Referendum: guai a chi si astiene!

Sappiamo che il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare. Un diritto importantissimo. E questo basterebbe a non rendere necessaria alcuna esortazione a recarsi alle urne e a chiarire quale clamoroso insulto a questo momento collettivo di partecipazione e potere sia quello di chi invita a disertare il voto, lo snobba, dichiara allegramente di astenersi.

Ora più che mai poi, benché non sia un obbligo giuridico, è un dovere morale, civile, sociale. E’ un appuntamento di speciale rilevanza, su questioni di notevole interesse, in un momento molto delicato per la nostra comunità. Questo dovrebbe farci avvertire con forza l’impegno verso i nostri concittadini, verso il nostro Paese.

E’ una chance che non possiamo e non dobbiamo perdere, ecco.

A parer mio tutti i votanti avrebbero ragione di chiedere il risarcimento dei danni agli astenuti qualora non si raggiungesse il quorum. Nessuno può giocare così sulla pelle di tutti, accidenti! E quei politici che oggi invogliano a rinunciare all’espressione di voto o hanno la sfacciataggine di parlare di libertà di non pronunciarsi si assumono la responsabilità di aver svilito e offeso una sublime occasione di democrazia.

Non c’è libertà possibile se nuoce gli altri, su questo è impossibile transigere. Qui e ora, peraltro, nuoce con sorrisi beffardi. E questo mi fa arrabbiare ancora di più.

Votate secondo coscienza, naturalmente.

Sarà più facile ingoiare il rospo di un eventuale esito che non condivido piuttosto che scoprire un popolo pigro, schiavo, indifferente, smorto che non scatta energicamente per un si o per un no.

Ricordatevi anche che votando dimostrerete che non è così facile strapparci tutto, che non siamo completamente rincitrulliti, che abbiamo voglia di essere uomini e donne del nostro tempo e della nostra vita.

 

Il sesso della politica

Il neo sindaco Piero Fassino riceve le prime critiche del mandato per aver tradito la promessa di un trionfo femminile nella giunta comunale torinese. E’ uno scivolone. Ma francamente ritengo che l’errore, improvvido e grossolano, stia tutto nell’infedeltà a promesse e proclami più che nella sostanza delle scelte.

La questione è generale, Fassino fa le spese di un equivoco culturale collettivo.

A me battaglie e conquiste su quote rosa e dintorni sono sempre arrivate come mortificazioni, contentini, ipocrisie. In una società civile avanzata, quale dovrebbe o potrebbe essere la nostra, non hanno dignità le “concessioni” alle donne.

Le discriminazioni, lo so, non sono discussioni di lana caprina. Ma non vi è nulla che le perpetua più delle forzature di finta e buona apertura. Le parole non servono. L’attenzione pelosa a rispettare formalmente l’accesso delle donne a ruoli e carriere sembra proprio la classica maschera per nascondere il volto della realtà.

Nel ventaglio di papabili la preferenza deve andare al talento, alle competenze, al merito. Non può essere espressa alle donne per cerimonioso ossequio a una regola di quiete sociale e di modernità di pensiero. D’altra parte conosciamo già bene il rischio di tanto apparente rispetto delle donne…Non è collocando in posti di rilievo qualche bella o ricca marionetta o affidando incarichi e tributando pubblici onori ad appariscenti signore che si riconosce davvero il valore delle donne!

Le donne, quelle vere, hanno un grande patrimonio utile per la politica, l’economia, la scienza, l’arte. E credo debba semplicemente essere naturale la loro affermazione. Devono impadronirsi serenamente della scena e non essere catapultate sul palcoscenico da uomini indulgenti, padri padrone, protettori et similia.

Tutto ha un tempo, signori. Anche l’urlo femminista. E tutte le sue conseguenze, incluse quelle meno nobili e più devastanti. Adesso la svolta culturale non è la parità teorica, sancita, consacrata e sbandierata. Dovremmo tendere alla gloria delle meravigliose diversità per un incastro costruttivo, armonioso, lungimirante, umanamente ricco.

Ripensare agli uomini e alle donne in termini di essenza, inclinazione ed effettività è la sfida più importante da affrontare per il presente e per il futuro. Senza stereotipi, senza licenze di stupidità, senza fronzoli di scherno.

E se mai le donne fossero tentate da qualche felice esibizione di “superiorità” potrebbero ignorare gli ammiccamenti, dimostrare che non si lasciano comprare da un posto al sole, fare scalate oneste, mettere in risalto la testa più del corpo ad esempio.

