Videosorveglianza si o videosorveglianza no contro le intrusioni in alloggio?

Mala tempora currunt! Dicevano i nostri avi in tempi difficili quali quelli attuali in cui affrontiamo una crisi economica mondiale  cui si è aggiunta una crisi sanitaria di dimensioni globali. In situazioni del genere anche l’onestà, la moralità ed il buon costume vengono spesso sovvertiti nell’intento di procurarsi  delle utilità in modo illegale anche violando la privacy e le abitazioni delle persone.

In questa situazione già da diverso tempo vediamo sui muri delle case o sulle recinzioni di giardini dei cartelli con disegnata una videocamera e con la scritta “zona video sorvegliata”, cartelli che stanno ad indicare che nei pressi è attiva una videosorveglianza. Ci  si chiede, tuttavia, se tali videocamere possano essere installate non solo a difesa delle case unifamiliari ma anche a difesa di alloggi privati in condominio.

Il Tribunale di Vicenza, con una sentenza dell’ottobre dello scorso anno ha stabilito che ben si può tutelare la propria abitazione mediante un sistema di videosorveglianza, tuttavia la telecamera deve essere posizionata in modo che “si limiti ad inquadrare le sole aree in proprietà esclusiva di colui che lo colloca, ed escluda pertanto la ripresa di aree condominiali (in assenza di delibera condominiale) e di aree in altrui proprietà”. Qualora, invece, le telecamere dovessero essere sistemate in maniera che anche parti comuni possano rientrare nel loro raggio d’azione, è necessaria la preventiva autorizzazione da parte dell’Assemblea condominiale che dovrà decidere con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno 500 millesimi.

La stessa maggioranza si dovrà avere per autorizzare, non più il singolo condomino, ma il Condominio ad installare un sistema di videosorveglianza nelle parti comuni quali il giardino condominiale o, più semplicemente, l’androne condominiale. Nel caso che sia il Condominio ad installare la videosorveglianza sarà obbligo dell’amministratore provvedere a tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa sulla tutela dei dati personali (privacy).

Pertanto, se vi è il timore di intrusioni non desiderate nella propria abitazione, va bene installare le videocamere sul muro del pianerottolo, ma le stesse devono essere posizionate in modo da inquadrare unicamente la porta d’ingresso del singolo alloggio e non anche il restante ballatoio o la rampa di scale che vi accede.

Avv. Maria Franzetta

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QUANDO IL WEEKEND DURA MESI

Tempo di “coronavirus”, tutti a casa. La famiglia, come nei tempi passati quando uno stipendio solo bastava alle necessità familiari, si ritrova insieme organizzandosi una vita differente, meno frenetica, ritrovando il piacere del dialogo e della condivisione di compiti, gioie e dolori. Tuttavia, anche la vita in comune da mattina a sera, così come l’ospite ed il pesce, dopo tre giorni puzza, ed ecco che iniziano i primi screzi e le prime incomprensioni e ben presto si giunge all’esasperazione dovuta alla clausura forzata e, naturale conseguenza, a comportamenti  ingiuriosi e violenti .

Nella maggior parte dei casi è l’uomo che, non abituato alla ristrettezza delle mura domestiche, si lascia prendere dalla rabbia che sfocia nell’ira nei confronti di chi gli sta accanto, moglie o compagna di vita provocando gesti violenti ed inconsulti che, sovente, portano a gesti estremi.

Nel luglio 2019 è stata promulgata la L. 69/19 meglio nota come “Codice Rosso” che ha introdotto delle disposizioni in materia penale e di procedura penale a tutela delle vittime della violenza domestica. Tuttavia, non sempre, specie le donne, sono propense a denunciare chi, nel chiuso delle mura domestiche, si rende colpevole di atti violenti nei loro confronti o nei confronti dei figli (violenza su questi ultimi è anche quella di dover assistere alla violenza  sulla madre) per un qualche senso di pudore, per evitare che i figli possano un domani rimproverarle di avere fatto “andare in carcere” il padre o nella speranza che le cose volgano al meglio. In questi casi, sovvengono le previsioni del codice civile che agli artt. 342 bis e 342 ter  (introdotti con la L. 154/2001- misure contro la violenza nelle relazioni familiari) che  disciplina gli “ordini di protezione contro gli abusi familiari”. in particolare si afferma che “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio], su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter”.

