Torino Valley al Marketing Camp e all'Innovation Circus

Torino Valley parterciperà al Marketing Camp 3 del 10 ottobre in cui Vittorio Pasteris, il nostro “eroico” fondatore, parlerà dell’esperienza di “Torino Valley, fare comunità vera intorno all’innovazione”

Il tema del MarketingCamp 3 “local Innovation. Polis, innovazione, marketing e comunicazione”

Il MarketingCamp 3 fa parte dell’Innovative Day, durante la settimana dell’Innovation Circus a Milano, dall 8 al 15 ottobre 2007.

Gabriele Beccaria intervista Federico Faggin

Negli Stati Uniti è famoso come Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi e lo considerano parte di una triade di geni italici. Da noi è meno celebre (c’è da stupirsi?), anche se ogni tanto lo premiano con una laurea honoris causa. E’ successo ieri, quando Federico Faggin – l’inventore del microchip – è stato dichiarato dottore in ingegneria elettronica dall’Università di Pavia.

Una laurea è il minimo per lui che, nel 1971, ha inaugurato l’era digitale: di questi tempi, ogni anno, si mormora che sarebbe il personaggio ideale per il Nobel. «Io? Di sicuro sarò l’ultimo a saperlo!», esclama, subito dopo la lezione su «Innovazione e prosperità economica».

«Questa è la terza, dopo Milano e Roma. Ma la prima, in fisica, me la sono guadagnata a Padova, studiando». Era il 1965 e adesso, che ha 66 anni, è difficile guardarlo senza provare ammirazione e imbarazzo. Il cervello che non dovevamo perdere è lui, il Bill Gates dell’hardware, il creativo senza il quale il fondatore della Microsoft non avrebbe avuto nulla da creare. Senza l’«hard», come si fa a immaginare il software?

«E’ vero che vivo in California da anni, ma ho fatto qualcosa che si è riversato dappertutto». Però il microprocessore l’ha ideato per l’americana Intel, o no? «Vero. In Italia non avrei mai potuto svilupparlo. In California cominciò una reazione a catena. Lì ci sono gli stimoli appropriati: ho scoperto il lavoro di squadra. E fu una rivelazione».

L’anno era il ‘68 e da quel momento Faggin ha lavorato e sognato (e aperto società hi tech) a Palo Alto, uno dei neuroni della Silicon Valley. Di là intravede un’Italia quasi immutabile, perfino peggiorata. «In 30 anni le aziende di elettronica avanzata sono scomparse una dopo l’altra. E’ rimasta la St Microelectronics, che però dà lavoro a molti cervelli».

Che consiglio vuol dare per impedire che i nuovi Faggin fuggano nei laboratori d’America e d’Asia? «Si deve partire dai settori che funzionano e poi rafforzarli – risponde -. Nel mondo globale è impossibile eccellere in tutto». Ed è anche impossibile non pensare che il neo-dottore stia fantasticando un’altra invenzione. «Certo! Ho un’idea. Se la realizzo, lo saprete. Altrimenti faccio finta di niente».

La lezione, naturalmente, non ha violato segreti. In realtà è stata preziosa. Ha dissezionato il processo che continua a fare di Silicon Valley un paradiso dell’innovazione: «Scienziati, inventori e ingegneri sanno unire le loro forze con gli imprenditori, i manager e il “venture capitalism” per dare vita a nuove intuizioni e portarle sul mercato». Più che a un processo tradizionale si è di fronte alle meraviglie di un salto quantico, dove fenomeni molteplici avvengono in contemporanea e sono indistinguibili uno dall’altro. Poi, in privato, con un altro balzo vertiginoso spalanca il futuro dei microchip. «Ci avviciniamo al loro limite fisico. Oggi i transistor, che sono contenuti nei microchip, hanno dimensioni di 32 nanometri e scenderemo a 10 e poi a 5, fino ad arrivare a un limite evidente: la natura corpuscolare della materia. Se ho a che fare con un elettrone, che è 10 mila volte più piccolo di un atomo, dove posso ancora spingermi?».

Sono passati 36 anni dal suo primo microchip ed è come paragonare le prestazioni di un carretto con quelle di un Tornado. «La tecnica è la stessa, la velocità no! Il mio era capace di 65 mila operazioni al secondo, oggi si toccano i 200 miliardi al secondo». E la prossima rivoluzione si avvicina. «Si testano tecniche nuove di “storage”, cioè di immagazzinamento della memoria, che però non sono ancora del tutto chiare. Siamo nella stessa situazione dei matematici che alla vigilia della Seconda guerra mondiale immaginavano i computer. Avevano i relais, non i microchip».