Mi rattrista insomma la polemica su ciò che alle donne deve essere calato dall’alto. E mi  rattristerebbe assai dovermi convincere che gli uomini sono così sciocchi o feroci o deboli da voler trascurare e intralciare l’apporto utile delle donne.

 

Ballottaggio

Nel carnet delle scelte linguistiche possibili, ballottaggio è quella che fa rima con brigantaggio ad esempio. Ma anche con lavaggio o vantaggio, indubbiamente. E, ironia della sorte, con selvaggio. Selvaggio come il killeraggio, pertinente neologismo in bocca a tutti. A voler rimare c’è da augurarsi che il retaggio di vecchie e sporche logiche non ostacoli un morbido atterraggio elettorale.

Un gioco non troppo leggero, quello delle parole. Armi aguzze e illuminanti, se sappiamo coglierne i segnali e le combinazioni. O gli apparentamenti, per restare in tema di alleanze politiche. Ecco, gli apparentamenti. Altro vocabolo ansiogeno. L’idea dei patti di sangue fuor dai legami di natura o dei matrimoni di interesse evoca inquietanti scenari. I primi per la loro matrice equivoca o criminale, i secondi per lo spettro del facilissimo divorzio pochi giorni dopo la celebrazione in sede di seggio.

In verità oggi mi trastullo con questi esercizi di acrobazia tra il serio e il faceto solo per dribblare l’attesa. E, un po’, per esorcizzare la tentazione di spararle più grosse. Qui, nell’angolo di cronache del costume, la politica è una cosa seria. Di pensiero, di aspirazioni, di principi, di cultura e di umana morale. Non un urlo di schieramento ma un impegno di idee, valori, prospettive. Addirittura di ideali, ovvero quelle eccellenze spirituali che non si possono quasi più pronunciare o professare pena l’etichetta di barbosa cariatide di un tempo sepolto.

Insomma non sono qui ad esternare inclinazioni di voto ma, se mai, a praticar l’arte della riflessione intellettuale. Senza presunzione di virtù, ovviamente. Ma con la fervida passione della comunicazione franca e ossigenata.

Non disertate l’occasione. L’astensione non nuoce solo al risultato. Fa male innanzi tutto alla consapevolezza di tutti. Abbiamo il diritto e il dovere, come cittadini, di sapere che popolo siamo, cosa vogliamo e quale essenza esprimiamo. Senza veleni, fuori dai furori e dai depistaggi (che il caso vuole in rima con ballottaggi!).

Non siamo ancora al momento di una sana e autentica rivoluzione. Nessuna svolta clamorosa si è compiuta nel cuore della nostra società, purtroppo. Quindi l’andazzo politico non è ancora alle corde, comunque vada.

Però capire come la pensano i nostri connazionali, i nostri compagni di strada insomma, è un’esigenza vitale. Facciamo solo i nomi legati alle due grandi città, Milano e Napoli: Pisapia o Moratti, Lettieri o De Magistris rappresentano possibili trionfi di realtà profondamente diverse. Non ci possiamo sottrarre alla scelta, è un atto dovuto verso gli altri cittadini, verso il Paese.

Almeno per non essere ostaggio dell’indifferenza e dell’irresponsabilità, buon ballottaggio a tutti.

Uguaglianze diverse

Libertà, uguaglianza, solidarietà, parità. Giuridicamente me ne sono fatta una pelle. Di certi principi ho fatto il pieno con trasporto. Equità, ragionevolezza, valori di nobiltà assoluta, di cultura avanzata, di democrazia.

Ma in pratica la storia scrive altre pagine. Fatichiamo a sostenere il disagio in famiglia, sul lavoro, tra gli amici. Figuriamo nel macro cosmo della società allargata.

Lo vediamo ignobilmente nelle relazioni con deboli e bisognosi, lo tocchiamo scioccamente o ipocritamente con l’omosessualità, lo respiriamo angosciosamente con l’immigrazione.

Mi disgusta e mi terrorizza il cinico sprezzo dei duri, degli intolleranti, di quelli che non sopportano le umane sfumature e tanto meno sono disponibili a condividere con tutti luce e cammino. D’altra parte mi preoccupa e mi infastidisce la retorica delle aperture facili, della fratellanza universale a portata di mano, dell’indulgenza totale.

