L´auto ibrida Fiat nascerà a Torino, nello stabilimento di Mirafiori e sarà con ogni probabilità il monovolume L0, destinato a sostituire la Multipla nella gamma dell´azienda del Lingotto. Lo ha annunciato la presidente della Regione Mercedes Bresso, candidata del centrosinistra, ieri mattina davanti ai cancelli di Mirafiori dove alle 5 ha incontrato, insieme al segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani, gli operai che entravano in fabbrica.
Bresso ha rivelato di aver incontrato giovedì, con l´assessore regionale alla Ricerca, Andrea Bairati, Sergio Marchionne. «Non solo – ha spiegato – l´amministratore delegato del Lingotto ci ha rassicurato sul fatto che Mirafiori per la Fiat resta essenziale, il cuore progettuale dell´azienda, ma ci ha dato anche la disponibilità a collaborare sul piano della ricerca e dell´innovazione, per realizzare l´auto del futuro proprio a Torino. La prima auto a motore ibrido, termico-elettrico. L´ibrido a Mirafiori può essere una vera integrazione con quanto si sta facendo negli Usa con la 500 elettrica».
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La Torino elegante e perbene di Marchionne
Il Wall Street Journal racconta la Torino di Marchionne e dell’accordo Fiat-Chrysler
The holidays in Turin have certain rituals that set the city apart from others in Italy. That’s because Turin is home to the country’s largest manufacturing company, the multinational auto maker Fiat SpA, and like all big companies, Fiat is a sort of state within a state.
Besides traditional winter festivities, such as buying orange-colored boxes of handmade hazelnut chocolates at Gobino and stopping for a cup of hot chocolate mixed with coffee and cream at Café al Bicerin to fight off the Alpine cold, Turin offers parallel Fiat activities.
In this photo from 1955, Fiat 600s are driven on the roof track of the Lingotto factory in Turin. Like the car maker that calls it home, Turin, more than any other Italian city, mixes old with new, tradition with innovation.
Fiat auto workers’ kids receive gifts at the company’s annual Christmas party as the car maker’s sprawling Mirafiori factory shuts for the break. Fiat Chief Executive Sergio Marchionne delivers his annual speech to hundreds of managers gathered at the Lingotto—a former factory modeled on the Ford plant in Detroit where the Model T was born—that now houses Fiat’s executive offices.
This year, 2,000 Fiat managers either attended the speech or watched by video link from 300 sites including Brazil, Poland, and—for the first time—from Detroit. In one of the most startling deals to come out of the financial crisis in 2009, Fiat took a stake in Chrysler in a partnership backed by the U.S. government.
Underlining the links between Turin and Detroit, Mr. Marchionne arrived at the Fiat event this year in a Chrysler 300.
His speech was upbeat. But the jury’s still out on the future of both companies; 2010 is arguably a make-or-break year for Chrysler, and if the U.S. auto maker stumbles badly, so will Fiat. If it succeeds, the company could become a world leader. Fiat’s alliance with Chrysler has made Turin the headquarters of a global auto experiment—a move that makes locals both proud and extremely anxious.
Il futuro di Fiat a Torino
Marchionne parla di una nuova Mirafiori multifunzionale
Ma le notizie sui modelli, peraltro già conosciute, non si fermano qui. Marchionne spiega che Mirafiori sarà riorganizzata per «installare una linea di produzione del tutto nuova, che sia in grado di costruire contemporaneamente modelli diversi». Il reparto della lastratura sarà completamente rifatto. L’obiettivo è «ottimizzare la flessibilità del sito, saturare la capacità produttiva, migliorare l’utilizzo della manodopera, ridurre i tempi di formazione e le operazioni per ogni persona». Per Marchionne sono «interventi che cambieranno a fondo Mirafiori».
L’ad Fiat ha anche parlato della Bertone – vera novità dell’anno – riconfermando che lì, a partire dal 2011, si produrranno due modelli Chrysler di alta gamma con l’obiettivo di arrivare a una produzione di 50 mila auto all’anno. Marchionne si concede una battuta: «Credo che al di là del programma di lavoro la cosa più importante sia che questa iniziativa ci ha permesso di dare un futuro lavorativo a più di mille persone che non facevano parte del gruppo Fiat».
Difficile la situazione di CHN
Scadranno il prossimo 10 ottobre le 52 settimane di cassa integrazione ordinaria a disposizione della Cnh di San Mauro, nel torinese. L’azienda ha annunciato l’intenzione di passare alla cig straordinaria per evento improvviso e imprevisto per tutti i 700 dipendenti dello stabilimento. La richiesta di cigs sarà per un periodo di 12 mesi. Lo rendono noto i sindacati.
