Antonio Mesisca: Nero Dostoevskij

NeroDostoevskijNero Dostoevskij è una pistola puntata alla tempia che invece di fotterti di paura ti fa contorcere dalle risate. Mica perché è una barzelletta. Macché. E’ una di quelle storie che, felicemente, non collochi. Alla faccia del genere letterario lui, Antonio Mesisca, fa surf in acque torbide e cristalline insieme. Così, per lucida fantasia o per squinternato realismo.

Prende alla pancia, Nero Dostoevskij. Innanzi tutto per il ritmo. E se questo pare una sorta di complimento minore, vi sbagliate di grosso. Insomma qui non è la scrittura, pur fluida e incalzante, a dettare il tempo. E’ la trama –noir, rock, esilarante, conturbante- a serrare il lettore in un abbraccio forsennato e incantevole.

Nella spirale della ricchezza e del gioco d’azzardo, Oscar Peretti, sfigato  e assassino, è uno di noi e ci porta a spasso nella variegata bestialità di un microcosmo di sentimenti slabbrati, malfattori contorti, macchiette di un verismo volutamente stiracchiato, avventure destre e sinistre.

Sullo sfondo delle risaie che, beate loro, stanno benone alla faccia di chi si illude che sognino il mare, il bandolo della matassa c’è ma non si trova, non c’è ma si trova.

A cavallo tra le questioni irrisolte, del nord, del sud, della sorte che li allea contro chi non è del nord e non è del sud, Antonio Mesisca mette in sella un frullatore a tutta velocità che mescola una quantità di personaggi, situazioni, stati d’animo talmente grotteschi da non esserlo affatto.

Gioca alla grande, con il paradosso del caso che spesso assomiglia, molto, alla realtà. Almeno quella dei pensieri. Mette insieme e muove i fili di una commedia della rabbia, del dolore, dell’assurdità, della banalità che ci attorciglia, ci strizza e poi ci stende al sole ad asciugare. Smaschera anche un po’, sicuramente. Magari con quel cinismo esasperato o quella frecciata buttata lì, a parole sottili. Già, ci ha messo dentro le osservazioni di anni e anni, Mesisca. Ma anche quella burla sfegatata che fa luce su ogni cosa.

Infatti tra un’avida incallita gioielliera, un manipolo di più o meno loschi figuri, le bizze dei signorotti, l’Oscar Peretti, un simpatico puttaniere, un investigatore corroso dal ruolo e le più tenere o tenebrose comparse,  Nero Dostoevskij fa trionfare una comicità dark, sporca, grassa e proprio per questo travolgente.mesisca_nero_dostoevskij

L’uomo è di pasta geniale, buona, stravagante, perfida, miserabile. E bisogna farsene una ragione. No, non per rassegnarsi. Per vedere meglio. Sotto la crosta. E non la tiro lunga con il bene e il male che si annidano in chiunque e ovunque, preferisco leggere Nero Dostoevskij come un sublime diversivo all’arte della bellezza piatta. Uno sfogo, una provocazione, una scarica di adrenalina, un moto di irridente saggezza…Mi piace, irridente saggezza.

Perché lui, Antonio Mesisca, è un mix di dolcezza e arguzia. Chissà come gode, ora. E io ne sono felice, molto felice.

Chapeau a scena aperta.

Antonio Mesisca, Nero Dostoevskij, Catrame noir, Scrittura&Scritture.

Brutto gay

superman_wonderwomanjpgSarai bella tu. Al massimo fuori, s’intende. Che dentro hai un inferno, di bruttezza. E forse non è neanche tutta colpa tua. Anzi, certamente.

La giovane che si è accanita e ha scatenato l’ira dei suoi amici contro un ragazzo eterosessuale scambiato per omosessuale solo perché guardava il suo fidanzato ha dalla sua davvero una cultura ridotta a una povertà spaventosa.