Una strada – spiega – è quella dei computer quantici, che sfruttano le bizzarre proprietà degli atomi: «A differenza di ciò che avviene oggi, le operazioni sono indeterminate. Invece che 1 oppure 0, esistono sia 1 sia 0 allo stesso tempo. Per il nostro cervello è un rebus, eppure funziona. Così disporremo di potenze di calcolo enormi». Un’altra via ha a che fare con il nanotech. «I nanotubi di carbonio hanno caratteristiche elettroniche che permetteranno di realizzare transistor e superconduttori piccolissimi: si può immaginare di usare le molecole come bit di memoria!».

E’ evidente che il ricercatore-inventore-imprenditore dice meno di quanto sa. Alla fine dà l’illusione di confidarsi con una previsione. «Come immagino il 2050? I computer saranno diventati protesi: ci porteremo addosso memorie precisissime e avremo accesso in ogni istante a un rete tipo Internet, ma più intelligente. Dovremo aver bypassato gli strumenti standard, come le mani, attuando il “computer pensiero”. Chip e biologia, finalmente, staranno insieme».

A Torino nasce la carrozzina multifunzionale

La carrozzina B-Free Multifunction è un prodotto rivoluzionario sia dal punto di vista estetico sia da quello funzionale. Concepita come un vero e proprio oggetto di design è bella da vedere, pratica da usare e pensata per la massima autonomia.

Il progetto nasce dall’intuito di un giovane designer e imprenditore, egli stesso in carrozzina, che alla luce della propria esperienza personale e professionale ha saputo reinterpretare le esigenze delle persone diversamente abili.

Il valore intrinseco del prodotto è la multifunzionalità, in quanto al modello base è possibile aggiungere con facilità diversi accessori, come il sistema di scampanatura delle ruote posteriori indispensabile per giocare a tennis, la ruota antiribaltamento, le ruote tassellate per lo sterrato e quelle specifiche da spiaggia.

Telaio pieghevole, superleggero in alluminio
Parafanghi in carbonio ad alta efficienza
Pedane il lexan trasparente o in carbonio
Sistema multiregolazione ruote anteriori e posteriori

La carrozzina B-Free ha un design accattivante ed è altamente personalizzabile, oltre ai 4 allestimenti B-Free Beach, B-Free 4X4 e B-Free Sport, permette di scegliere fra diversi colori e modelli di cerchioni.

Innovazione, indipendenza, multifunzionalità sono i valori che accomunano il prodotto B-Free Multifunction e l’azienda Able che lo produce. Danilo Ragona, giovane e brillante Industrial designer diplomato presso lo IED di Torino, è diventato imprenditore per dare vita all’intero progetto ed esprimere un punto di vista fortemente evolutivo sul mondo delle diverse abilità. Attraverso un approccio di sdrammatizzazione e demedicalizzazione, è arrivato a concepire la carrozzina come un oggetto di design personale, piacevole, mirato a migliorare la qualità della vita.

La sedia a rotelle a forma di zaino

Da Lastampa.it

Si chiama Allroad, si ripiega e s’infila nello zaino come un libro da portare in vacanza o un portafortuna dal quale è impossibile separarsi anche solo per un giorno: è la sedia a rotelle portatile, la carrozzina rivoluzionaria figlia dell’hi-tech che può abbattere le frontiere. L’ha ideata e costruita un giovane designer torinese, Danilo Ragona, 30 anni, che grazie a questa geniale invenzione è riuscito a riprendersi la libertà di muoversi, lui che non ha più l’uso delle gambe, paralizzate da una maledetta sera di maggio del 1999 quando all’improvviso finì in una scarpata e si risvegliò paraplegico.

Ora Danilo ha ritrovato il piacere di percorrere le stradine di campagna, di giocare a tennis in qualunque parte del mondo, di salire sull’aereo o in auto con gli amici: cambi le ruote, aggiungi un optional e ti riprendi un po’ di quello che il destino ti ha tolto. Allroad Multifunction è una sedia a rotelle no-limits, la prima «da viaggio», che sfrutta le più avanzate tecnologie dei materiali e si fa piccola come un bagaglio a mano. Comoda, pratica, con il telaio pieghevole, è larga circa 40 centimetri, profonda altrettanto e alta circa 35 centimetri, costruita in lega leggera. Col suo peso ridottissimo ha una leggerezza e una scorrevolezza superiori alla media, lo schienale ergonomico è imbottito e si può regolare. Si può personalizzare scegliendo il colore e i modelli di cerchione mentre i parafanghi, che sono in carbonio, ne sottolineano il look grintoso. Per esportare la sua invenzione, Ragona si è trasformato in imprenditore. Dopo due anni di lotta e buio, ha rialzato la testa. Anche se il suo corpo, dal torace in giù, non sente più nulla, l’ha ricatapultato nella vita la gioia di tornare ad occuparsi della sua passione, il design.