Con previsioni di mercato improntate al pessimismo nel breve periodo, il settore movimento terra passerà, sulla piazza europea, dalle 230 mila unità vendute nel 2008 alle 85 mila del 2009. Secondo quanto dichiarato oggi dalla Cnh, la crisi del comparto proseguirà almeno fino al termine del 2010. «Mi pare molto negativo ¨ commenta Federico Bellono della Fiom ¨ il fatto che sul settore movimento terrra, importante per Fiat e per capire l’andamento dell¨economia, ci venga detto che non si vedono segnali di ripresa. I lavoratori stanno pagando un prezzo salato. C’e la necessità che Fiat dica cosa vuol fare in italia».
Domani è in programma un incontro tra Cnh e sindacati al ministero del Lavoro, in cui sarà discussa la chiusura del sito di Imola (400 esuberi) e le prospettive per lo stabilimento torinese.
Bertone Passa alla Fiat
Si chiude l’odissea della vendita Bertone
Bertone dopo una difficile crisi e diversi colpi di scena viene ceduta al Gruppo Fiat. Il ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato i Commissari della Bertone a cedere l`azienda al Gruppo Fiat sulla base del piano industriale valutato positivamente dai Commissari stessi e approvato dal Comitato di Sorveglianza, che rappresenta anche gli interessi dei creditori.
Lo comunica il ministero spiegando che l`offerta Fiat «prevede un importo economico superiore a quello delle altre offerte e una prospettiva industriale a lungo termine». La cessione a Fiat – ha dichiarato il ministro Claudio Scajola, – consente di garantire il futuro di uno stabilimento storico dell’industria piemontese. Il piano prevede, infatti, il riassorbimento dei 1.137 dipendenti, che verranno gradualmente reinseriti nelle loro mansioni, e l’integrazione con la Chrysler per la produzione in Italia di alcuni modelli della Casa americana.
Fiat ha inoltre precisato che le risorse che saranno investite nel rilancio della Bertone, pari a circa 150 milioni di euro nei prossimi tre anni, sono aggiuntive rispetto al piano industriale del Gruppo per l’Italia e non andranno, dunque, a deprimere gli investimenti negli altri siti produttivi nazionali.
Blitz Fiat per Bertone
L´uomo di Detroit alla guerra di Grugliasco. L´idea che Sergio Marchionne potesse scendere in campo in «zona Cesarini» per conquistare la fabbrica della signora Lilli, era considerata una follia fino a domenica scorsa. Quando invece l´ad del Lingotto è inaspettatamente giunto in azienda per un rapido giro dello stabilimento, accompagnato da uno dei commissari straordinari che hanno il compito di trovare un acquirente per la fabbrica di corso Allamano. Una visita con pochi testimoni, che è servita a Marchionne per capire se e in quali tempi l´azienda fondata da Nuccio Bertone potrà diventare uno dei poli produttivi della futura Fiat.
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Fiat, altra cassa integrazione per gli impiegati
Altre 13 settimane di cassa integrazione agli Enti centrali della Fiat di Mirafiori e Balocco, dopo quelle cominciate a maggio e che si concluderanno a fine luglio.
Il provvedimento dal 24 agosto al 22 novembre riguarderà 345 addetti tra operai e impiegati. Lo ha annunciato l’azienda ai sindacati ai quali ha comunicato che alla ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, la cig interesserà per una settimana dal 24 al 30 agosto tutti i 4400 addetti del comparto. Cassa integrazione per tutti gli addetti anche tutti i venerdì dei mesi di settembre, ottobre e novembre.
“Per la seconda volta la Fiat annuncia 13 settiname di cassa integrazione agli Enti centrali, anche se questa volta il numero degli addetti è inferiore a quello precedente – commenta per la Fismic il segretario regionale piemontese, Vincenzo Aragona – è necessario, pertanto, che l’azienda individui un possibile ricorso alla mobilità per ridurre così l’impatto della cig sui lavoratori.
L'indotto pronto a lanciare la sfida
Fiat si cimenta nell´impresa di conquistare la Opel e nell´attesa l´indotto torinese applaude. Tra gli imprenditori c´è chi è ottimista e chi è più scettico, ma il parere unanime è che si tratterebbe di un´opportunità ghiotta per allargare il mercato. E i concorrenti? Non fanno paura. Neppure la canadese Magna, uno dei più grandi produttori di componenti del mondo, che si dice possa entrare nell´affare.