Mica certe avversioni nascono perché qualche furbo profittatore di umane debolezze inneggia al machismo, sono radicate in una ben più diffusa barbarie spirituale. E’ una specie di orribile logica di forza, schemi, catene. Già. Magari all’ombra delle libertà del progresso, della canna selvaggia, dei costumi disinibiti o di chissà cos’altro, sono cresciuti a dismisura i limiti intellettuali.

Il cervello ce lo siamo bevuti in qualche cocktail micidiale, il cuore ha smesso di battere in pieno arresto emotivo. E sbrachiamo con una disinvoltura violenta, arrogante, idiota. Non abbiamo neanche più vergogna, della nostra ignoranza, della nostra insensibilità, della nostra grettezza. Anzi. Lo sfascio collettivo sta proprio in una spavalderia sbrodolona e cafona.

Tette e muscoli sono i simboli della nostra inconsistenza culturale. E non perché le forme siano da condannare, ci mancherebbe. Perché ci hanno resi incapaci di vedere davvero, di guardare oltre il naso, di capire, di amare, di crescere. Ci siamo chiusi in un recinto e abbiamo incautamente buttato via la chiave. Altro che orizzonti allargati e modernità, siamo sprofondati nel peggior vicolo cieco della storia. Sempre contro, dall’alto di chissà quale assurda superiorità. Con una sentenza di condanna pronta in tasca da sbattere in faccia al primo che osa respirare. Pieni di etichette da appiccicare a questo o a quello, perché è gay o chissà o cos’altro.

Che poi il ragazzo menato e finito in coma non sia neanche gay è proprio la faccia mostruosa di questa realtà fatta di paure devastanti, pochezze asfissianti, superbie intollerabili. Già, in fondo un gay è uno che ha il coraggio di essere se stesso. Quelli che non ce l’hanno fanno prima a darselo facendo andare le mani o urlano brutto gay che cercando serenamente l’audacia di vivere il più serenamente possibile.

Oltre all’orrore c’è di più. A me una società che fatica a riconoscere uomini e donne come persone mette addosso un’indescrivibile infelicità.

Il mio Sebastiano Vassalli candidato al Nobel

Sebastiano Vassalli, candidato al Nobel per la Letteratura, è una notizia da brivido di piacere lungo la schiena.sebastiano_vassalli.pg

Ho letto i suoi libri e da ogni storia sono uscita più ricca. Lui che indaga nelle pieghe della condizione umana, che affonda la lama in epoche lontane, che ci consegna spaccati di vita e costume, che narra di piccole e grandi atmosfere di un tempo che la memoria potrebbe cancellare, è uno scrittore dal profilo austero, asciutto, intenso e defilato come i pensatori di una volta, lontani dal belletto della ribalta. Eppure, uno dopo l’altro, i suoi titoli mietono successi.

E’ proprio in questo mestiere ruvido e passionale il mio Sebastiano Vassalli.

Quello di Chimera e Cuore di Pietra che, al di là del campanilismo, ho amato visceralmente. Emozioni e suggestioni in una narrazione forte, decisa e originale.

Ma poi, sia detto, mica sono qui a fare il critico letterario.

Se mai rammento un episodio, un ricordo che mi sta a cuore.

vassalli_cuore_di_pietraParecchie voci lo davano per scontroso, burbero, scostante. Io non lo avevo mai incontrato per le vie di Novara, non potevo confermare o smentire, credere o dubitare. Un bel giorno è passato davanti a un bar, io l’ho visto da dentro e sono schizzata fuori senza troppo pensarci. Correndo l’ho raggiunto.

<Sebastiano Vassalli, mi scusi, mi spiace disturbarla, non la trattengo, volevo solo ringraziarla e stringerle la mano. Sa, sono una sua lettrice…>

<Oh…sono io che ringrazio lei. Grazie, grazie, davvero gentile>.

Ebbene, i presenti faticavano a credere che io avessi avuto quel guizzo di entusiasmo e ammirazione per uno scrittore. Tutti persi dietro a cantanti, attori e soubrette. Mah…!