E’ tragicamente più facile che mantengano intenti e promesse i primi dei secondi, accidenti. In questi tempi di egoismo frenetico, di panni sporchi, di spocchie lussuose ed effimere, di impoverimento culturale, di deficit d’amore e di giornate troppo piene di niente per lasciar spazio a qualche alito di autentica umanità quello che urlano i primi è comodo, spaventosamente realistico, tristemente compreso, quello che proclamano i secondi è manciata di parole che non arriva a scaldare la pelle e a convincere.

Ciondoliamo tra i fustigatori delle diversità e coloro che le agitano come bandiere, senza neanche notare quanto la diversità è somiglianza.

Credo che la nostra dimensione spirituale abbia bisogno di potenti iniezioni di saggezza, volontà, passione. Perché dobbiamo affrancarci dalle persuasioni scivolose, dall’arroganza, dalla sciatteria, dalla crudeltà. Dobbiamo ritrovare la fierezza della nostra natura e tirar fuori dalla naftalina il pensiero.

Altro che questioni intellettuali di civiltà. Questa è una grande causa di pura sopravvivenza. Non possiamo più fare sconti ai lupi e lasciar morire gli agnelli. E non dobbiamo più stordirci di chimere vergognose. Se abbiamo imparato che non c’è un mondo del bene che possa cancellare quello del male, dobbiamo imparare però anche che la giustizia, la comunanza, la sensibilità sono scelte obbligate per le persone di buon senso e sani sentimenti. La ruota gira e possiamo sempre ritrovarci a soffrire quello che abbiamo fatto patire agli altri. Ecco, ricordiamoci questo per partire se proprio abbiamo bisogno di qualche stimolo per accendere i motori. 

Non esistono formule magiche, in verità.

Ma esiste il senso di orientamento. E anche qualcosa che non vi piacerà ma è importantissima: la difficoltà. Non possiamo credere che ci sia dato godere di sciolte esistenze, incuranti degli affanni altrui, refrattari alle regole e al buon gusto, apatici alle pene collettive. E’ ora di capire che a maniche rimboccate, con la dignità che gonfia il petto e la carità in testa possiamo fare la rivoluzione.

Coraggio!

Politici nudi

Ci vorrebbero occhiali capaci di mostrarci i politici nudi mentre predicano in tv, gesticolano ai congressi di partito, straparlano in conferenze stampa, bisbigliano sbadigliando nelle aule di palazzo.

Tempo fa, ne Il Gabinetto dei potenti, mi dilettavo a immaginarli in fisiologica seduta di evacuazione fecale. Oggi li umanizzo figurandomi le loro nudità. Non è un esercizio sciocco. Spogliarli sdrammatizza le apparenti compostezze del ruolo, squarcia il velo di maschera e belletto, sgonfia il timore riverenziale. E tutto sommato ricorda anche a loro che sono uomini e donne, solo uomini e donne.

Non è che a renderli comuni ci vogliano l’impaccio della cellulite, l’invecchiamento, la curva flaccida. Se mai ci sono la viltà, la sfacciataggine, la preparazione, lo zelo, la disonestà, la miseria o la virtù insomma.

Ma mi piace l’idea di un teatrino politico in mutande e calzini o in reggiseno e perizoma. Non è insolenza. Anzi, forse è una declinazione realistica della loro recita. Non pensiate che io alluda solo a indecenti figure che danzano nel loro stesso dissoluto costume. Mi riferisco alla immediatezza, alla verità, alla natura che la nudità evoca.

Figuratevi questa schiettezza di membra allo stato brado mentre proclamano vittorie, fanno accordi, promettono apparentamenti, prendono le distanze da schieramenti di ballottaggio e altre simili amenità. Guardateli ignudi e disadorni che tradiscono, feriscono, si vendono, si offrono, complottano.

Patetici, ripugnanti, audaci o fragili. Anime vinte e avvinte dal gigantesco macigno del denaro e del potere. Tra ricatti, ripicche, ambizioni sfrenate e schiavitù. Perché questo casino di sagome discinte rivela una dimensione tragicomica di degenerazione fulminante. Non sai se si prendono sul serio, se ci prendono in giro, se sono manovrati da forze occulte.

Provate a giocare con me anche voi. Slacciate loro le scarpe, toglietegli le cravatte, sfilategli i pantaloni, svestite le gentili signore delle loro camicette di seta.

E’ un modo come un altro per chiarirsi le idee, qualora le aveste ancora confuse…

Salta come un Grillo

Il Movimento a 5 stelle si profila come la grande rivelazione di queste elezioni amministrative. Al dato eclatante di Bologna fanno eco altri risultati minori ma degni di nota a Torino, a Novara e in molti altri comuni d’Italia.