Quali sono questi provvedimenti?

Innanzitutto l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole, inoltre può disporre: l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, ove occorra l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare, l’intervento di associazioni che sostengano le vittime (donne o minori) di abusi o maltrattamenti, il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che, a causa dell’allontanamento del congiunto, si trovino prive di mezzi di sostentamento.

L’ordine di protezione può avere durata fino ad un anno prorogabile per il tempo strettamente necessario qualora ne ricorrano gravi motivi.

Queste misure di protezione stabilite dalla legge civile non vanno ad intaccare quella che viene conosciuta come “fedina penale” del colpevole degli abusi e quindi non gli inibiscono di svolgere quei lavori che prevedono la condotta irreprensibile dal punto di vista penale o di partecipare a concorsi in cui è richiesto il certificato penale “pulito”, ma hanno la stessa forza coercitiva degli ordini emessi dal giudice in sede penale in quanto qualora dovessero essere disattesi scatterebbe la denuncia in quella sede.

Avv. Maria Franzetta

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Fruizione del giardino condominiale in tempi di Corona virus

Il giardino condominiale è proprietà comune ed in quanto tale è fruibile  indistintamente da tutti i condomini comproprietari in pari misura ( rilevando la quota condominiale solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione del bene).

In linea di massima nei regolamenti condominiali sono previste regole e limiti alla fruizione del giardino condominiale e spetta all’amministratore farli rispettare.

L’emergenza Corona visus ha indubbiamente stravolto tale utilizzo.

In effetti le recenti urgenti misure adottate in situazione di emergenza virus come la chiusura dei parchi pubblici, delle aree giochi, delle riunioni in zone pubbliche e più in generale il divieto di assembramenti di persone e limitazioni di contatto e mantenimento delle distanze, di per sé non sono applicabili ai giardini condominiali.

Non vi è un espresso divieto alla fruizione del giardino condominiale, ma tale fruizione è subordinata al rispetto delle regole di emergenza in vigore.

In teoria è quindi ancora possibile frequentare il giardino condominiale, ma con l’obbligo di mantenersi distanziati ( è comunque consigliata una distanza tra le persone di più di un metro, meglio 4/5 metri di sicurezza) , opportunamente tutelati nella persona (quindi mascherine e guanti), con la ripetuta e costante sanificazione del luogo ( panchine, giochi dei bimbi ecc) da parte dell’amministratore  prima di ogni fruizione.

In pratica si dovrebbe stabilire una turnazione di un bambino per volta in giardino e subito dopo una sanificazione prima del successivo bambino controllato da un solo genitore, con il divieto di trattenersi comunque a lungo in più persone del condominio.

Avv. Marcella Conti

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Quando le coppie scoppiano

Sono ormai lontani i tempi in cui si festeggiava la legge 1 dicembre 1970 n. 898 come il regalo di Natale che il Parlamento aveva fatto a tutte quelle coppie che, oramai da tempo scoppiate, non potevano rifarsi una vita con chi avrebbero voluto avere legalmente al proprio fianco. Parlo della Legge che istituiva, anche in Italia, il divorzio.

All’epoca erano necessari 5 anni di separazione prima di poter ricorrere al Tribunale per sentire dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con rito concordatario (quello officiato dal Sacerdote) o lo scioglimento del matrimonio contratto con rito civile. Inoltre il processo civile era lungo e necessitava di prove inconfutabili del naufragio del matrimonio che si voleva sciogliere.

Da quel primo dicembre del 1970 è passata molta acqua sotto i ponti e, passando da una soluzione intermedia che accorciava i tempi da cinque a tre anni e introduceva il “divorzio” congiunto o, come si suol dire, consensuale, quest’ultimo con tempistiche molto ridotte rispetto a quello in vigore fino a quel momento, si è giunti alla normativa attuale voluta dal legislatore del 2015, che, probabilmente rendendosi conto che è estremamente difficoltoso ricomporre perfettamente un vaso rotto, ha emanato la Legge 6 maggio 2015 n. 55 più nota come “Divorzio Breve” che riduce da 3 ad 1 anno il tempo necessario per poter instaurare, dopo la separazione, la causa di divorzio. Se la separazione precedente era stata “consensuale” il termine di un anno viene ridotto a sei mesi.

