La condizione umana. L’antologia di Paolo Pellegrin

«Non sono interessato a rubare uno scatto. Sono interessato, invece, a vivere-per quanto possa-con le persone che sto fotografando (…). Utilizzo un approccio antropologico: mi piace trovare temi e soggetti per raccontare le mie storie». Fino al 20 giugno la Reggia di Venaria ospita la mostra antologica di Paolo Pellegrin (Roma, 1964), tra i più importanti fotoreporter di guerra, membro della storica agenzia Magnum Photos, vincitore di numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Robert Capa Gold Medal Award.

La battaglia di Mosul dove Peshmerga curdi e soldati iracheni combattevano l’Isis, conflitti armati ed eventi drammatici, muri e profughi in fuga, Gaza e la Cisgiordania, il Kosovo e la Cambogia, il Darfur e la Libia, la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, i sobborghi di Rochester, Miami e Milwaukee, gli incendi boschivi in Australia, gli imponenti ghiacciai in Antartide che si sciolgono a ritmi sostenuti, le acque ingrossate dallo tsunami, il volo libero delle aquile di mare. Un’antologia, non una retrospettiva, che attraverso più di 200 immagini, prevalentemente in bianco e nero e molte inedite, ci permette di indagare e comprendere in profondità le scelte e le intuizioni dello sguardo di Paolo Pellegrin, e di riflettere su alcuni momenti cruciali della storia recente.

Un percorso espositivo immersivo dal forte coinvolgimento visivo ed emotivo, che dopo Roma (Maxxi) ed Amburgo, è approdato alle Sale delle Arti della Reggia di Venaria. Un progetto ideato dal celebre critico d’arte Germano Celant, da poco scomparso, curato da Annalisa D’Angelo e frutto del lavoro di tre anni sull’archivio personale del fotografo, che permette di cogliere le qualità artistiche e concettuali del lavoro di Paolo Pellegrin, lo sguardo così personale che va oltre quello del reportage di documentazione giornalistica per diventare fotografia antropologica, indagine sulla condizione umana, cogliendo i tratti estremi dell’esistenza, la sofferenza e la tragedia dei popoli come la bellezza e la grandezza della Natura.

Ragazze palestinesi si bagnano nelle acque del Mar Morto. Cisgiordania, 2009.
©Paolo Pellegrin/Magnum Photos

«Per Pellegrin un reportage non è una veloce, fredda e impassibile operazione, ma una questione di interpretazione personale, che coinvolge giudizio estetico ed espressività, angoscia e sofferenza-scriveva Germano Celant-Le fotografie sono frammenti di una storia raccontata in immagini, e riflettono un momento nella storia, basata su aspetti individuali e collettivi, di persone che stanno attraversando una tragedia. Ognuno dei suoi reportage tende a dare risalto, all’interno di un paese-sia esso l’Uganda, la Cambogia, Haiti, il Kosovo, il Libano o l’Iran-al modo in cui gli esseri umani danno forma alle loro reazioni agli eventi quali guerre e massacri».

Iraq, 2016.
©Paolo Pellegrin/Magnum Photo

La mostra presenta una sezione speciale ed inedita dedicata ad un racconto personale ed intimo di Paolo Pellegrin: le fotografie realizzate in una fattoria sulle montagne svizzere, durante il periodo della quarantena per il lockdown, quando ha scelto di puntare l’obiettivo su se stesso e sulla sua famiglia.

Un’aquila di mare, il più grande uccello rapace della Norvegia, nei fiordi dell’arcipelago di Flatanger.
Lauvsnes, Norvegia, 2019. ©Paolo Pellegrin/Magnum Photos

Il percorso si chiude con una lunga parete composta di disegni, taccuini, appunti, maquette, diapositive e negativi, una vera e propria installazione “site specific”, realizzata insieme alla sorella, l’artista Chiara Pellegrin, che racconta il “making of” del suo studio e consente di immergersi nella complessità del processo creativo del fotografo.

Svizzera, 2020.
©Paolo Pellegrin/Magnum Photos

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Emanuele Rebuffini