Che il Nobel per la Letteratura sia suo, caro Sebastiano Vassalli! Onore al merito. E lustro patriottico.

Gli INVASORI occulti

Irene_foto profiloSu immigrati, sbarchi, accoglienza, crociate, intolleranza, Italia, Europa, Cronache di Costume soprassiede, tace, si chiude a riccio.

Francamente il veemente e sguaiato chiacchiericcio, a destra e a manca, gli scudi alzati e le braccia aperte per partito preso, le incoerenze, gli orrori, le facilonerie sono talmente approssimativi, idioti, inutili, sbracati e devianti che qualsiasi pacato ragionamento passa inosservato, resta inascoltato, non genera alcuna attenzione.

Quello che invece posso urlare, giusto perché a toni sensati nessuno si sintonizza, è che non vedo l’ora che, comunque la pensiate sulla questione, maturiate la voglia di liberarvi dagli invasori occulti. Che poi tanto occulti non sono, basta imparare a vedere. Sono quei laidi tarli che hanno fatto presa sui nostri cervelli infiacchiti dalla pigrizia e dai problemi. Ovvero coloro che ci sguazzano, nella nostra confusione, nella nostra debolezza, nella nostra ignoranza. E non solo. Pure nella nostra labilità umana e culturale.

Non mi schiero. Invoco solo presenza di spirito e cervello, accidenti. Senza onestà intellettuale non c’è che pantano. Pro e contro, storia, andamento sociale, risvolti economici, aspetti emotivi. Tirate in ballo quello che volete ma formulate pensieri coscienti invece di bere le idee altrui a occhi bendati e gusto in stand by. Se ce la fate aggiungete pure una manciata di malizia e di lungimiranza egregiamente mescolate. I paladini di una o dell’altra posizione, potete starne certi, fanno tanto baccano ciascuno per qualche tornaconto (chiamatelo ideologico o come diavolo vi pare), noi di strada magari saremmo capaci di comprendere più e meglio se ce ne ricordassimo.

Serenamente. Che, insomma, può anche non andarmi a genio che prevalga un indirizzo o l’inverso, ma sarà certamente più facile e giusto accettarlo se lo riconoscerò autenticamente consapevole.

Ecco, dovremmo essere forti e uniti per mettere al bando gli invasori occulti: ciarlatani a tasche piene, potere in mano, pelo sullo stomaco e battito cardiaco azzerato.

Irene Spagnuolo

Gli insulti a Morandi e Armani

La rete non è altro da noi, naturalmente.

A Gianni Morandi valanghe di insulti per aver ricordato, a proposito della recente tragedia nelle acque del Mediterraneo,gianni_morandi che anche noi abbiamo conosciuto l’emigrazione. Se mai l’unico ‘rimprovero’ che si poteva fare a Morandi era il verbo al passato, insomma pure oggi migriamo eccome per disperazione e mancanza di lavoro. Detto amaramente ciò non meritava toni di contestazione, questo secondo me è al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma quel che ha superato il livello di guardia dell’orrore di certi commenti che francamente faccio fatica perfino a riportare. Salvini forse impallidirebbe.

Oltre i problemi e i punti di vista, insomma, leggere certe frasi è come immergersi in un’umanità smarrita, devastata, praticamente bestiale se non offendesse le bestie.

D’altra parte c’è pure Donatella Versace, che non ho mai capito se è stilista o sorella di uno stilista morto ed ereditiera di quel patrimonio di nome e talento, che si scaglia contro Giorgio Armani il quale a suo dire vestirebbe zoccole.

Il trash in confronto è merce di una purezza ineguagliabile.

A ragione o a torto (affare squisitamente loro) la Versace di bocca colorita contro Armani molto danno non fa, credo. GA immagino abbia armi a sufficienza per scrollare le spalle e andare avanti serenamente.