Questa importante legge era stata preceduta nel 2014 da un Decreto Legge intitolato “degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” che ha snellito il procedimento tanto di separazione che di divorzio introducendo la “Negoziazione Assistita”.

Questa nuova forma di separazione e di divorzio è estremamente snella e veloce e si svolge nello studio dell’avvocato senza necessità per i separandi o divorziandi di recarsi in Tribunale. Condizione necessaria è che si raggiunga, con l’intervento obbligatorio di un legale per parte, un accordo sulle condizioni della separazione o del divorzio, accordo che verrà sottoscritto dalle parti e trasmesso da uno dei legali al Procuratore della Repubblica che, se non ravvisa irregolarità, concede il nullaosta per la trascrizione nei registri dello stato civile. Incombente quest’ultimo cui provvede uno degli avvocati nel termine di dieci giorni dal nullaosta.

Come si vede la procedura è molto veloce ed evita il patema d’animo di doversi trovare dinanzi ad un Giudice ma si svolge tutto nello studio di uno dei due avvocati difensori delle parti.

In caso di divorzio anche la trascrizione nel Registro dello Stato Civile per ottenere lo “stato libero” è veloce in quanto, grazie alla firma digitale ed alla PEC normalmente si adempie all’obbligo in tempo reale ed il Comune risponde nel giro di pochissimi giorni che tutto è a posto.

Prossimo passo: divorzio senza separazione (come nella maggior parte dei paesi esteri), ma quando? Per ora accontentiamoci di questi grandi passi fatti tra il 1970 ed il 2015.

Avv. Maria Franzetta

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Quando il tradimento paga …. Il tradito

ora che siamo, finalmente, separati, sai che ti dico? Durante il matrimonio ti ho tradito con Giovanni!”

Inutile ripicca e magra consolazione per l’ex moglie e guai in vista per l’amante che potrebbe vedersi citare in giudizio e condannare al risarcimento dei danni a favore del marito tradito.

E’ quanto è avvenuto al Sig. Tizio che, in costanza di matrimonio della signora Nevia con il signor Caio, aveva avuto una relazione con Nevia che, una volta ottenuta la separazione da Caio ha pensato bene di fargli del male raccontandogli del tradimento e inducendo, di conseguenza, Caio a dubitare della sua paternità nei confronti del figlio nato nel periodo in cui Nevia intratteneva la tresca con Tizio. Caio, sentendosi leso negli affetti e nell’onore ha citato in giudizio Tizio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni morali subiti a causa del comportamento di Tizio e Nevia.

La vertenza è giunta all’attenzione della suprema Corte di Cassazione che con sua ordinanza del marzo 2019 ha affermato che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione dei diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva”.

La Suprema Corte ha sancito in tal modo la possibilità per il coniuge tradito di richiedere oltre all’addebito della separazione (come si diceva una volta “la separazione per colpa”) un risarcimento del danno laddove sia stato leso un suo diritto inviolabile quale, ad esempio, quello alla salute o all’onorabilità.

Pertanto, ai fini della richiesta di risarcimento del danno non è sufficiente allegare la condotta adulterina, ma è necessario che questa condotta, per lo sconvolgimento che provoca nell’atro coniuge, determini un pregiudizio alla salute o, comunque, un danno alla sua dignità personale.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha affermato che, sebbene l’amante non sia soggetto all’obbligo di fedeltà coniugale, può configurarsi una sua responsabilità quando il diritto violato sia quello alla dignità ed all’onore.

Quando, cioè, dal modo con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, l’amante abbia violato o concorso a violare la dignità e l’onore del coniuge tradito come, ad esempio, nel caso in cui l’amante si sia vantato della propria conquista con persone che conoscano il coniuge tradito o abbia diffuso immagini che mostrino gli amanti insieme.

Morale: Se tradimento ha da essere, che sia molto discreto!

Avv. Maria Franzetta

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Revocatoria!?! – Chi era costei?