«Opel è un passaggio quasi obbligato per la Fiat. Per come si sta rivelando il mercato trovare un´alleanza sul mercato europeo sarà fondamentale. E con i tedeschi c´è il vantaggio che sono già state sviluppate alcune piattaforme», sostiene Vincenzo Ilotte, presidente dell´Amma, l´associazione che raccoglie le aziende metalmeccaniche torinesi. È lui il primo a vedere l´affare Opel come un´opportunità: «Ci sono potenzialità interessanti. L´accordo di alcuni anni fa con Gm lo ha già dimostrato, perché in quell´occasione molte aziende riuscirono a diventare partner anche del colosso americano. Fiat oggi si sta proponendo come una realtà che ha in mano un know-how composto da una parte “software”, che appartiene al Lingotto stesso, ed una “hardware”, che invece dipende dall´indotto». E Magna? «Non è una minaccia – risponde Ilotte – anche perché si tratterebbe comunque di un mercato che da due milioni di auto l´anno passerebbe a sei milioni: di carne ce n´è per tutti».
L’orgoglio di Torino
Raffaella Polato du Corriere.it
Il giorno dell’orgoglio. E della sfida. Quella però comincerà domani: oggi Torino tiene il solito profilo basso, lo sa che il merito è tutto di Sergio Marchionne, ma intanto che serata. Quattro anni fa il Lingotto era dato per spacciato. La Fiat era la preda di cui spartirsi le spoglie. L’auto italiana poca cosa, la sua tecnologia snobbata. Ora tenta la conquista dell’America. Chiamata a salvare l’auto nel Paese che l’auto l’ha inventata. La città che pensava di sparire dalla mappa mondiale del potere motoristico scopre che ora ne è, e potrà esserlo anche passata l’euforia della diretta sulla Cnn, una delle capitali. Forte proprio di quello che si diceva fosse il suo lato debole: le piccole vetture con cui, parole di Barack Obama, «ha dimostrato di saper costruire l’auto pulita del futuro». Grazie a Marchionne, sì, il manager «non convenzionale » che quattro anni fa l’ha portata oltre il baratro. Ma grazie, insieme, a quella tecnologia (tutta italiana) che lui ha ritirato fuori e però c’è sempre stata. Ce n’eravamo dimenticati. Ci eravamo scordati che siamo un Paese fondato sull’industria. La piccola e la media, la nostra ossatura. E la grande. Quella che può fare ricerca. Che fa da traino. Che muove tutto un sistema.
Fiat è rimasta una delle poche. Oggi che sbarca negli Usa, quasi invocata dal loro Presidente, l’orgoglio è giusto ed è di tutti. Anche se fino all’altro ieri proprio da dentro l’industria partivano insensate contrapposizioni piccoli-grandi, gli incentivi al settore — peraltro molto, molto più bassi di quanto nel frattempo arrivava nel resto d’Europa e negli stessi Usa — scambiati per «aiuti alla solita Fiat». La risposta di Marchionne è stata Chrysler. Lo sarebbe stata comunque. Il Lingotto che lui ha risanato, con il riconosciuto, determinante appoggio delle banche (e i risultati dimostrano quanto possa fare l’Italia quando si muove come sistema-Paese), da solo avrebbe magari potuto sopravvivere ma di sicuro non prosperare nel mondo dell’auto dopo la grande crisi. Come dice lui: Chrysler e domani, chissà, Opel o chi per essa — «è una necessità ». Come dice l’azionista, John Elkann: «Meglio, nel caso, una quota minore in una Fiat più grande ma forte ». Che poi alla fine è quanto sostenevano il nonno, l’Avvocato, e soprattutto lo zio Umberto Agnelli. E qui però finisce l’orgoglio e comincia la sfida. Subito. Adesso. Marchionne ha dimostrato una volta che «si può fare ». Ora la scommessa è più che moltiplicata. Non sarà uno scherzo rivoltare Chrysler, integrare due (per ora) aziende, rimpolpare quella squadra snella che con lui ha firmato il successo Fiat ma che a questo punto lo sarà un po’ troppo, snella. Non tutti, nemmeno lui, possono reggere più di tanto il pendolarismo Lingotto- Auburn Hills. O forse sì?
Ha vinto la Torino di una volta
Alla fine non è stata la nuova Torino a conquistare l’America, ma l’antica. A vincere non è la città neogozzaniana mai stata così bella, con le mostre sul barolo e sul cioccolato, i caffè restaurati, le signorine sempre più graziose che mangiano le paste nelle confetterie.