Il resto l’ha fatto Laura, sua moglie: «L’amore fa miracoli, lui ha una grande forza interiore ma da quando viviamo in simbiosi la sua voglia di combattere si è triplicata. Abbiamo fatto un lungo cammino e questo progetto è il frutto delle nostre idee». Si guardano, ridono e raccontano il viaggio di nozze, l’avventura da cui è nata la carrozzina Allroad. «Il nostro sogno erano le strade e il sole della California – dice Danilo -. Così abbiamo prenotato e siamo partiti. Nei nostri viaggi non mancano mai le difficoltà, però in quell’occasione eravamo esasperati. Sull’aereo non volevano imbarcare la carrozzina. Era troppo larga. Ok, ci siamo detti, mandiamola come bagaglio normale».

«Arrivati a New York – continua Laura – abbiamo cambiato volo ed ecco l’amara sorpresa: la sedia era danneggiata. Una sedia a rotelle non è un oggetto di cui si possa fare a meno». E ancora: «A un nostro amico è andata peggio. Aveva un impegno di lavoro in Brasile, quando è atterrato ha scoperto che avevano smarrito i bagagli e con questi la sua carrozzina. L’ha riavuta solo dopo due giorni». Danilo soppesa le parole: «Anche chi è stato sfortunato deve avere una chanche. È importante uscire, lavorare, parlare e confrontarsi. Non solo con lo sport ma anche con il lavoro, le idee, i progetti. Nelle vie delle città incontrare un disabile non è più raro come una volta. Perchè adesso anche chi ha un handicap esce di casa. Prima non succedeva. La nostra società ha fatto passi avanti».

Ragona è un fiume in piena e racconta orgoglioso le sue esperienze professionali: «Ho creato per Gobino e Pininfarina, adesso ho contatti con l’azienda Ferrino. È la mia creatura. Averla pensata e progettata mi ha regalato grandissime emozioni. Sono sensazioni molto molto forti che chi ha avuto una vita senza diffcioltà non può capire. Non mi fermo. In testa ho mille altri progetti».

Innovation Circus

Si dice sempre più spesso che per sostenere la sfida della competizione globale sia necessario puntare sull’innovazione, tuttavia pochi concetti sono altrettanto difficili da definire e far comprendere ai “non addetti ai lavori”. L’innovazione viene normalmente guardata come il dominio di studio di una ristretta nicchia di teorici, invece che come una capacità insita in ciascuno di noi, che deve essere opportunamente coltivata, stimolata e valorizzata dal sistema sociale, a partire dalla scuola, non limitata e compressa in ruoli e funzioni date.

Il progetto europeo “Innovation Circus” nasce proprio dalla considerazione che sia in primo luogo necessario demistificare il concetto di innovazione, avvicinandola alla gente: utilizzando la metafora del circo come luogo di spettacolo partecipato, verrà realizzata una manifestazione itinerante, con tappe della durata di una settimana ciascuna nelle città di Copenhagen, Karlsruhe, Milano e Riga.A Milano la settimana dell’innovazione si svolgerà dall’8 al 15 ottobre 2007. Il programma prevede visite guidate presso i soggetti chiave dell’innovazione, quali aziende, enti, università milanesi; una mostra sui brevetti presso il Palazzo Giureconsulti; un tendone in centro città adibito all’esposizione di prodotti innovativi e attività per coinvolgere giovani, bambini, anziani, studenti e ricercatori, impiegati e tecnici sul tema dell’innovazione nella società attuale.

Innovation Circus raggruppa 16 membri provenienti da 8 paesi diversi, inclusi 4 nuovi stati membri: EuroCenter e Antropologerne.com (Danimarca), Innovation Circus Foundation, Innovationsbroen Syd AB e Malmø Stad Innovation (Svezia), Enterprise Estonia (Estonia), Latvian Technological Centre e Riga District Council (Lettonia) KTU Regional Business Incubator (Lituania), Universität der Künste Berlin, Technischen Universität Berlin, Adlershof e Senat für Wirtschaft, Arbeit und Frauen, Berlin (Germania), Fondazione Politecnico di Milano e Provincia di Milano (Italia), Industrial Research Institute for Automation and Measurements (Polonia).