Ho mutuato una celebre frase dei Promessi Sposi, pronunciata da Don Abbondio a proposito del filosofo Carneide, per introdurre un istituto giuridico che non è conosciuto dai più e coloro che lo conoscono lo associano al fallimento dove è prevista la “revocatoria fallimentare” che è il potere concesso al Giudice di dichiarare invalidi gli atti di disposizione del patrimonio, tanto a titolo gratuito che oneroso, compiuti dal fallito nell’anno  o nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento.

Nel nostro Codice Civile, accanto alla revocatoria fallimentare è prevista la Revocatoria Ordinaria cioè l’azione volta a fare dichiarare inefficaci gli atti dispositivi del patrimonio del debitore da questi effettuati, tanto a titolo gratuito che oneroso, e che producono o potrebbero produrre la perdita della garanzia del credito. Essa non è altro, quindi, che un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale al fine di non pregiudicare le ragioni del creditore.

L’art. 2901 c.c. stabilisce, infatti, che “il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.” Ed il successivo art. 2903 prevede che “l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto!.

Dall’esame dei due articoli sopra riportati risulta che se il debitore di Tizio vendesse un immobile di sua proprietà a Caio e non avesse un patrimonio residuo che possa garantire comunque a Tizio che il suo credito verrà pagato, questi potrebbe citare in giudizio il suo debitore e Caio per fare dichiarare inefficace l’atto di compravendita.

Tuttavia la legge tutela coloro che sono restati invischiati in certi maneggi messi in atto per evitare di pagare uno o più debiti concedendo loro la possibilità di provare che non erano a conoscenza della situazione debitoria del venditore, quindi di aver acquistato in buona fede. La presunzione di buona fede viene a cadere nel caso in cui il prezzo della compravendita sia sproporzionato in rapporto al valore del bene compravenduto come nel caso di acquisto di un immobile di pregio per poche decine di euro.

L’esempio fatto non deve trarre in inganno perché non solo le compravendite possono essere revocate, ma tutti gli atti dispositivi del patrimonio del debitore quali, ad esempio, la costituzione di un fondo patrimoniale per la famiglia, l’iscrizione di una garanzia reale su un immobile relativamente ad un debito già scaduto, il conferimento di beni o denaro in società di capitali, la rinunzia ad una eredità, e così via tutti quegli atti che possono portare ad una diminuzione del patrimonio del debitore, diminuzione immediata (compravendita) o probabile in futuro (ipoteca).

Pertanto, è opportuno, in presenza di debiti, evitare di ricorrere a “finte vendite” o altri éscamotage per evitare di essere assoggettati ad espropriazione immobiliare perché si potrebbe incorrere in un’azione revocatoria che si risolverebbe unicamente in un aggravio di spese.

Avv. Maria Franzetta

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Interessante pronuncia in merito di occupazione del suolo pubblico per propaganda politica

Miei cari lettori, in questo periodo di elezioni Vi delizio con un’interessante pronuncia del nostro Illustrissimo Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte.

Premetto fin da subito che non è mio intento persuadere al sostegno di alcun credo politico, bensì valorizzare i diritti della nostra Carta Costituzionale.

Tutto origina dal ricorso presentato da un partito candidato alle prossime elezioni elettorali al fine di veder dichiarare l’annullamento del provvedimento amministrativo con il quale il Comune non  concedeva l’occupazione del suolo pubblico per propaganda politica.

Per l’Amministrazione la concessione del suolo pubblico è subordinata al rilascio di una dichiarazione di rispetto dei valori antifascisti sanciti dal nostro ordinamento Repubblicano.

In particolare, è espressamente richiesto di ripudiare il fascismo ed il nazismo, aderire ai valori dell’antifascismo posti alla base della Costituzione Repubblicana, ovvero i valori di libertà, di democrazia, di eguaglianza, di pace, di giustizia sociale e di rispetto di ogni diritto umano.

Sennonchè, il partito ricorrente allegava alla propria istanza una dichiarazione difforme dal modello-tipo stilato dalla Pubblica Amministrazione omettendo l’espresso ripudio del fascismo e l’adesione ai valori dell’antifascismo.

Tuttavia, i giudici amministrativi rigettavano il suddetto ricorso in quanto i valori dell’antifascismo e della Resistenza nonchè il ripudio dell’ideologia fascista sono valori fondanti la Costituzione e la loro conseguente omissione configura un tacito inneggiare al sostegno degli stessi ideali ormai decaduti.