È la sapienza tecnica della metropoli industriale aspra e sobria, squadrata come la città dell’Apocalisse, l’abilità dei capisquadra che sapevano fe’ i barbis a le musche, rifilare i baffi agli insetti, e dei geni ignoti come Dante Giacosa che disegnavano le auto più belle al mondo e nel contempo sapevano progettare un carburatore. Non la città delle Olimpiadi e del turismo e neppure quella inquietante dell’occulto (tutte frottole in verità come i torinesi sanno benissimo) e della movida notturna che ispira l’ultimo preoccupato romanzo di Culicchia: lo sballo all’ombra dei Murazzi del Po, feste, alcol e gioventù bruciata. Bensì la Torino dell’Avvocato, che ovviamente è molto cambiata ma dev’essere ancora parente di quella che Giovanni Agnelli raccontava come «una città di guarnigione, in cui i doveri vengono prima dei diritti, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascismo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto».
La Torino di oggi ha un clima più mite e non solo. La vita sociale è più ricca, come testimonia l’antico centro storico, il quadrilatero romano, un tempo deserto già alle sette di sera e divenuto ora una Brera torinese. L’economia si è diversificata. È cominciata l’era terziaria, se è vero che a Torino ci sono più dipendenti comunali (comprese le aziende controllate) che operai Fiat. Non si tratta ovviamente di mettere in contrapposizioni due città e due epoche. Ma forse adesso si capisce meglio che la nuova Torino è figlia di quella antica. Che le eccellenze di oggi —il design, il Politecnico, la ricerca, la comunicazione, il cinema, l’arte contemporanea, financo le Olimpiadi —non ci sarebbero state senza la grande industria, insomma senza quella Fiat con cui la borghesia torinese ha sempre avuto un rapporto ambivalente: da un lato, era spaventata dall’immigrazione e dalle trasformazioni imponenti; dall’altro, orgogliosa per ciò che la Fabbrica Italiana Automobili Torino rappresentava nel resto del Paese.
Lo si vide, quell’orgoglio, quando i torinesi sfilarono di giorno e anche di notte, con i ritmi di una città che la notte è abituata a lavorare, davanti alla bara di Giovanni Agnelli. Fu proprio il funerale dell’Avvocato il vero punto di svolta. Torino, che nei mesi precedenti appariva come paralizzata dalle incognite che la sovrastavano, seppe reagire. Prima con l’omaggio a un personaggio insostituibile, che ovviamente le manca. Poi con la coscienza di potercela ancora fare, di avere davanti un periodo difficile ma non impossibile da superare. Eventi come la fusione Sanpaolo-Intesa e la retrocessione della Juventus, che un tempo sarebbero stati letti come l’ennesimo scippo di Milano e l’ultimo segno di declino, sono stati interpretati per quel che erano: l’occasione di restare agganciati alle trasformazioni finanziarie e di aprire una nuova stagione anche nel calcio. Oggi Torino è una città che ha cambiato umore.
E assomiglia al suo museo più noto, l’Egizio, così com’è uscito dal recente restauro: una parte nuovissima e avveniristica, allestita da Dante Ferretti lo scenografo di Hollywood, che ha immerso le statue di Seth e Osiride nel buio illuminandole con sciabolate di luce; e la parte storica, con le teche ottocentesche molto meno scintillanti, ma che custodiscono attraverso le generazioni i veri tesori della collezione. Un secolo fa, il viaggio a Detroit di un altro Agnelli, il Senatore, aprì in Italia la stagione fordista. Fare come in America divenne il motto di Torino. Che oggi siano la tecnologia e il lavoro italiani a essere esportati a Detroit è segno che Torino, la città che nell’800 e nel ’900 ha fatto l’Italia due volte— a San Martino e a Mirafiori, con il Risorgimento e con il boom industriale —non ha abdicato al suo ruolo storico. Anche perché questo non è il successo di una sola città. In Italia ci sono molte Torino.
Poco conosciute, talora prive di accesso ai circuiti della pubblicità e della comunicazione, ma concentrate sul prodotto, sull’innovazione, sulla conquista dei mercati. Eccellenze che non si sono lasciate spaventare dalla mondializzazione ma ne hanno colto le opportunità, che hanno approfittato della concorrenza per migliorarsi, che non hanno inseguito le sirene del disimpegno e del bel vivere ma hanno continuato a far affluire linfa vitale al cuore dell’economia italiana: il sistema manifatturiero. Le notizie che vengono dall’America ci raccontano anche di quella «Torino diffusa» che affronta in silenzio la crisi e ce la sta facendo.