Sicuramente questa espressione di voto popolare sarà letta, in relazione alla perdita di consenso dei partiti tradizionali, come fuga e dispersione. In un certo senso, drammaticamente, lo è. Perché il Movimento oggi non ha numeri da maggioranza e quindi inevitabilmente si pone come forza che sottrae sostegno a quegli schieramenti che hanno possibilità di amministrazione. Perché il Movimento proclama la rottura, si pone come elemento di azzeramento del sistema, auspica una svolta radicale. Insomma perché il successo del Movimento non può tradursi nel reale governo di qualche realtà locale e rende però faticosa la netta affermazione di un polo o dell’altro.

Ma questo poteva e doveva accadere, avremmo dovuto saperlo bene tutti, politici in primis. L’errore, se mai, era sottovalutare Grillo e la grande energia del Movimento.

Probabilmente questo si confermerà come il vero banco di prova della buona volontà politica. Non sarà più possibile fare spallucce, schernire o disprezzare il Movimento a 5 stelle. Non è più il vezzo di un comico, è un moto di cittadini con idee, programmi, obiettivi.

Ovviamente sarà anche il banco di prova dei grillini perché quelli che siederanno nei consigli comunali dovranno tenere alta la bandiera che hanno sventolato in rete e nelle piazze, con le mani pulite e zelanti, la trasparenza, il rapporto di informazione e coinvolgimento con la base. Anche con le battaglie più rivoluzionarie e la decisa e profonda distanza dalla casta, dalla corruzione, dallo spreco, dalla disonestà, dal compromesso nebuloso.

Aspettiamo gli esiti completi degli spogli, gli eventuali ballottaggi e poi gli insediamenti definitivi. Però il Movimento a 5 stelle ha già raggiunto quello che poteva raggiungere: qualche trampolino di lancio per dimostrare la bontà di un grimaldello che scardini le vecchie e terribili logiche nelle quali il Paese si muove da anni o da decenni.

Al di là del pensiero politico e delle scelte di ciascuno questa prospettiva dovrebbe allettare e meritare il rispetto di tutti noi cittadini di questo tempo difficile.

Non credo che il periodo post elettorale sarà un comodo viaggio in discesa. Anzi. Temo proprio che metterà duramente il dito nella piaga. Il clima politico sarà, se possibile, ancora più incandescente nello sfibrato tessuto di un’economia e di una società che reclamano attenzioni serie. Però potrebbe richiamare tutti noi alla partecipazione e alla determinazione a vigilare. E sarebbe questo lo spiraglio di luce.

Superbia tout court

Superbia a tutto campo, esuberante, appiccicosa, perniciosa. Un baratro tra noi e la dignità. Una piaga, individuale e collettiva.

Non sappiamo più godere dell’umiltà di imparare, della serenità della virtù, del piacere di rispettare gli altri, le cose, la vita.

Stentiamo a capire che il senso del dovere, l’impegno, la responsabilità sono prima di tutto esercizio di riguardo verso se stessi. L’umiltà è il primo nutrimento che dovremmo dare alla nostra coscienza e alla speranza di un’esistenza sostenibile. Invece ci lasciamo attrarre dalla furbizia, dalla cialtroneria, dalla volgarità, dal menefreghismo.

Non è alta filosofia, intendiamoci. E’ un concetto semplicissimo di logica morale…o di morale logica.

Sgomitare, svicolare, trascurare, sopraffare sono comuni iatture dei nostri tempi. E, al di là del boomerang che ci investirà, tutto questo un effetto terribile l’ha già prodotto. Ed è l’impoverimento spirituale, culturale, sociale. Dove non c’è più la gloria dell’onestà, del merito, della dedizione non si può aspirare a un luminoso orizzonte.

D’altra parte, rapiti da ossessioni effimere e ansie di abbondanze materiali, abbiamo perso qualsiasi dimestichezza con il mestiere delle mani e del respiro ovvero con la voglia e la gioia di faticare, di sudare, di creare, di sapere, di camminare.

Belli e longevi, magari. Ma tristemente sviliti. Automi con un’anima posticcia e flaccida.

Abbagliati da qualche illusione e rassegnati alla superficialità giustifichiamo il lassismo con l’impotenza e l’arroganza con la dura legge del più forte. Senza equilibrio, senza misura. Come guitti scalmanati, confusi, imbizzarriti.

Superbia tout court.