Wekey, il wiki parte da Torino

Wekey è una innovativa azienda torinese che offre alle aziende italiane una soluzione software innovativa: l’”enterprise wiki” o “wiki aziendale”. L’offerta di una piattaforma integrata e di livello “enterprise” in questo campo è in forte crescita e si sta affermando negli Stati Uniti e nelle grandi multinazionali europee, ma è molto ridotta in Italia.

Che cosa è un wiki ? Un wiki è un sito web che permette a ciascuno dei suoi utilizzatori di
aggiungere contenuti, come in un forum, ma anche di modificare i contenuti esistenti inseriti da altri utilizzatori. La tecnologia Wiki nasce nel 1995, grazie a Ward Cunningham. Dopo più di 10 anni dalla sua nascita Wiki è una tecnologia matura.

Il vantaggio maggiore dell’uso dei wiki sta nel fatto che con un unico investimento si raggiungono molteplici risultati: disporre di uno strumento efficace ed efficiente per il lavoro collaborativo on-line, creare una knowledge base aziendale semplice da alimentare, amministrare ed organizzare e frutto di una progettazione “sociale”, di un’architettura delle informazioni aderente alla propria organizzazione perchè è da questa che è stata concepita, disponibile 24/7, accessibile da tutto il mondo. Altri vantaggi sono ottenere trasparenza nei processi di produzione dell’informazione (e relativi documenti) e loro tracciabilità, permettere di inserire/aggiornare l’informazione in tempo reale, per tutti, senza rischi di dimenticanze e ritardi, diminuire, se non annullare, il sovraccarico da email cui siamo oggi esposti.

Qualche esempio di utilizzo

  • Documentazione dell’esperienza nell’uso di una particolare tecnologia, cui possono contribuire più colleghi aggiungendo le loro conoscenze, considerazioni o conclusioni pratiche.
  • Gestione di progetti (sviluppo software, nuovi prodotti, edilizia, …): wiki è un canale di comunicazione che rende più efficace la preparazione delle riunioni, la raccolta dei documenti da discutere, il loro aggiornamento, la redazione in tempo reale dei verbali, la comunicazione di progetto.
  • Supporto applicativo: i wiki sono lo strumento ideale per documentare l’utilizzo e supportare la gestione di applicativi complessi (gestionali, office automation, ecc…), rendendo semplice anche l’aggiornamento delle informazioni e la raccolta di casi particolari.
  • Supporto alle vendite: il settore commerciale di un’azienda ha bisogno di un gran numero di informazioni ed è sottoposto a vincoli temporali molto stretti. Un wiki aziendale è un ottimo supporto per i commerciali per raccogliere, organizzare e ricercare informazioni sulle vendite e organizzare il supporto commerciale.
  • Intranet: sempre più spesso i wiki stanno sostituendo o almeno affiancando le intranet aziendali in qualità di canale di comunicazione e condivisione della conoscenza.
  • Ricerche di mercato: i wiki aziendali sono potenti piattaforme per raccogliere e condividere informazioni e dati su mercati, concorrenti, tendenze del settore e i prospect (in questo caso abbinando il wiki ad un blog)
  • Comunicazione con esterni: wiki permette di creare un canale di comunicazione bidirezionale dinamico tra un’organizzazione e la sua rete di partner/collaboratori esterni.
  • Servizio al Cliente: molte grandi organizzazioni stanno cominciando ad utilizzare wiki per gestire i Clienti e supportarli nelle loro necessità di informazioni. In tal modo i Clienti, nel tempo, sono sempre più coinvolti e fidelizzati.
  • Call Center: come strumento per migliorare il servizio al cliente attraverso la condivisione, la costruzione e la correzione rapida della base di conoscenza a disposizione degli operatori.

Wekey propone al mercato italiano uno strumento, il wiki aziendale, e relativi servizi di supporto funzionali al miglioramento delle capacità di comunicazione/collaborazione interne ed esterne delle aziende e di gestione della conoscenza.

Wekey offre wiki basati sulla piattaforma Socialtext:

  • in hosting, una soluzione rapida e conveniente per i piccoli gruppi di lavoro e per le aziende e PA che vogliono testare l’applicazione prima di investire in una appliance.
  • come soluzione hardware/software da installare dietro il firewall aziendale.

