L’accesso aperto alla conoscenza scientifica

Via Vittorio Pasteris

Mercoledì 4 marzo alle 10, presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, si terrà, il seminario di studio dal titolo: “L’accesso aperto alla conoscenza scientifica: attori a confronto“. Temi dell’incontro saranno l’accesso alla conoscenza scientifica, il ruolo della conoscenza come patrimonio comune la produzione, divulgazione e circolazione della stessa.

La nostra è una società che, in misura maggiore che in passato, agisce e riproduce se stessa attraverso l’elaborazione della conoscenza. Come individui siamo chiamati a prendere decisioni e compiere scelte di cui è spesso difficile individuare implicazioni e conseguenze. Nella società dell’informazione, anche la conoscenza stessa e i processi che la gestiscono diventano oggetto di scelte tra alternative possibili.

Negli ultimi vent’anni alcune innovazioni tecnologiche e scientifiche hanno accentuato i dilemmi che riguardano il modo in cui guardiamo alla conoscenza: come frutto di uno sforzo collettivo in cui è talvolta difficile riconoscere con chiarezza i contributi individuali, piuttosto che come prodotto di professionalità altamente specializzate che rivendicano il diritto a vendere i risultati del proprio lavoro. Questi dilemmi coinvolgono soggetti portatori di motivazioni, valori, esperienze eterogenee: ricercatori e scienziati di base che lavorano in istituzioni pubbliche, aziende biotech, bibliotecari, editori commerciali, artisti e creatori di contenuti multimediali, studenti e semplici cittadini.

Questo seminario propone un’occasione di confronto tra alcuni di questi soggetti, a partire da alcune esperienze concrete condotte in questi ultimi anni. Lo scopo è quello di valutare voci e istanze diverse, alla ricerca di un possibile punto di incontro che salvaguardi la natura della conoscenza come patrimonio comune.

Science Commons

Science Commons ha il compito di incoraggiare l’innovazione scientifica, facilitando agli scienziati, alle università e alle industrie, l’uso di letteratura, dati e altri oggetti di proprietà intellettuale e la condivisione della loro conoscenza con gli altri. Science Commons si vale della vigente legislazione sul copyright e sui brevetti per promuovere strumenti giuridici e tecnici volti a eliminare le barriere alla condivisione.

Presupposti

La scienza dipende dall’accessibilità e dall’uso di dati di fatto. Grazie ai progressi nell’archiviazione e nel calcolo elettronico, l’indagine scientifica, in quasi tutte le discipline, sta diventando sempre più ricca di dati. Sia che si tratti di meteorologia, o di genomica, o di medicina, o di fisica delle alte energie, la ricerca dipende dalla disponibilità di database molteplici, provenienti da molteplici fonti, pubbliche e private, e dalla loro apertura ad essere ricombinati, esplorati ed elaborati agevolmente.

Le tradizioni statunitensi

Negli Stati Uniti, questo processo è stato tradizionalmente sostenuto da una serie di politiche, leggi ed usanze per lo più invisibili perfino a chi lavorava nel campo della scienza.
In primo luogo, il diritto americano sulla proprietà intellettuale (e, fino a poco tempo, quello dei paesi più sviluppati) non concedeva la tutela della proprietà intellettuale sui “meri fatti”. Si poteva brevettare la trappola per topi, ma non i dati sui comportamenti dei topi, o sulla resistenza a trazione dell’acciaio. Un articolo scientifico poteva essere sottoposto a diritto d’autore, ma i dati su cui si fondava no. La proprietà commerciale doveva essere limitata alla fase prossima al punto in cui un prodotto finito entra nel mercato. I dati al di sopra rimanevano a disposizione di tutto il mondo. In secondo luogo, la legge degli Stati Uniti imponeva che anche le opere del governo federale che potevano essere sottoposte a diritto d’autore ricadessero immediatamente nel pubblico dominio – una disciplina di grande importanza, a causa dell’enorme coinvolgimento dello stato nelle ricerca scientifica. In senso più ampio, la consuetudine, nel campo della ricerca scientifica a finanziamento federale, era quella di incoraggiare una diffusa disseminazione di dati a prezzo di costo o sottocosto, nella convinzione che, similmente alla rete delle strade interstatali, l’offerta di questo bene pubblico avrebbe prodotto incalcolabili vantaggi economici.
In terzo luogo, nelle scienze stesse, e in particolare nelle università, una forte tradizione sociologica – talvolta detta tradizione mertoniana della scienza aperta – scoraggiava lo sfruttamento proprietario dei dati – in quanto opposto alle invenzioni derivanti dai dati – e richiedeva, come condizione per la pubblicazione, la disponibilità degli insiemi di dati su cui si basava l’opera.