Pertanto, quantunque valori come il diritto di eguaglianza, riunione, associazione, manifestazione del pensiero nonché di associazione in partiti politici parimenti tutelati dalla nostra Carta Costituzionale non consentano di subordinare l’esercizio dei diritti civili e politici a dichiarazioni di adesione ai valori dell’antifascismo, il T.a.r. Piemonte disponeva una netta limitazione dei medesimi.

Infatti, a sommesso parere di chi scrive, non possono essere coartati diritti costituzionali come quello politico attraverso l’obbligo di adesione a valori predeterminati.

Invero, il ripudio attinge alla sfera interna dell’individuo che non può essere coartata dall’Amministrazione in assenza di comportamenti e manifestazioni esteriori che si pongano in contrasto con le norme costituzionali e con le leggi dello Stato.

Ad ogni modo, speriamo che nei casi a venire i giudici amministrativi si discostino da tale pronuncia riscontrando nella medesima una strettissima limitazione dei diritti politici che ciascuno di noi ha la possibilità di esercitare liberamente.

Avv. Silvia Giovanna Martini

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Decreto flusso di immigrazione per l’anno 2019

Il 9 aprile 2019 è stato pubblicato il decreto n. 84/2019 del Presidente del Consiglio dei Ministri sulla transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato Italiano per l’anno 2019.

L’art 1 del decreto prevede che sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo i cittadini extracomunitari entro una quota complessiva di 30,850 unità. Stabilendo le quote massime di stranieri non comunitari che possono fare ingresso in Italia come lavoratori subordinati, il decreto flussi svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dei flussi migratori. Siccome nel 2018 non sono state utilizzate le quote a disposizione, nel 2019 un aumento di quote non è programmato. Si parla comunque di numeri molto inferiori di quelli degli anni precedenti.

Nell’ambito della quota massima indicata  sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato i cittadini non comunitari entro una quota di 12, 850 unità. Invece nell’ambito del lavoro stagionale sono ammessi in Italia 500 cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero che abbiano completato i programmi di formazione ed istruzione nei paesi di origine. Inoltre è autorizzata la conversione di 4750  permessi di soggiorno per  lavoro stagionale, 3500 permessi di soggiorno per studio o formazione professionale e 800 permessi di soggiorno UE per soggiornati di lungo periodo.

E’ consentito l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo i cittadini non comunitari residenti all’estero, appartenenti alle seguenti categorie:

  • imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana;
  • liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;
  • titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo;
  • artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale.

I termini per la presentazione delle domande decorrono per le categorie dei lavoratori non comunitari dalle ore 9:00 del 16 aprile 2019 e per le categorie dei lavoratori non comunitari dalle ore 9:00 del 24 aprile 2019.  Il termine ultimo per presentare le domande è il 31 dicembre 2019.

Le quote per lavoro subordinato, stagionale e non stagionale previste dal presente decreto se non utilizzate possono essere suddivise sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro.

I  datori di lavoro che intendono assumere mediante il decreto flussi  devono fare domanda online sul sito del Ministero dell’interno al seguente indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.interno.it. Gli utenti devono autenticarsi tempestivamente sul portale rispetto alle date previste per l’invio delle domande accedendo esclusivamente con credenziali SPID.

Dott.ssa Elena Hoxha

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Consulenza familiare dell’Assistente sociale e Mediazione familiare

La figura professionale dell’Assistente sociale, tutelata dall’Albo di appartenenza, e la figura del Mediatore Familiare rivestono due ruoli con modalità operative, formazione, strumenti tecnici spesso diversi. Tuttavia si pongono obiettivi comuni come: l’accompagnamento delle famiglie nelle controversie verso un percorso durante il quale ognuno potrà sentirsi riconosciuto dall’altro, nei propri bisogni, paure, ansie ed aspettative.
La consulenza familiare condotta dall’Assistente sociale ha come obiettivo principale quello di fronteggiare al meglio problematiche socio-familiari, mediante:
– strategie socio legali con l’avvocato che ha in carico i soggetti-attori (coppie/famiglie);
– rapporto con eventuali servizi sociali coinvolti;
– orientamento sociale in caso di separazione conflittuale, demandando ad altri servizi (quali il mediatore familiare stesso o lo psicologo, ad esempio) ove si ravvede la necessità.