La vita in un video. Da Torino agli Usa la sfida a YouTube

da Corriere.it

Due amici che, adolescenti, facevano volare aeromodelli telecomandati sul cielo di Torino e giocavano coi computer. Ora, sulla soglia dei quarant’anni, e dopo aver creato imprese per i collegamenti Adsl via satellite e per la produzione di lampade «intelligenti » disegnate da Giugiaro, partono alla conquista dell’America, provando a sfidare addirittura «YouTube». Quella di Arturo Artom, barbuto imprenditore delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche e del «creativo» Luca Ferraro, co-fondatore di «Your Truman Show», la loro nuova società, è una favola il cui lieto fine, se ci sarà, è ancora tutto da scrivere.
Gli ingredienti della storia sono promettenti: un software innovativo e italianissimo, messo a punto da sette ingegneri torinesi; la scelta di lanciarlo non in Italia ma negli Usa, nella patria di Internet, attaccando i siti americani in un settore specifico, quello del racconto delle storie di vita attraverso filmati; la furbizia (e la fortuna) di sfilare alla Paramount (che aveva dimenticato di rinnovarli alla scadenza) i diritti all’utilizzazione del marchio del «Truman Show», celebre film interpretato nove anni fa da Jim Carrey.

Certo, una cosa è costruire una buona piattaforma Internet, ben altro è sottrarre a una società della galassia Google (qual è YouTube) una fetta rilevante del mercato dell’ «entertainment» sul web. Quella di avere tecnologia italiana e un mercato quasi tutto all’estero sembra poi, più che una scelta imprenditoriale, una sfida alla forza di gravità. Ma, a ben vedere, è quello che hanno già realizzato negli ultimi anni diverse aziende informatiche italiane come Acotel, Dada (del gruppo Rcs, l’editore di questo giornale) e Buongiorno, che opera ormai in 40 Paesi ed ha appena acquisito l’americana iTouch. Imprese che hanno saputo individuare una nicchia del mercato — in genere quella del software per i telefonini — nella quale diventare leader a livello internazionale.

Artom si è mosso con una logica analoga: ha lanciato la nuova impresa alla fine dello scorso anno, si è trasferito a San Francisco, ha creato nella Silicon Valley un’azienda dalla «carrozzeria» americana per sviluppare e distribuire il software italiano e qualche giorno fa ha annunciato alla conferenza dell’Aspen Institute sull’«information technology » che, terminata la fase sperimentale, «Your Truman Show» è ormai decollato: chiunque può entrare nella piattaforma e depositare il video con la sua storia. Curiosamente, l’imprenditore piemontese ha fatto la sua presentazione proprio davanti al fondatore di «YouTube», Chad Hurley (anche lui relatore al convegno Aspen), che ha cavallerescamente mostrato un grande apprezzamento per la tecnologia italiana (che, evidentemente, minaccia solo per una fetta limitata del business della sua società).

Ma perché i videoblogger d’America dovrebbero fare di «Your Truman Show» la loro casa? La società punta sull’accattivante design italiano del sito, su una nuova tecnologia di «videosurfing» che consente di collegare varie storie per argomento, ambiente o luogo nel quale si svolgono e, soprattutto, su un innovativo sistema di «rating» attraverso il quale il pubblico selezionerà gli autori più dotati e popolari. Artom è convinto che sia questa la ricetta giusta per creare una sorta di «American Idol» (il più popolare concorso televisivo americano) in versione web. Funzionerà? E’ presto per dirlo. Ma in pochi giorni «Your Truman Show» ha già raggiunto i due milioni di pagine su Google ed è stato recensito favorevolmente da alcuni degli esponenti più in vista della «blogosfera». L’obiettivo imprenditoriale della società non è solo quello di attrarre pubblicità, ma anche quello di vendere i suoi contenuti alle società di Hollywood che possono essere interessate a portare in tv o sul grande schermo le storie che il pubblico trova più drammatiche o più divertenti. Manager con la passione della politica — è vicino a Enrico Letta e partecipa da anni con lui ai seminari nei quali giovani leader dei vari settori confrontano le loro idee — Artom, negli ultimi tempi si è dedicato sempre più al «venture capital», fino a diventare un interlocutore privilegiato di Ronald Spogli, l’ambasciatore americano a Roma con un passato di «venture capitalist» che sta cercando di portare il «vangelo» della cultura imprenditoriale Usa nel mondo italiano della politica e dell’impresa.

Ora il tentativo di entrare in quella pattuglia di «manager d’esportazione» che possono dare una prospettiva all’Italia anche al di fuori delle sue produzioni tradizionali. Intanto il ragazzo che giocava con gli aeromodelli e «sognava la California », si gode il suo pezzo di «American dream»: Silicon Valley e feste nelle ville di Los Angeles invece dei convegni di Confindustria.

