Ripresa a Nord Ovest

Da La Stampa del 26 aprile

Da a oltre un secolo il Nord Ovest è un’area cruciale per lo sviluppo dell’Italia. Anzi, a lungo ciò che oggi si definisce il Nord Ovest era identificato tout court con il Nord del Paese. Un’identificazione che dipendeva dai caratteri portanti di quel territorio raccolto attorno al triangolo Torino-Milano-Genova. Negli Anni Cinquanta e Sessanta, nessuno dubitava che quello fosse il Nord: i primi a pensarlo erano proprio i numerosi immigrati dalle regioni meridionali che, richiamati dalla domanda di lavoro, cambiarono il volto, la demografia, l’impasto sociale delle città settentrionali.

In quel periodo, gli italiani avevano in mente la realtà specifica del Nord Ovest (l’urbanizzazione, la grande impresa, la produzione di massa), ma parlavano semplicemente del Nord.

Per accorgersi che la società settentrionale non aveva una faccia soltanto, ma era poliedrica, si sarebbe dovuti arrivare agli Anni Ottanta e Novanta. Allora si scoprì che esisteva anche il Nord Est, accanto al Nord Ovest, sebbene fosse difficile intenderne i lineamenti e definirlo autonomamente, non per semplice differenza dal Nord conosciuto. L’immagine del Nord Est faceva leva anch’essa su alcuni stereotipi: uno fra tutti, forse il più efficace, era quello del “piccolo è bello”. Significava che la piccola impresa era il soggetto portante di un’imprenditorialità diffusa, differenziata, che pervadeva il territorio, fino a dargli nuova forma. Al posto delle grandi città del Triangolo, si imponeva l’esperienza della campagna veneta: una campagna dai contorni assai poco rurali, disseminata di capannoni industriali, attraversata dai reticoli disegnati da un flusso di traffico in perenne movimento, congestionata di merci.

Nella visione corrente, il Nord divenne allora, all’epoca di Tangentopoli, la “questione settentrionale”, con la protesta per le insufficienze del governo centrale, accusato fare poco o nulla per sostenere lo sforzo produttivo di tanti imprenditori.

Alla fine del Novecento, il Nord Ovest era in sofferenza. Le imprese maggiori apparivano in affanno e alcuni marchi storici, dalla Olivetti alle imprese pubbliche, scomparivano dalla scena economica. Proprio le vicende di cambiamento di quella fase innescavano una questione destinata a diventare per un po’ dominante, quasi ossessiva, nel discorso pubblico italiano, quella del “declino”, che ci ha accompagnato fino a un anno fa, all’incirca.
Ora il tema del declino sembra uscito dall’attualità e il Nord Ovest torna a godere di buona stampa. Per effetto dei numeri di una ripresa su cui pochi avevano osato scommettere. Per merito del rilancio della grande impresa, grazie alla performance della Fiat, soggetto di un turnaround rapido e imprevisto. Grazie, infine, a un processo di diversificazione economica, ma anche sociale, dell’ambiente nord-occidentale, che ha reagito allo shock della crisi di fine secolo.

Come si vede, ci sono ragioni più che sufficienti per interrogarsi sul Nord Ovest con un interesse rinnovato, come ha voluto fare il Consiglio italiano per le scienze sociali varando questo Libro Bianco. Il criterio con cui è stato passato al setaccio il tessuto economico non è stato il computo delle perdite. In altre parole, non abbiamo creduto giusto registrare tutto quello che è uscito dai confini delle grandi imprese come una passività. Ci siamo accorti infatti, interrogando gli operatori e confrontandoci con gli studiosi, che molte attività un tempo esercitate all’interno delle grandi imprese, una volta uscite dal loro perimetro, sono state considerate genericamente come “terziario”, una sorta di settore rifugio in cui vengono accatastati, spesso alla rinfusa, tutti i fattori economici che non sappiamo rubricare con precisione. I fenomeni di outsourcing, cioè l’esternalizzazione di funzioni e servizi che prima venivano svolti entro l’impresa, non cambiano natura soltanto per il fatto di diventare autonomi. Semmai ampliano le loro potenzialità, imparano a servire più clienti, si articolano meglio.

È quanto è avvenuto all’interno del Nord Ovest, dove il sistema dei servizi ha tratto da queste trasformazioni nuovo slancio, ampliando le proprie dimensioni e, se si vuole, trasferendo un po’ della logica operativa dell’industria anche al terziario. Sull’altra sponda, le imprese industriali hanno interiorizzato a loro turno un po’ della logica del servizio, diventando meno manifattura del passato.

Ciò sta determinando un processo positivo di convergenza, che riduce le distanze fra industria e servizi, spingendo entrambi a una migliore integrazione, a ricercare forme di cooperazione e di sintonia.

Le imprese, nel loro complesso, si sono trasformate moltissimo. Abbiamo constatato, per esempio, che sta cadendo la polarizzazione classica fra piccole imprese e grandi imprese, a favore dell’ascesa di un nuovo attore, le aziende di media dimensione, in specie di quelle “multinazionali di nicchia” su cui richiama meritoriamente la nostra attenzione, con puntualità e rigore, l’ufficio studi di Mediobanca.

A questo punto, tuttavia, conviene introdurre un’ulteriore riflessione. Questo cambiamento riguarda davvero soltanto il Nord Ovest? O non sta invece avvenendo qualcosa di analogo anche nel Nord Est? Non è forse vero, infatti, che i due Nord non sono più così lontani come poteva sembrare una decina di anni fa? E dunque non è il caso di prendere in considerazione l’ipotesi di una convergenza fra i due grandi aggregati in cui è stata a lungo scissa la “questione settentrionale”?
Dal confronto con gli studiosi dell’area nord-orientale (come Daniele Marini e la Fondazione Nord Est) pare che le distanze si stiano abbreviando. Perché i problemi di fondo, i nodi da risolvere sono nella sostanza i medesimi, a cominciare da quello di un innalzamento deciso dei livelli di istruzione e di qualità del capitale umano (senza di cui il passaggio all'”economia della conoscenza” è destinato a rimanere uno slogan), delle reti infrastrutturali, delle piattaforme logistiche in grado di elevare la coesione interna e l’apertura internazionale del sistema settentrionale. In conclusione, siamo convinti che chi leggerà il Libro Bianco potrà trovare tanti elementi per continuare a confidare nella capacità di espansione del Nord Ovest e, più in generale, del Nord. A patto, naturalmente, che non resti inevasa la domanda di rappresentanza insita nel mutamento della società settentrionale.