Il gusto di Lady Gaga

Al di là delle polemiche morali e religiose, canzoni, concerti e video di Lady Gaga sono un fenomeno culturale “imbarazzante”. La questione non è tanto quella di incensare o censurare quella manifestazione eccentrica, provocatoria, irriverente, teatrale o trasgressiva. Quanto quella di capire il gusto dell’elaborazione apocalittica, estrema, paradossale.

Prescindendo dai contenuti insomma mi chiedo quanto sia sostenibile, umanamente e artisticamente, un’espressione così abnorme. Perché il suo successo è la misura di un gradimento e di un’attrazione incontenibili per l’esibizione sfrenata, la lacerazione deflagrante. Lo spettacolo lascivo, macabro e disgustoso si celebra in un rituale di trucchi, movenze, luci e scene che hanno tutta l’urgenza di scioccare e suggestionare. E il pubblico di affascinati seguaci di quello show di horror impudico, dissacrante, clamoroso si fa d’altra parte motore di sempre nuove impennate della diva Lady Gaga.

Questo è il punto: il mercato plaude a quella maschera che oltraggia i confini della bellezza, dell’eleganza, del rispetto. E non credo che la ragione affondi in qualche messaggio positivo che si voglia intravedere in quella stravaganza che può infrangere le ipocrisie delle apparenze. Prima di questo, ammesso sia una valutazione possibile, c’è l’aspetto sociale generale. Ovvero c’è una platea di riferimento che in quella profanazione sguaiata del buon gusto trova abbondanti motivi di eccitazione, entusiasmo, piacere.

Non credo sia un inno alla libertà. Affranchiamoci da questa smania di sventolare la libertà per giustificare e permettere qualsiasi cosa, anche la più turpe o la meno civile!

C’è solo un’insoddisfazione patologica. Uno stordimento pericoloso. Un’ossessione spaventosa. Violare e beffare la decenza non è una conquista di cui andare fieri, accidenti. Eppure oggi è coraggioso sostenerlo.

Non è un processo a Lady Gaga, ovviamente. Temo al più che scrivere di lei, nel bene o nel male, non faccia che alimentare il mito…

E’ la rappresentazione di una realtà raccapricciante come certi suoi video appunto.

Il tempo vola

Non mi sento sciocca a pensarlo e a scriverlo. Anzi. Comprendo benissimo ora l’ansia da accumulo.

Questione d’età, credo. Se non sei così giovane da illuderti di avere tutto il tempo per qualsiasi cosa e così vecchia da poter accedere allo stato della rassegnazione, al dolore del rimpianto, alla quiete dei sensi, alla profondità della saggezza o alla rabbia un po’ sbilenca dei passi incerti e delle mani stanche, ti si appiccica addosso l’inquietudine. Perchè il disincanto e l’energia per fare entrano in rotta di collisione. Perché ti accorgi che hai bisogno di fermarti ma sai che farlo vuol dire perdere certi attimi per sempre. Perché ormai hai preso la misura ai minuti, ai giorni, agli anni e non basta l’inganno dei propositi, delle speranze, delle scuse.

Anche il fatalismo che puoi abbracciare per affidare serenamente al destino il bene e il male non placa il tormento. Ti sei abituato al senso di colpa, al rimorso, al conto da pagare, al sudore della conquista. E non puoi più assolverti.

Fai a pugni con i tuoi limiti e poi cerchi di fare la pace, ormai ti è chiaro che ti accompagneranno fino alla morte. Devi sopravvivere, insomma. Accettarli e accettarti. Con tutti gli errori, le mancanze, le fragilità.

E se un giorno ti chiama a uno sforzo immane, quello dopo provi a riprenderti il respiro nascondendoti agli occhi della fatica, della grinta, del dovere.

D’altra parte ce la metti tutta per godere un momento di felicità. Hai imparato che non puoi perdere l’occasione e devi abbracciarla con tutta la forza che hai.

Una giostra e molti capogiri.

Inutile tirare in ballo l’ottimismo. L’animo segue l’onda degli eventi, degli ostacoli, delle brutture. I pensieri corrono. Qualche volta quelli angoscianti svolazzano come nubi minacciose su tutto il cammino che compi per schivarli, tenerli a bada, confonderli con quelli meravigliosi. Ti ritrovi con le membra indolenzite e un velo di paura che sbiadisce pure i brillanti colori dei sogni.

Non è tutto drammatico, lo so. Talvolta il nostro turbamento percepisce nell’aria una sciagura che non c’è o, semplicemente, amplifica minuscoli segnali. Purtroppo qualche volta accade anche che lo sconforto con il quale ci muoviamo faccia svegliare il cane che avremmo dovuto lasciare tra le braccia di Morfeo.