Il pugno nello stomaco arriva dai binari paralleli. Corrono entrambe le notizie. Una di allucinante degrado culturale, emotivo, spirituale o come volete chiamarlo e l’altra di bassissima grazia presumibilmente per visibilità, posizioni di mercato, interessi e bla bla vari.

donatella_versaceAccidenti. Se Donatella Versace fosse impegnata ad ospitare qualche poveraccio in difficoltà non avrebbe tempo, voglia ed energie per occuparsi di Giorgio Armani e della relativa clientela. Se a Gianni Morandi invece di scaricare addosso la furia di egoismo, razzismo o ferocia si prestasse una lettura più aperta, sentimentale e virtuosa molti avrebbero le ali ai piedi.

Che dire? Misurare gli insulti sarebbe fatto di stile ed educazione. Ma qui c’è altro. C’è un gusto pericoloso, patetico, straziante per il proprio piccolo orizzonte. Nulla più che assomigli a valori belli e solidi. Nulla più da ammirare. Nulla più da rispettare. E una bagarre di eventi, vicende, cronache, situazioni che si contendono la scena come se fossero sullo stesso piano, avessero la stessa importanza, meritassero la stessa attenzione.

Già, alludo anche a questo, in tema di giornali e pagine personali e condivisioni e argomenti top e like e giù di lì.

Non sono io a mescolare il diavolo e l’acqua santa, a mettere insieme pipì e champagne e via di questo passo. E’ lui, il web, il nostro specchio, la nostra ombra, la proiezione della nostra idiozia.

Chi di cattiveria ferisce di cattiveria dovrebbe perire. Che faccio, ci spero?

Irene Spagnuolo

Caro Diego Dalla Palma: la bellezza della ‘povertà’…

DiegoDallaPalmaDiego Dalla Palma, ho letto quello che hai scritto sulla tua pagina facebook, la tua non quella di Diego Dalla Palma make up…

Di fronte all’ottusità di chi continua a vivere di sfarzi, di giornate effimere, di superficialità, di retorica e di egoismi si consuma il dramma di gente disperata, di bambini rapiti, massacrati e privati dei sogni. Così hai deciso di vendere i tuoi immobili, di vivere più modestamente con parte del ricavato e destinare l’altra a strutture o iniziative che aiutino orfani, giovani madri, vecchi in condizioni di bisogno, malati e profughi. Lanci l’appello affinché legali, commercialisti e associazioni ti supportino nell’intento.

Più che apprezzare capisco la volontà. In realtà non ho mai davvero compreso cosa se ne facciano i ricchi della ricchezza, i belli della bellezza, i fortunati della fortuna, se non trovano un po’ di equilibrio nell’armonia con il resto del mondo. Certo non è dato a pochi di sollevare le sorti dell’umanità intera ma sappiamo tutti, bene, che ci sono esistenze di sfrenato benessere che tengono le distanze da sacche enormi di sofferenza e indigenza e questo fa rabbrividire di orrore.

Rose_Guy_Green_Mirror-largeIl vero make up dovremmo farlo all’anima. Proprio così. Non so cosa ne penseranno le tue clienti e le estimatrici dei tanti prodotti, metodi, consigli estetici. Francamente me ne infischierei se non fosse che, forse, qualcuno già insinua che un buon proposito celi una qualche forma di promozione.

Potresti essere poco o troppo credibile, questo è il punto.

Esserlo poco tutto sommato potrebbe anche non nuocere ad alcuno e non nuocere te, se vai avanti con determinazione sulla tua strada. Esserlo troppo è più indigesto. Già. Fare atti di bella e, mi piacerebbe dire, naturale umanità sulla base di certe tue riflessioni si concilia con il culto dell’immagine?

Sai, a ridare valore alla vita, ai sentimenti, alla giustizia, allo spirito invece che al corpo, si finisce per dare un deciso colpo di spugna ai rossetti, agli smalti e agli ombretti.

