tutela del consumatore.

La scuola, proposta dalla Fondazione per le biotecnologie con il sostegno di regione Piemonte e Gruppo Intesa San Paolo, si rivolge a tecnici e laureati con qualifica di operatori del settore agroalimentare, direttori di produzione, responsabili di qualità di aziende alimentari e della Grande Distribuzione Organizzata, consulenti aziendali coinvolti in attività di servizio e supporto alle aziende e personale della Pubblica Amministrazione incaricato di attività di sorveglianza ed ispezione.

Sempre tre le aree in cui si articola la scuola:
– la prima riguarda l’igiene alimentare
– la seconda la gestione per la qualità nelle aziende
– la terza è incentrata sulle attività di gestione, controllo e vigilanza
Per maggiori informazioni www.scuolasicurezzaalimentare.it

Semplificazione, open source e imprese

Semplificazione amministrativa, open source e legami più forti con le aziende ICT del territorio. È questa la sfida che vede impegnate Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino e CSI-Piemonte, riunite oggi nel Salone d’Onore del Castello del Valentino (Politecnico – Facoltà di Architettura) per la presentazione della Piattaforma per la Gestione Documentale.
Con la firma del Memorandum of Understanding, infatti, i principali Enti del territorio si impegnano a realizzare entro il 2008 un innovativo prodotto informatico che permetta la gestione, l’archiviazione e la condivisione della documentazione elettronica della PA piemontese (delibere, atti, fatture, etc). Il tutto attraverso l’utilizzo di soluzioni realizzate con tecnologie open source.

Il progetto, che si avvale della competenza del Politecnico di Torino, è in linea con le direttive nazionali (Codice Amministrazione Digitale) ed europee per la semplificazione e la trasparenza della macchina pubblica. Risponde inoltre a precise esigenze, prima fra tutte l’utilizzo del software libero come leva per lo sviluppo delle imprese del territorio. L’obiettivo è quello di contribuire all’apertura di nuovi scenari di mercato per le aziende ICT piemontesi, che verranno coinvolte nella definizione delle caratteristiche della futura piattaforma.

L’iniziativa, inoltre, permetterà al Piemonte di realizzare il primo modello di politica industriale pubblica basata sull’open source, candidandosi come punto di riferimento e di eccellenza a livello nazionale. Il nuovo prodotto sarà a disposizione non soltanto delle amministrazioni che lo avranno realizzato, ma anche di tutti gli Enti interessati (non soltanto piemontesi) e dei privati che avranno bisogno di soluzioni informatiche legate alla gestione documentale.

Firmatari del documento l’Assessore regionale all’Innovazione Andrea Bairati, l’Assessore provinciale al Sistema Informativo Alessandra Speranza, l’Assessore comunale all’Organizzazione Beppe Borgogno e il Direttore del CSI-Piemonte Renzo Rovaris.

La firma del Memorandum of Understanding – dichiara Andrea Bairati – si inserisce in un processo di rilancio industriale dell’ICT, anche attraverso i paradigmi dell’open source. Inoltre, favorisce direttamente la Pubblica Amministrazione la creazione di un nuovo prodotto che sarà condiviso dai tre Enti territoriali. Le opportunità offerte dall’utilizzo dell’open source sono numerose: dalla possibilità di realizzare interventi più flessibili all’eventuale “personalizzazione” dei prodotti a seconda di esigenze diverse. È una leva importante per costruire un effetto rete fra le piccole e medie imprese del territorio. Per fare questo, però, occorre anche lavorare per “formare” una consapevolezza più diffusa delle sue opportunità».

«La Provincia di Torino – afferma Alessandra Speranza – da tempo è impegnata al fianco alle aziende per supportarle nella semplificazione degli adempimenti amministrativi. Abbiamo iniziato con gli uffici del settore agricoltura e con i Centri per l’Impiego. I risultati sono decisamente incoraggianti: dopo la messa in esercizio della modalità telematica, stiamo infatti ricevendo ogni giorno, attraverso Internet, 5/6000 comunicazioni aziendali obbligatorie. Il progetto che oggi presentiamo è in questo solco: ci proponiamo di estendere questo modo di funzionare, predisponendo i nostri uffici a ricevere, in formato digitale, tutta la documentazione che chiediamo di produrre per ottenere una concessione o l’ iscrizione ad uno degli albi gestiti. Inoltre i nostri uffici saranno predisposti a ricevere e trattare la “fattura elettronica”.
In questo modo semplificheremo ancor più l’accesso ai servizi che eroghiamo. Faciliteremo le diverse attività amministrative dei nostri fornitori che potranno così interagire direttamente con l’area contabile del nostro sistema informativo».
 
«Torino e il Piemonte si confermano all’avanguardia sul fronte della ricerca e dello sviluppo di soluzioni informatiche per gli enti pubblici e le imprese. Una posizione di primo piano che, nel campo delle tecnologie avanzate, il nostro territorio occupa ormai da tempo. Un ruolo di leader recitato con la consapevolezza che – sottolinea Beppe Borgogno – gli investimenti in questo settore corrispondono al miglioramento dei servizi resi ai cittadini e alle imprese.  Non farà certo eccezione la “Piattaforma per la Gestione Documentale” – progetto per la cui realizzazione viene firmato oggi l’impegno del Comune di Torino insieme agli altri enti territoriali e al CSI – che porterà sicuramente importanti vantaggi alle amministrazioni pubbliche piemontesi».