A cavallo della tigre

A cavallo della tigre, il titolo scelto per questo Dodicesimo rapporto sull’economia globale e l’Italia, vuole ricordare l’elemento che più sembra caratterizzare l’anno appena trascorso e quello da non molto iniziato: la vertiginosa accelerazione dell’instabilità e dei processi di mutamento in atto nel mondo, la sensazione che uomini e governi siano spesso sospinti da forze che non riescono a controllare.
Gli scenari politico-strategici non sono per conseguenza rassicuranti: il sanguinoso errore della guerra irachena, l’incancrenirsi della guerriglia afghana, i rapporti israelo-palestinesi, fonte continua di attrito e tensione nel mondo arabo, le guerre e i massacri dimenticati in angoli sperduti del mondo come il Darfur, la proliferazione nucleare, le «maniere forti» che tornano a caratterizzare la Russia sono tutti elementi di un’insicurezza profonda che la timida riscoperta di un approccio multilaterale (o forse, meglio, meno rigidamente unilaterale) ai problemi del mondo non basta a dissipare.
In questo mondo complicato l’Italia stenta a trovare o a mantenere un ruolo veramente significativo. Parti importanti del sistema hanno però scelto di puntare le loro chances sul merito e sulla competenza anziché sul compromesso e sul patteggiamento in un quadro immobile. E può anche darsi che ci stiano riuscendo, dal momento che l’Italia ha, sia pur timidamente, ripreso a crescere.

Marchionne: Vi racconto lo spot della nuova 500, l'ho fatto io

Massimo Gramellini su La Stampa

Stasera la nuova Fiat 500 entra nella case di tutti gli italiani con una pubblicità che parla di Falcone, Ciampi, Valentino Rossi e Giorgio Gaber, non nomina mai la 500 e cita la Fiat soltanto una volta, alla fine. Colpiti dalla scelta, siamo andati a chiederne conto al pubblicitario che ha scritto il testo dello spot e scelto le foto che lo illustrano. È un esordiente. Si chiama Sergio Marchionne, uno che ama l’Italia come capita solo a chi non ci ha vissuto per molto tempo e che di mestiere gestisce da tre anni l’azienda di cui ha appena curato la réclame. È seduto davanti a un portacenere, gioca con l’accendino e porta il solito maglione blu. «Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno si è ancora accorto. Dopo gliela mostro».

Intanto ci dica quando ha deciso di darsi alla pubblicità.
«Il 16 maggio, di pomeriggio. Ho impiegato un’ora e mezzo per scrivere il testo al computer. Ma ce l’avevo in pancia da giorni. L’ho scritto in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è ancora più bello, perché l’inglese è una lingua precisa».

E cosa dovrebbe comunicarci di così preciso, lo spot della 500?
«Ricostruisce il Dna del gruppo Fiat. Abbiamo sputato sangue in questi anni per ripulirlo e ricominciare. Oggi, 4 luglio, per la Fiat è un nuovo inizio. Tre anni di catarsi per tornare a riveder la luce».

Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale, intendo. Un’organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera, chissà che fumetti avrebbe portato».

Fumetti amari, all’inizio.
«Per prima cosa ho fatto il giro del mondo in 40 giorni, ho visitato tutti gli stabilimenti, visto tutto. La burocrazia ministeriale. L’organizzazione non strutturata per la concorrenza. La logica era: quest’anno ho fatto un accendino, il prossimo anno ne farò uno più lungo di un millimetro, e chi se ne frega se intanto all’estero lo fanno di un chilometro. L’idea di fare soldi non era minimamente presa in considerazione, come in certi ambienti islamici dove il guadagno è considerato una forma di usura».

Il piemontese viene da generazioni di montanari, soldati, operai. Ha il culto dell’obbedienza.
«E io ho mantenuto la disciplina e il senso del dovere, però li ho dirottati verso la condivisione degli obiettivi. Lavoro di squadra vuol dire che tutti i miei uomini comunicano fra loro e si informano su tutto. Ma il leader deve anche saper decidere da solo. Quando andavo in Usa per trattare con GM mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il convertendo. Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire coperti da me. Vero, De Meo?». Luca De Meo, a.d. di Fiat Automobiles, è l’incarnazione fisica del nuovo verbo aziendale. Quarant’anni appena compiuti, testa svelta, lingua sciolta, jeans e musica rock, praticamente un alieno in diretta dal futuro: «Ogni tanto il dottore mi cazzia perché faccio quello che mi pare».