Il ruolo dell’Assistente Sociale è quindi più complesso e ha confini meno limitati. Sovente l’incarico parte su segnalazione del giudice, dell’avvocato o di altri organi quali la scuola o altri componenti della famiglia. L’attività svolta è principalmente di tipo valutativo in quanto vi è la necessità di relazionare alla Procura o al Tribunale per i Minorenni e per questo sono indispensabili strumenti di cui dispone questo professionista quali il colloquio e la visita domiciliare.
L’Assistente Sociale ha una duplice funzione: d’aiuto e di controllo. Sebbene i due interventi non sempre coesistono, è opportuno immaginarle come due azioni che a volte viaggiano parallele, che di tanto in tanto si intersecano e a tratti si sovrappongono per poi distanziarsi nuovamente, mai dimenticando la centralità della persona, unica ed irripetibile oltre che titolare di diritti e di infinite risorse.
Concludendo, appare necessario evidenziare l’importanza di entrambi i ruoli come strumenti di promozione di una cultura in cui il conflitto, familiare e non, non viene ignorato, ma affrontato e trasformato in un’occasione di riflessione, crescita e conoscenza reciproca.

Dott.ssa Chiara Moliterni

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SEPARIAMOCI…… MA FUFY E FIDO CON CHI STANNO?

Oramai è diventato normale, per una famiglia, detenere uno o più animali domestici che, notoriamente, contribuiscono al benessere psichico dell’animale Uomo e sono amici, fratelli e psicologi dei nostri figli. Sui libretti sanitari dei nostri cani e gatti viene inserito il nominativo della persona del nucleo familiare che ne è responsabile per cui il Fido della famiglia Rossi è indicato come Fido di Mario Rossi. Notiamo, quindi, che non vi sono differenze tra gli animali da affezione e le persone legate da vincoli affettivi e familiari.

Come le sorti della famiglia si ripercuotono sui membri umani della stessa così si ripercuotono sui nostri amici a quattro zampe (a volte anche a due) per cui viene da chiedersi cosa capita quando il nucleo familiare si scioglie a causa di una separazione. Come sappiamo i figli sono assoggettati al regime di affidamento condiviso con prescritte modalità di visita e di contribuzione a carico dei genitori separati, ma quale è la sorte riservata al cane o al gatto di famiglia?

Ricordo che diversi anni or sono una famiglia che abitava nel mio quartiere ed era proprietaria di un magnifico gattone nero ebbe la necessità di addivenire alla separazione dei coniugi che provvidero su tutto tranne che sulla sorte del micione nero che, da quell’infausto giorno, fu costretto a vagabondare per le strade del quartiere dipendendo, per il suo sostentamento, dagli uccellini che, imprudentemente, gli capitavano a tiro e sui bocconcini che la “gattara” del quartiere gli lasciava vicino al portone di quella che fu la sua casa.

Storie come quella del micione nero ce ne sono state tante perché la legge non prevede nulla in ordine agli animali da affezione in caso di separazione dei coniugi loro proprietari, i nostri piccoli amici vengono trattati alla stregua delle cose e solo l’accordo delle parti può decidere della loro sorte mentre il Giudice si occupa unicamente della prole tanto in punto affidamento quanto in punto contributo al suo mantenimento.

Contro corrente il Tribunale di Sciacca che con sua decisione del 19 febbraio 2019 ha assegnato il gatto al Marito in via esclusiva a causa di un’allergia della moglie mentre il cane è stato affidato ad entrambi i coniugi che lo potranno tenere presso ciascuno di loro a settimane alterne provvedendo al suo mantenimento. Decisione che ci auguriamo venga seguita da altre Corti di Merito in attesa che venga discusso in Parlamento un progetto di modifica del Codice Civile in tema di separazioni che regolamenta anche l’affidamento degli animali da affezione prevedendo che il Tribunale, dopo una breve istruttoria, debba decidere anche sull’affidamento esclusivo o condiviso degli animali domestici tenendo conto del benessere degli stessi.

Avv. Maria Franzetta

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