Ma no, non è una battaglia fanatica. E’ un istinto. Semplice e liberatorio. Quanto più ci riconciliamo con il senso del nostro breve viaggio sulla terra tanto più ci disfiamo di ciò che è inutile e ingombrante. Quando impariamo a gioire d’altro non perdiamo un solo secondo a rimirarci allo specchio, caro Diego Dalla Palma. Ci prendiamo cura di noi in tutt’altra maniera, davvero.

E allora chissà. Chissà cosa succederà. A tutti quelli che seguono la tua pagina fb, a quelli cui la notizia rimbalzerà per altre vie, a quelli che ti identificano come ‘il profeta del make up made in Italy’, a quelli che acquistano i tuoi fantastici prodotti per capelli, viso, corpo.

Magari hai già messo in conto tutto. Tipo impennata o crollo di interesse, per esempio. Oppure come me stai a guardare, con curiosità, apprensione o speranza. Il tempo darà risposte, credo.

Intanto non posso che augurarmi un felice esito del tuo progetto. Di vita e di aiuto al prossimo.

Irene Spagnuolo

Il made in Italy extracomunitario

extracomunitari_made_in_italyCi sono aziende che alla faccia del made in Italy vanno a produrre all’estero. Alcune perché cercano più lauti profitti, altre perché in Patria sono strozzate dai balzelli e dalla burocrazia.

Insomma il made in Italy rischia ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, di prendere il volo.

Ma se anche le prime prendessero onestamente ad accontentarsi e le seconde fossero sorrette da un regime fiscale più clemente, il made in Italy sarebbe comunque seriamente compromesso. Sarebbe o è? Forse lo è già, infatti. E se uso il condizionale è solo per una sottile, piccola speranza. Quasi a negare la tremenda realtà.

Dove c’è da mettere le mani –e nel made in Italy c’è da mettere le mani- lavorano gli extracomunitari. Quelli lì, si, quelli che qualcuno ha in astio e vorrebbe cacciare. Quelli che arrivano da lontano, si rimboccano le maniche e imparano a fare il nostro gorgonzola, il nostro grana padano, il nostro vino d.o.c. e via via lungo quella quantità di prodotti eccezionali che la nostra storia ci ha lasciato in eredità.

Ora mi chiedo…non è che qualcuno ha la brillante quanto idiota convinzione che basti tenere la testa della ricetta?

Intanto chi sa fare ha le gambe lunghe e il cervello fino quindi non è che ci sta, a farsi prendere per il naso in eterno. Poi, diciamolo, quale testa resterà di questo passo? La memoria geniale muore e il resto non cresce. Perché, sia chiaro, la mente governa fin tanto che il corpo sta al passo. E la mente ha bisogno di toccare, altro che talento, scuole alte, scrivanie comode.

Per ‘riprendere’ il made in Italy occorre ritrovare la dignità. Che se vogliamo, sempre e comunque fa rima con umiltà e coscienza.

Irene Spagnuolo

Gli uomini ce l’hanno lungo

uomini_lungoGli uomini ce l’hanno lungo. Tutti.

(Che averlo duro è altra storia, lì ci vuole la camicia verde.)

Se cercate il risvolto eccitante abbiate l’ardire di leggere fino in fondo, lo troverete.

Insomma ce l’hanno lungo, l’excursus lavorativo. Che già faticavano in caccia e pesca quando ancora non c’erano le relative stagioni e le specie protette. Poi si sono inventati via via i mestieri di mani, le professioni di intelletto e finanche quelle deliziose applicazioni miste, di arte e talento.

Adeguandosi ai tempi o governandoli si sono improvvisati capaci di tali e tante virtù da far esclamare a loro stessi ogni possibile meraviglia. Hanno fatto, creato, realizzato, migliorato l’inimmaginabile. Fred e Burny ne sarebbero sconvolti. Un mondo di cose e di servizi, una quantità impressionante di comodità, un livello stratosferico di bellezza. Hanno pensato pressoché a tutto. Chapeau, uomini. Avercelo, lungo come il vostro!

