Riflessioni sulla chiusura di Centovetrine

Cercate di capirmi.
Quando nel 2001 iniziò la produzione di Centovetrine stavo concludendo il mio percorso universitario che mi permise di scoprire la passione per il cinema di qualità ma allo stesso tempo l’importanza delle produzioni come queste, che obiettivamente di qualità ne hanno pochina ma che rivestono un’importanza fondamentale dal punto di vista lavorativo.

Già all’epoca era chiaro che quello che stava succedendo a San Giusto Canavese era una cosa grande.
stava nascendo un polo produttivo enorme (negli stessi luoghi ben presto venne anche trasferita la produzione di Vivere, altra soap di grande successo, anch’essa ormai chiusa).
Telecittà si stava proponendo come la nuova Cinecittà pensata per la televisione, con grandi ambizioni e obiettivi importanti.

Ed è innegabile che la faccenda abbia funzionato, se è vero che ha occupato 300 persone per più di 10 anni (parlando solo di Centovetrine).
Nessuna pretesa di qualità, ma senz’altro un grosso volano con un ritorno importante non solo diretto (più volte mi sono sentito chiedere da ospiti in visita a Torino quale fosse il centro commerciale in cui è ambientata la fiction).

La notizia della chiusura del programma solleva però una questione non da poco.
I lavoratori dello spettacolo, lo sapete, hanno pochissime garanzie, così se davvero le puntate serali non convincessero Mediaset che la cosa deve andare avanti, le 300 persone che lavorano al programma si troverebbero appiedate quasi da un giorno all’altro.
Ma anche se le puntate speciali fossero un successo e Centovetrine andasse avanti il problema sarebbe solo posticipato.
Quanto può durare una soap opera?
Prima o poi il problema si riproporrà.
E qui arriviamo alla mia domanda: come è possibile che un sistema che comprende 300 lavoratori ed una struttura delle dimensioni di Telecittà poggi tutta sul successo (per definizione effimero) di uno sceneggiato televisivo?

Sia chiaro che non ho la risposta e che il mio vuole essere un modo per sollevare un problema.
Qualcosa non ha funzionato.
E dire che di tempo per trasformare il successo improvviso in qualcosa di sicuro per chi ci lavora ce n’è stato a sufficienza in questi 10 anni.

Mi piacerebbe questa volta davvero conoscere il vostro parere e chissà che insieme non si trovi una risposta soddisfacente.

p.s.
E che nessuno tiri fuori la storia che con la cultura non si mangia (primo: si mangia eccome; secondo: qui di cultura ce n’è davvero pochina!)

Autore: Gabriele Farina

Blogger, scrittore, regista, poeta, in fondo narratore di storie. Nel 2005 nasce il suo storico blog Vita di un IO