«L’iniziativa che presentiamo oggi – aggiunge Renzo Rovaris – è importante non solo per il carattere innovativo del progetto a cui fa riferimento, ma soprattutto perché testimonia una volta di più la capacità delle amministrazioni piemontesi di lavorare insieme, facendo “sistema” fra di loro e con il mondo accademico. Una strategia operativa che gli Enti possono perseguire perché abituati a condividere politiche strategie di investimento (basta pensare ai progetti di e-government o al Programma WI-PIE), ma anche perché possono contare sull’esperienza di una realtà forte come il Politecnico di Torino e di un punto di aggregazione come il CSI-Piemonte, in grado di garantire progettualità e relazioni anche con il sistema privato».

L'Italia tra i fanalini di coda per l'innovazione

Via Lastampa.it

Un’altra ricerca che non scatta una gran bella fotografia dell’Italia. L’istituto Forrester Research ha diffuso lunedì i dati di un suo studio sull’innovazione scientifica e tecnologica, condotto attraverso l’analisi di 26 paesi aderenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Secondo la ricerca, il nostro paese non brilla certo per capacità innovative, rimanendo al fondo delle graduatorie di tutti gli aspetti presi in considerazione.

A dire il vero, Forrester Research bacchetta un po’ chiunque. E’ l’approccio generale ad essere sbagliato, spiegano i curatori della ricerca. In genere si tende a confondere l’innovazione con l’invenzione, preferendo investire un sacco di soldi nella ricerca di nuove invenzioni, senza sfruttare al massimo quelle che sono già a disposizione. Un errore, spiega il vicepresidente di Forrester Michelle de Lussanet, perché “il rafforzamento nazionale, il potere, la ricchezza e il benessere dipendono più dall’implementazione delle innovazioni rispetto all’invenzione stessa”.

Insomma, se i governi pensassero a investire soldi per sfruttare le invenzioni già esistenti, invece che cercarne di nuove, sarebbe meglio. Per arrivare a questo risultato, però, bisognerebbe superare un altro grande difetto di impostazione: le tendenze all’isolamento e all’autarchia. “L’innovazione viene considerata troppo spesso come un fattore interno al paese”, si legge nella ricerca. “Le nazioni dovrebbero invece giocare sui loro punti di forza e avvicinarsi a quei paesi che possano essere complemento di quelle forze”.

Si dovrebbero realizzare quelle che Forrester Research definisce “Innovation networks”, “reti di innovazione”, nelle quali la condivisione di conoscenze e competenze crea un valore aggiunto per tutto il sistema internazionale ma anche per le singole nazioni. L’esempio da seguire è quello di Internet, dove proprio la collaborazione peer-to-peer e la diffusione di reti sociali sempre più estese e interconnesse sono le grandi protagoniste dei nostri tempi.

Forrester Research individua quattro categorie di possibili contributi all’innovazione, quattro ruoli nei quali i singoli paesi dovrebbero cercare la propria specializzazione: “inventore”, “trasformatore”, “investitore” e “intermediario finanziario”. Ed è qui che per l’Italia iniziano i dolori. Perché l’istituto ha messo in ordine i 26 paesi seguendo questi quattro criteri e suddividendoli in altrettante fasce di merito, da leader a risky bet (“scommessa rischiosa”).

L’Italia è sempre finita nella fascia più bassa, quella delle scommesse rischiose. Con Australia, Ungheria, Spagna, Polonia e Messico, il nostro è considerato uno dei paesi meno innovativi tra quelli più sviluppati (nei ventisei presi in considerazione, ci sono praticamente l’intera Unione Europea, il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud).

Dall’altra parte della classifica, tra i migliori, Forrester Research individua Svizzera, Stati Uniti, Irlanda, Finlandia e Svezia. Paesi che non sono perfetti in tutto, ma che almeno primeggiano in un settore. Svizzera e Stati Uniti mostrano il meglio nel campo dell’invenzione vera e propria. L’Irlanda è un’ottima “trasformer”, riesce cioè a sfruttare molto bene le invenzioni “altrui”, ospitando aziende innovative sul proprio territorio. Svezia e Finlandia, infine, spiccano dal punto di vista “financier”, cioè investono la maggior quantità di soldi pro capite in sviluppo e tecnologia, per migliorare le condizioni di vita del cittadino.

Dalla formazione mirata alla formazione integrata

Il  Comitato  Tecnico  Scientifico  del  CSI-Piemonte organizza un ciclo di incontri  durante  i  quali  sarà   analizzata  l'evoluzione  delle attività  formative dal modello tradizionale, volto a identificare una precisa lacuna e  a  colmarla, a un modello globale, che sostiene e accompagna lo sviluppo della   società    della   conoscenza.

Per informazioni e iscrizioni