È così, dottor Marchionne?
«Tanto poi continua a farlo… Far parte della squadra, ecco quel che conta, Io so che se lascio uno di loro fuori da una decisione, lo sgonfio in tre secondi. È un po’ che li trascuro, è di nuovo il momento di dargli una sferzata. Come dice De Meo, abbiamo avuto cuore e gambe per entrare in Champions, adesso viene il difficile. Tutti ci davano per morti. Sull’ultimo numero del Journal de l’Auto c’è l’immagine di una 500 che esce dalla bara… Ma il rischio di retrocedere è svanito per sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla, toglierle le scarpe e il cappotto. Ma siamo sopravvissuti. Ora il sogno è un altro. Diventare i migliori. Non in tutto, che è impossibile. Ma su certi valori. Essere italiani significa farci riconoscere per lo stile che abbiamo. E poi i nostri concorrenti sono complessi, rigidi e pieni di procedure: speriamo che continuino. Noi invece stiamo diventando veloci e facilitanti come la Apple. Per lo spot mi sono ispirato allo slogan: “Think different”».

La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill Gates?
«È l’underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce che c’è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori e di cose eleganti e coerenti. Io sono un miscredente convertito. Il primo iPod me l’ha regalato De Meo. Un sistema facile da usare. Voglio che la Fiat diventi la Apple dell’auto. E la 500 sarà il nostro iPod».

Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: “A piece, a chord”».

Adesso si balla, ma prima ha dovuto usare il bisturi. Montanelli diceva che i leader italiani partono con l’idea di fare i chirurghi, ma finiscono col somministrare la solita aspirina.
«Io sapevo che tagliare era una premessa per rinascere. Se c’è una cosa che odio è licenziare qualcuno, guardarlo negli occhi e immaginarlo la sera, quando tornerà a casa e dovrà dirlo alla moglie, ai figli. È una cosa orribile. Allora cerco di attutirgli la botta, facilitargli l’uscita. Qui d’altronde si era creata una incrostazione, non potevo inventarmi un mestiere per tutti. Ma adesso ricomincio ad assumere. Cinquecento tecnici e ingegneri, e non mi bastano. Macchine, motori, trattori, camion: stiamo crescendo da tutte le parti».

E gli operai?
«Il problema non sono mai stati loro. Ma vanno gestiti bene. Andai a Pomigliano d’Arco, due anni fa, e davanti a me un’operaia attaccò un pezzo alla macchina. Brava, le dissi. E lei: “Guardi, dottore, è stata una botta di culo. Di solito ci impiego venti volte a incastrarlo”. L’ingegnere aveva disegnato male il pezzo».

Nello spot ci sono anche gli operai sotto Mirafiori.
«Abbiamo scelto immagini che riguardassero da vicino la storia d’Italia degli ultimi 50 anni. Così lo spot piazza la Fiat in un contesto storico che Apple non aveva. Appena arrivato, feci fare un filmato con tutti i nostri successi. Il senso era: se l’abbiamo già fatto, perché non potremmo rifarlo? Lì abbiamo capito che significavamo qualcosa per questo Paese. Nel bene e nel male. Ma il saldo è positivo. Perciò lo slogan della campagna è: la nuova Fiat appartiene a tutti noi”».

Le immagini le ha scelte lei?
«Ho dato spunti, anche forti. Amin, Pol Pot. Alcuni sono stati scartati. Nella mia testa c’erano solo parole e immagini. Poi è saltato fuori il bambino del “Nuovo cinema Paradiso” di Tornatore. È lui che guarda le foto, nello spot. Il suo sorriso buffo rappresenta il nuovo primo giorno della Fiat».

La sua immagine preferita? Per De Meo è Ciampi che mette le mani sulla bara dei caduti di Nassiriya.
«Falcone e Borsellino. E Valentino Rossi che solleva un braccio al cielo dopo la vittoria. Quanta energia e forza in quel gesto, quanta italianità… Questo è un Paese che non sa volersi bene».

Lei ha messo l’etica nel Dna della nuova Fiat. Funzionerà nel paese dei furbetti?
«Anche l’America ha avuto i suoi furbetti. La Enron riceveva gli investitori in una sala piena di telefoni. Peccato che non ci fossero i fili… Ma un sistema sano rientra, corregge e si riposiziona. Il problema italiano è che non ha la reputazione internazionale di sapersi correggere. La nostra sfida è riconquistare dignità».