Roba complicata, audace, strabiliante. Merito di fiuto, rotelle all’opera e sudore. Noi figli di questo tempo orami grandioso e progredito ci chiediamo solo dove sia finita tutta quella lunghezza. In quali meandri se ne sia perso lo spirito. Quale maledetto equivoco l’abbia attorcigliata sull’errore. Che deleteria smania ne abbia messo in crisi la bontà.

Che insomma, averlo lungo ma di poco pregio non è più il top.

Saranno stati i fumi dell’esaltazione, i tentacoli del denaro, i freni della viltà. Chissà. Magari qualche distrazione di troppo. O l’era glaciale? Già, può darsi sia sfuggito ai termometri comuni ma la lunghezza si è accorciata a causa del freddo. Capita, eccome.

E adesso se ne sta attorcigliato e rabbrividito nel torpore. La disoccupazione, certo. Ma non solo. Qualcosa si è ridotto, arrugginito, inceppato. L’avete forse arrotolato come una canna per annaffiare le piante riposta in un angolo del giardino? In stand by. O impaurito. O annoiato.

Senza più passione e rigore, direi. Ecco cosa lo fa così striminzito. Perfino ammosciato. E non è questo il caso in cui una certa morbidezza è gradevole.

No. Manca il nerbo. Il vigore della responsabilità. La sapienza della costanza.

Comunque visto che vi ho tenuti sulla corda fin qui nella vaga speranza di un colpo erotico voglio accontentarvi. Ad averlo lungo c’è chi ha goduto per anni, decenni, secoli. Perché rinunciare?

Irene Spagnuolo

La tua geisha

GEISHACaro uomo, in qualche modo hai ragione.

Una donna geisha merita, eccome, l’ammirazione e l’ambizione collettive. Ti piace, la geisha. Pure a me, piace.

La tua geisha però è una figura morbida, sensuale, accondiscendente, dedita alla cura della tua persona e del tuo benessere. La mia geisha è un’esperta in belle arti. Intrattiene, certo. La tua con calda disponibilità, la mia con la musica, il canto, la danza.

La verità è che nella tradizione giapponese la geisha non è una cortigiana o una prostituta di lusso, è un’amabile compagnia. E capita solo che in Occidente il concetto sia un poco confuso.

Ma poco importa, tutto sommato danno una lezione, a te e a me, realtà e immaginario. La geisha insomma è l’esatta proiezione di ciò che ci fa ‘sognare’.

Magari una donna desidera o si illude ancora di ammaliare con le virtù.

Magari un uomo è davvero ammaliato dalle virtù.

Si tratta di intendersi sull’idea di virtù!

Irene Spagnuolo

Less is more

Less is more. E se ancora non l’abbiamo capito siamo in ritardo, clamoroso.Less-is-More

Non accumulare il superfluo. Buttare il buttabile. Che forse si poteva cogliere la tradizione della notte di Capodanno per spogliarsi delle cose vecchie. Ma la verità è altra. Non deve essere un rito, un gioco, una resa alla scaramanzia.

Qui si tratta di liberarsi dalla zavorra. Delle troppe cianfrusaglie che ancora non ci siamo abituati a considerare tali.

Affrancarsi dalla smania. E soprattutto rasserenarsi. Quello che non possiamo avere, a meno che non sia essenziale, non ci serve, non ci renderebbe più felici, non farebbe più bella la nostra vita.

E non è una predica. A me, a dirla tutta, fanno venire pure un poco di orticaria, le prediche. Mi guardo bene dal menarne a destra e a manca, per carità. Constato, rifletto, vado convincendomi. Less is more. Infinitamente more!

In barba a quelli che con le cose ci hanno messo in catene, spezziamole.

Intravedo leggerezza e godimento a gogò.

Irene Spagnuolo