Trentacinque anni al Politecnico

Valentino Castellani su La Stampa

Ho passato trentacinque anni nel Politecnico, cinque da studente e trenta come docente. Ho anche sperimentato il legame profondo che il Politecnico ha con Torino e che ho vissuto nella straordinaria esperienza da sindaco. La cultura di ingegnere politecnico mi è stata di grande aiuto soprattutto per il rigore al quale mi aveva formato e per la costante attenzione alla concretezza degli obiettivi.

Ma ciascuno di noi è forgiato anche dalle persone che ha incontrato e che gli hanno trasmesso insegnamenti, valori e soprattutto esempi di vita.
Per quanto mi riguarda, ho avuto la fortuna di incontrare al Politecnico maestri che mi hanno segnato per sempre: Mario Boella, Piero Buzano, Renato Einaudi, Lorenzo Marenesi e Giovanni Jarre. Non sono stati i soli, naturalmente, ma nella mia piccola storia loro sono stati i più importanti. Tante cose sono cambiate negli ultimi decenni. Ai miei tempi – fine Anni 50 – erano poche le studentesse di Ingegneria. Oggi sono il 20% dei laureati. Gli studenti stranieri erano rarissimi, oggi sono proprio tanti, e danno l’immagine della internazionalità del Poli.

Ma che cos’è la cultura politecnica? All’inizio del secolo scorso il professor Tessari poteva dire: «Possiamo affermare con tutta sicurezza che la prosperità economica delle nazioni, il progresso sociale, l’incivilimento umano, sono dovute in gran parte all’attività ed ai lavori dell’ingegnere». Che la cultura politecnica di buona parte del secolo scorso sia stata attraversata, sia pure con tanti distinguo, da tentazioni tecnocratiche, pare innegabile. Ma negli ultimi decenni molto è cambiato se sul sito del Poli si può leggere: «Sono passati i tempi in cui i “polytechnicien” si occupavano solo del progetto tecnico. Il mondo è sempre più complesso e i problemi sono collegati. Il Poli non si limita a trasmettere conoscenza: gli studenti acquisiscono un metodo di lavoro “critico” per tutta la vita».

La storia di Torino si intreccia con le tante storie di ingegneri e architetti illustri che hanno dedicato il loro impegno allo sviluppo della città. La grande crisi dalla quale stiamo faticosamente uscendo richiederà ancora l’impegno degli ingegneri e degli architetti che il Poli continuerà a formare. Come saggiamente ammonisce Gustavo Zagrebelsky, la democrazia non promette nulla a nessuno, ma richiede molto a tutti. E Torino potrà contare sulle grandi risorse di questo nostro Politecnico che ha l’età dell’Italia unita.