Bisognerebbe avere senso dello Stato. Anche le aziende che privatizzano i profitti e scaricano i debiti sul pubblico.
«Negli ultimi 3 anni profitti e debiti delle Fiat sono stati totalmente a carico dell’azienda. Alle banche avevo promesso che mi sarei spaccato l’anima per non far perder loro i soldi che in quel momento non potevo restituire. Bene, se fossero rimaste tutte, adesso avrebbero il doppio e oltre del capitale investito. I loro 3 miliardi oggi ne valgono quasi 7».

Fra gli italiani si respira impotenza.
«Strano. Il Pil cresce, l’indebitamento e la disoccupazione calano, eppure c’è questo senso di insoddisfazione».

Sarà che le sale dei bottoni assomigliano a quella della Enron. Schiacci e non risponde nessuno.
«Anche qui schiacciavo e l’unico che rispondeva era il centralino. Allora mi sono messo sotto il tavolo e li ho aggiustati, i bottoni».

È un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il carisma non è tutto. Come la bellezza nelle belle donne: alla lunga non basta».

Chi le piace?
«Sarkozy: un uomo di destra che si apre a gente che non fa parte della sua tribù. Pragmatico. Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo perché la vita si è allungata?».

Seac02 di Torino e Neptuny di Milano startup dell'anno

Le start-up più promettenti dell’anno sono Neptuny, nata sotto l’ala del Politecnico di Milano, e la torinese Seac02 dell’Incubatore di Imprese del Politecnico I3P. Le due imprese, selezionate tra quelle nate negli incubatori italiani tra il 2000 e il 2003, hanno ricevuto le migliori valutazioni da una giuria composta da rappresentanti di operatori di fondi internazionali.

Il Polo del Venture Capital , recentemente insediatosi presso I3P, raggruppa undici fondi – molti dei quali provenienti dalla piazza di Londra – che complessivamente rappresentano risorse finanziarie gestite per circa un miliardo di euro.

La milanese Neptuny opera nel settore ICT, in particolare nell’area dell’IT Performance Management, conta 56 addetti e un fatturato di circa 5 milioni di Euro. Neptuny fa parte dell’Area Valorizzazione della Ricerca e Acceleratore d’Impresa del Politecnico di Milano.

Sempre nel settore ICT Seac02 offre soluzioni per la comunicazione basate su realtà virtuale e aumentata, conta 20 addetti e fattura circa 1 milione di Euro.

Le due start-up sono state premiate dal Sottosegretario del Ministero dell’Università e Ricerca Luciano Modica.

Il Premio Start Up Nazionale è promosso da PNI Cube, L’Associazione italiana degli Incubatori Universitari e delle Business Plan Competitions. La premiazione della I edizione si è svolta la sera del 29 Maggio a Torino, in occasione del secondo Workshop nazionale organizzato dall’Associazione. Tra i partecipanti all’evento, anche Pietro Guindani, amministratore delegato di Vodafone Italia, intervenuto sulla centralità del rapporto tra Università e Impresa nell’epoca dell’economia digitale.

PNI Cube organizza inoltre il Premio Nazionale per l’Innovazione: la V edizione vedrà in gara le idee imprenditoriali vincitrici di 14 Business Plan Competitions organizzate localmente dalle 33 atenei italiani. Partner di questa nuova edizione sarà Vodafone Italia.

Complessivamente sono oltre 320 le imprese nate con il supporto degli incubatori e delle università italiane partner, ma tra queste il premio 2007 ha monitorato unicamente le start-up nate tra il 2000 e il 2003, così da valutare imprese con almeno 3-4 anni di attività.
Le 23 iscritte alla competizione, provenienti da 12 Atenei collocati prevalentemente nel Centro Nord operano per lo più nell’ICT (45%), ma anche nell’Ambiente, Biotech, Automazione, Elettronica; hanno un fatturano complessivo di poco superiore ai 20 milioni di Euro (in media 1 milione a start up) e in totale circa 300 addetti (circa 13 addetti per start up).

Le vincitrici accedono di diritto all’European Venture Contest rivolta a imprese technology based ad alto potenziale di sviluppo, che ogni anno si svolge nei principali paesi europei. Anche quest’anno l’unica tappa italiana si svolgerà a Torino l’11 e il 12 ottobre 2007 e sarà organizzata dalla Fondazione Torino Wireless.

La partecipazione alla competizione dà l’opportunità alle imprese di accedere a un vasto network di importanti investitori e partner finanziari e industriali internazionali e la possibilità di avvalersi del loro supporto attraverso incontri individuali.

L’Associazione PNI Cube mette inoltre a disposizione delle vincitrici un premio del valore di 10.000 Euro.