Innovazione tecnologica e attrito giuridico

Questi tre principi fondamentali si sono evoluti – con il passo naturalmente lento degli ordinamenti giuridici – da concetti che esistevano anche prima della Rivoluzione Industriale. Analogamente, la pubblicazione scientifica ha una tradizione assai antica. Le tecnologie moderne, e soprattutto l’impiego progressivo del World Wide Web come biblioteca, hanno cambiato per sempre il meccanismo della trasmissione e della riproduzione dei documenti. In molti campi i risultati sono pubblicati quasi alla stessa velocità con cui vengono ottenuti. Ma il diritto d’autore è mutato con un passo diverso. La combinazione del progresso della tecnologia moderna con un sistema giuridico progettato per un ambiente basato su una tecnologia diversa sta oggi producendo alcune conseguenze non volute. Una di queste è una specie di “attrito” giuridico che ostacola l’uso delle scoperte scientifiche e può condurre a scoraggiare l’innovazione.
Per contrapporvisi, una comunità ampia e vigorosa si è unita a sostenere il concetto di Open Access per la letteratura scientifica. “digitalizzato, on-line, gratuito, e libero dalla maggior parte delle restrizioni connesse al diritto d’autore e alle licenze”. I National Institutes of Health statunitensi hanno proposto un Open Access obbligatorio per tutte le ricerche da loro finanziate, a partire da sei mesi dopo la data di stampa, e nel Congresso c’è sostegno per questa iniziativa. La maggior parte delle riviste importanti hanno concesso agli autori il diritto di pubblicare per proprio conto delle versioni dei loro articoli peer-reviewed. Ma le questioni giuridiche sono ancora senza risposta: come un autore può rendere disponibile al pubblico la sua opera, pur assicurandosi di conservare qualche diritto su di essa?
Il passo diverso del cambiamento della tecnologia moderna rispetto diritto crea attrito anche altrove. Per esempio, nell’ambito della genetica, la disciplina sui brevetti si è approssimata pericolosamente a un diritto di proprietà intellettuale sui meri fatti – i C, G, A e T di una particolare sequenza genetica. In altri ambiti, complicati contratti per adesione creano diritti di proprietà intellettuale de facto sui database, completati da accordi di estensione e da molteplici limitazioni sull’uso. Sul piano legislativo, gli Stati Uniti stanno considerando e l’Unione Europea ha già adottato un “diritto sui database” che effettivamente concede la tutela della proprietà intellettuale sui fatti – mutando una delle premesse fondamentali della proprietà intellettuale: che non si possono mai possedere fatti o idee, ma solo le invenzioni o le espressioni prodotte dalla loro intersezione.
Anche il ruolo del governo federale sta cambiando. Ai sensi dell’importante e meraviglioso Bayh-Dole Statute, i ricercatori con finanziamento federale sono incoraggiati a cercare un uso potenzialmente commerciale della loro ricerca. Le università sono divenute partner nello sviluppo e nella mietitura dei frutti della ricerca. Questo processo ha prodotto, in molti casi, dei risultati stupefacenti, convertendo la scienza nuda ed essenziale in prodotti utili per molte industrie. Ma, di conseguenza, il perseguimento della commercializzazione ha risalito la corrente, raggiungendo, in qualche caso, i livelli della ricerca e dei dati fondamentali, e ciò ha creato complicati requisiti giuridici. Se i particolari possono diventare complicati quando la proprietà intellettuale incombente è un nuovo “metodo” per mettere alla prova l’attività biologica, ci sono ancora più problemi per la tutela tramite brevetto dei geni, delle proteine e delle funzioni che se ne derivano.
Il mero costo, in termini di tempo e di denaro, di un lavoro legale così complesso e multilaterale può mettere la proprietà intellettuale in fuorigioco – le spese legali, semplicemente, sono più costose di quanto il prodotto potrebbe guadagnare sui mercati aperti una volta fatto il lavoro legale. Questo ostacola l’innovazione scientifica, poiché il valore dell’informazione scientifica aumenta esponenzialmente se è connessa ad altra informazione scientifica, e si minimizza quando essa è tenuta segregata dal diritto.

Il sito Science Commons