Andare in montagna.  Primo Levi e le ossa della terra

“In montagna è diverso, le rocce, che sono le ossa della terra, si vedono scoperte, suonano sotto le scarpe ferrate, ed è facile distinguere le diverse qualità: le pianure non fanno per noi”. Così Primo Levi scriveva nel 1975 in Piombo, un racconto del Sistema periodico. «Le ossa della terra» è il titolo della mostra ideata e prodotta dal Museo Nazionale della Montagna di Torino e curata da Guido Vaglio e Roberta Mori, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino e con il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte, che esplora il legame poco conosciuto tra Primo Levi e la montagna.

Primo Levi alla Capanna Margherita, sulla vetta della punta Gniffetti al Monte Rosa, anni Sessanta.

La mostra si compone di fotografie storiche, oggetti inediti, documenti, volumi, manoscritti ed estratti video provenienti da archivi pubblici e privati, oltre che dai familiari dello scrittore, e contribuisce a fornire un’immagine ancor più ricca e sfaccettata della personalità del grande scrittore (testimone, scienziato, narratore e uomo di montagna).

Primo Levi a Champdepraz, in Valle d’Aosta, nel 1980.

Per la prima volta è esposto al pubblico un paio di sci che testimonia la breve esperienza partigiana di Primo Levi. Gli sci furono lasciati dallo scrittore ad Amay, in Valle d’Aosta, dove fu arrestato nel dicembre 1944 insieme con altri partigiani della piccola banda di Giustizia e Libertà, tra cui Vanda Maestro e Luciana Nissim deportate con lui ad Auschwitz.

Quegli sci furono poi utilizzati dal partigiano Ives Francisco per fuggire in Svizzera. In montagna Levi aveva appreso virtù fondamentali quali la pazienza, l’ostinazione, la sopportazione, così come l’allenamento alla fatica e al disagio, che gli risulteranno utili alla sopravvivenza nel lager.

Dopo la guerra, sarà ancora la montagna a favorire e consolidare l’amicizia di Levi con altri due protagonisti del Novecento: Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli, testimoniata in mostra dalla pietra con incisione della poesia A Mario e a Nuto. Levi fece incidere la poesia su una pietra di fiume per suggellare una sorta di patto «di cui la montagna da cui quella pietra veniva costituiva in qualche modo il testimone, come se la montagna rappresentasse l’occasione di un nuovo inizio» (Marco Revelli).

Replica della pietra del fiume Po con incisa la poesia di Primo Levi A Mario e a Nuto, donata da Levi a Revelli nel 1987. Autore: L’Arc. Arcieria Amatoriale e Sperimentale di Villar San Costanzo (CN), 2023.

Il percorso espositivo si articola intorno ad otto parole chiave-Natura, Materia, Letteratura, Trasgressione, Riscatto, Amicizia, Scelta, Liberazione-che riassumono l’essenza dell’amore dello scrittore per la montagna. Andare in montagna significava per Levi tante cose insieme: l’incontro con la natura e con la materia, la nascita di amicizie profonde (Sandro Delmastro, Alberto Salmoni, Ada Della Torre, Bianca Guidetti Serra, Eugenio Gentili-Tedeschi), l’emancipazione dal fascismo e la scelta resistenziale, la sfida con se stesso, l’orgogliosa rivendicazione di libertà, l’allenamento alla fatica e alle privazioni.

Intervista di Alberto Papuzzi a Primo Levi sulla “Rivista della Montagna”, marzo 1984.

http://www.museomontagna.org

Emanuele Rebuffini