Fotografare l’istante. André Kertész a «Camera»

Attraverso 150 scatti, CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia rende omaggio ad André Kertész, uno dei fotografi più influenti del Novecento. Dagli scatti iconici con protagonista Parigi ai nudi distorti. Un artista che ha saputo trasformare la banalità quotidiana in apparizione poetica. Fino al 4 febbraio.

André Kertész.Le Daisy Bar, Montmartre, Paris, 1930

Per lui la fotografia era un diario intimo visivo, uno strumento per descrivere il quotidiano della vita, fissare le caratteristiche delle cose, cogliere il mondo nei suoi squarci di umile monotonia trasformando la banalità in visione poetica. “Fotografavo tutto ciò che avevo intorno, uomini, animali, la mia casa, le ombre, i contadini, la vita. Ho sempre fotografato ciò che l’istante mi rivelava”. Realizzata da CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, in collaborazione con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie (MPP) di Parigi (che conserva gli oltre centomila negativi e tutti gli archivi donati dal fotografo allo Stato nel 1984), la mostra antologica «André Kertész, L’opera 1912-1982», curata da Matthieu Rivallin e da Walter Guadagnini, rende omaggio attraverso 150 fotografie ad uno dei più influenti fotografi del Novecento, un anticipatore per libertà visionaria ed abilità compositiva, tanto da far dire ad Henry Cartier-Bresson che “Tutto quello che abbiamo fatto, o che abbiamo intenzione di fare, Kertész lo ha fatto prima”.

André Kertész. Violiniste aveugle, Abony, 1921

Nato a Budapest nel 1894, si avvicina alla fotografia come autodidatta. Nel 1917 con il celebre scatto del “Nuotatore”, con l’acqua che lo deforma, Kertész già mostra la capacità di trasformare la quotidianità in immagini sospese tra sogno e apparizione metafisica.

André Kertész. Seuphor sur les pont des Arts

Si trasferisce in Francia nel 1925 e nella Parigi capitale del mondo culturale degli anni Venti e Trenta realizza scatti iconici: le strepitose nature morte nello studio del pittore Piet Mondrian; i ritratti di personaggi che hanno fatto la storia della cultura e del costume del Novecento, dal regista Sergej Ėjzenštejn alla musa Kiki de Montparnasse allo scultore Ossip Zadkine; le scene di strada, diurne e notturne, i luoghi dove Kertész cerca, secondo le sue stesse parole, “la vera natura delle cose, l’interiorità, la vita”, realizzando immagini che hanno contribuito in maniera decisiva alla creazione del mito della capitale francese nella prima metà del secolo (si pensi ai volumi “Paris vu par” e “Day of Paris”). Frequenta gli ambienti dell’avanguardia, fotografa caffè, parchi, tetti, la Senna, lavorando per testate popolari come “VU” e altre più raffinate come “Art et Médecine”.

André Kertész. Danseuse satirique, Paris, 1926

Nel 1936 emigra negli Stati Uniti, dove collabora con le riviste del gruppo editoriale Condé Nast, tra cui “Vogue”, “House and Garden” e Glamour, realizzando scatti spettacolari che immortalano il porto di New York e lo skyline della Grande Mela.

André Kertész. Reflet d’un gratte-ciel dans flaque d’eau, New York, 1967

A partire dal 1962, Kertész assiste al riconoscimento della propria opera da parte delle istituzioni e del grande pubblico: si susseguono le esposizioni alla Biennale di Venezia, alla Bibliothèque nationale de France e al Museum of Modern Art di New York. L’artista torna di frequente a Parigi che continuerà a fotografare fino al 1985, anno della sua morte. La città in generale, e in particolare la Ville Lumière, è al centro di alcune sue pubblicazioni come “Sixty Years of Photography” (1972), “J’aime Paris” (1974) o “Of Paris and New York” (1985).

André Kertész. Les mains de ma mère, 1919

Tra le opere più interessanti in mostra troviamo la serie delle “Distorsioni”, giochi ottici surrealisti. realizzati tra il 1932 ed il 1933 per la rivista umoristica “Le Sourire”, in cui i corpi nudi di due modelle si riflettono negli specchi deformanti dei baracconi del luna park.

André Kertész. Distorsion n°40, Paris, 1932-1933

www.camera.to

Emanuele Rebuffini

André Kertész. Jour pluvieux, Tokyo, 1968