Non dovremmo complicare la semplicità, ecco. Peraltro dovremmo avere anche una bussola per non perdere l’orientamento quando navighiamo in acque troppo agitate…

Mi chiedo se a ciascuno tocchi davvero solo di portare il fardello che è in grado di sopportare. O se qualcuno è baciato dalla fortuna di una zavorra leggera e ad altri capiti il peso colossale.

Dovrei addentrarmi pure nella storia della qualità, del fardello intendo. Perché ci sono carichi con i quali, pur se grossi, si convive piuttosto allegramente e altri, invece, che alterano inesorabilmente ogni possibile equilibrio esistenziale. Ma il terreno è delicato e scivoloso, non ho alcuna voglia di infilarci il naso con le parole. Mi basta la prova sulla pelle. Anche questa, anzi, è una delle spine nel fianco della mia coscienza di oggi: le paturnie e i problemucci che molti lamentano come pena intollerabile non sono neanche degne di un posticino nel catalogo delle umane amarezze.

Il tempo vola. E alla fine mi auguro metta le ali anche alle ore di sofferenza.

Divieto di sballo

Un rave party finisce in tragedia, per i carabinieri gravemente aggrediti, per i ragazzi che a lucidità ritrovata fanno i conti con l’orrore dello sballo, per le famiglie trafitte da dolore e debolezza. D’altra parte non è la prima volta che un rave party svela violentemente l’incontenibile forza d’urto dello sballo.

Era inevitabile si levassero voci ad invocare la proibizione. L’onda emotiva è notevole e di fronte al dramma che esplode siamo sempre istintivamente inclini alla reazione viscerale. In fondo vorremmo poterci aggrappare a una misura magica: il divieto è vissuto come la soluzione forte e immediata, insomma. In verità l’esperienza insegna che vietare non è propriamente la panacea di tutti i mali. Anzi, il fascino della trasgressione è potentissimo e audace, purtroppo.

In ogni caso non possiamo negare o ignorare la realtà. E la realtà è che quello che accade a un rave party non è poi tanto diverso da quello che avviene in qualsiasi nottata dei fine settimana nelle nostre città. Ovunque è possibile riprodurre lo stesso viaggio malato…quel mix di stupefacenti, alcolici, musica assordante, luci schock e scombussolamento dei sensi è a portata di mano, non ha bisogno di boschi e appuntamenti più o meno segreti.

Il problema è lo sballo.

Che sia alcool o droga conta poco in effetti, quello che è inseguito con cieca determinazione è lo stato di sfrenata euforia o di stordimento totale. Una fuga, un antidoto al vuoto, un balsamo per l’insicurezza o una dichiarazione di disgusto per tutto quello che sta nei binari dell’ordinaria “normalità”. Eccedere è la parola d’ordine. Uscire di testa, forse. Mettere a tacere i pensieri. O trovare la forza di essere nell’esaltazione che può derivare solo da qualche pessimo miscuglio da ingoiare, sniffare o fumare.

C’è parecchio da indagare e riflettere su tutto questo, naturalmente.

Al di là delle notevoli questioni umane e sociali, c’è un’economia dello sballo che è davvero allarmante. I dati, le cifre dello sballo parlano chiaramente di un  fenomeno di massa. E chiunque bazzichi le nostre strade di notte, magari nei tanto agognati venerdì o sabato, non può non averne qualche misura.  

E’ un disastro allargato. Che rovina gli utilizzatori e mette a repentaglio molte possibili relazioni, l’assetto culturale, la vita civile.

Il processo ai singoli deve concentrarsi sulle loro responsabilità. Ma non possiamo fermarci a questo. Non è solo un rave a dover generare ansia o riprovazione. E’ quello che esprime, se mai. E cioè l’apoteosi dello sballo.

C’è sicuramente una colpa collettiva alla quale non possiamo sottrarci. E forse c’è anche l’urgenza di comprendere che non è proprio tutto piacere e libertà, ecco. Duro ad affermarsi, lo so, eppure tutto quello che allontana dalla coscienza intellettuale è non solo un pericolo, è un’offesa alla vita. Alla vita di tutti, se ci pensiamo bene. Perché la lacerazione umana, sociale, culturale presenta il conto, prima o poi, alla comunità intera.

Deve tornare di moda quello che abbiamo sepolto in nome della modernità. Ci vuole il coraggio di riparlare di educazione, di valori, di crescita consapevole. E, forse prima di tutto, di amore.