Le mafie nella politica e nel calcio: Calabrò lancia l’allarme

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“Caratteristica imprescindibile di ogni organizzazione mafiosa è quella di non trascurare alcun ambiente che sia produttivo di ricchezza e denaro“.

 

È ’ quanto si legge oggi in un articolo di Piero Calabrò, magistrato per 36 anni (dal 1979 al 2015): un nome estremamente noto nella lotta per la legalità, non solo nell’ambiente calcistico. Presidente Fondazione  SDL (contenziosi contro banche, finanziarie ed equitalia) attualmente presidente della nazionale Italiana Magistrati, della commissione rischi della Fgci e dell’Ordine di Vigilanza del Gruppo Pellegrini (ex Presidente Inter).

Peraltro già Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi, sottolineava anche ‘preoccupanti forme di contaminazione mafiosa del mondo dello sport’ e ‘in particolare del calcio italiano emerse dall’inchiesta parlamentare e che non possono essere sottovalutate’.

Diversi sono i canali in cui si realizza la contaminazione del sistema calcistico da parte delle organizzazioni criminali. Il primo è rappresentato dalle tifoserie ultras, un mondo in cui è frequente l’osmosi tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato, nelle quali si annida anche il germe dell’estremismo politico.

INSEGNARE LA LEGALITÀ

Uno degli appuntamenti “Progetto Legalità Brianza” che tra gli ideatori ha proprio Piero Calabrò, è una iniziativa realizzata on l’Associazione “Bang” che ha lo scopo di promuovere la cultura della legalità, della solidarietà e dell’ambiente.

 

La strategia adoperata per affrontare il fenomeno della violenza ultras tradizionalmente incentrata sulla fase del ‘controllo’ e del ‘contenimento’ ha indubbiamente prodotto efficaci risultati nel mantenimento dell’ordine pubblico, ma non ha impedito ai gruppi ultras di mantenere e rafforzare il proprio potere all’interno di alcuni settori degli stadi. Non sempre l’attività illecita o violenta dei gruppi ultras riceve la necessaria attenzione della polizia giudiziaria e della magistratura e questa tendenza a sottovalutare il fenomeno è diffusa anche nell’opinione pubblica. La forza di intimidazione delle tifoserie ultras all’interno del ‘territorio-stadio’ è spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso. Inoltre, la condizione di apparente extra-territorialità delle curve ha consentito ai gruppi di acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive e dei loro dipendenti o tesserati. La situazione è ulteriormente aggravata, dal punto di vista delle società, dalla base sociale delle stesse tifoserie, formate, secondo le stime delle forze di polizia, da una quota non indifferente di pregiudicati, in alcuni casi vicini al 30 per cento del totale.

A Torino la ‘ndrangheta si è inserita come intermediaria e garante nell’ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ‘ndrangheta; in alcuni casi i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose o a esse collegate, come ad esempio a Catania o a Napoli; in altri casi ancora, come quello del Genoa o della Lazio, sebbene non appaia ancora saldata la componente criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso. I comportamenti violenti e antisportivi vengono utilizzati come armi di pressione e di ricatto nei confronti dei club. Facendo leva sulla responsabilità oggettiva delle società gli ultras di fatto scambiano la garanzia di partite di calcio tranquille con notevoli vantaggi economici (dai biglietti omaggio al merchandising ai contributi per le trasferte).

Un ulteriore canale di infiltrazione mafiosa non meno preoccupante, riguarda la proprietà delle società di calcio, che possono diventare un canale di riciclaggio di capitali di provenienza illecita, si veda il recentissimo caso del Foggia calcio, oltre che fonte di ulteriore arricchimento per le attività economiche e finanziarie connesse. Ma investire in una squadra di calcio consente alle organizzazioni mafiose di acquisire anche consenso sociale e prestigio che aprono le porte a importanti relazioni anche con le istituzionali locali.

Una necessità è irrobustire l’attività di prevenzione e di controllo e di trovare gli opportuni strumenti, normativi e organizzativo-amministrativi, per rendere tutti i soggetti del mondo del calcio consapevoli del rischio di infiltrazione mafiosa e attrezzati a fronteggiarlo insieme alle istituzioni. Le proposte di intervento normativo, già avanzate nella relazione tematica, sono riproposte nella relazione finale e vanno dal rafforzamento del DASPO, con la creazione di un DASPO ‘interno’ per le società all’introduzione del reato di bagarinaggio fino all’inasprimento delle sanzioni della giustizia sportiva.

Sul piano più generale della governance e dei controlli nell’ambito dello sport, si auspica un ruolo del CONI più incisivo sul rispetto delle norme sulla trasparenza delle proprietà delle società e della normativa antimafia; il rafforzamento degli organismi di vigilanza e degli organi inquirenti previsti dall’ordinamento sportivo (procura federale, procura antidoping, COVISOC, COVISOD); il reinserimento della disposizione sul controllo preventivo dei capitali esteri (c.d.‘emendamento Bindi’); la tracciabilità dei flussi finanziari con riguardo alla costituzione delle società di calcio, alla cessione delle quote, alle transazioni per l’acquisto dei calciatori estendendo i presidi antiriciclaggio anche alle società di calcio. Infine, la commissione sottolinea l’urgenza di regolare in maniera più stringente il sistema delle scommesse legali prevedendo in particolare un divieto assoluto per le partite dei campionati dilettantistici, particolarmente vulnerabili e più esposti al fenomeno del match fixing, senza escludere un allineamento della tassazione delle scommesse ai livelli delle altre operazioni commerciali.

Inoltre, nell’Italia settentrionale, se alcune aree sono risultate più accoglienti e attrattive di altre, rispetto alla penetrazione della mafia, ‘nessun territorio può essere più considerato immune’. E’ quanto si legge ancora nella Relazione. ‘Si tratta di un movimento profondo e uniforme che interessa la maggioranza delle provincie settentrionali, con una particolare intensità in Lombardia, e che è stato favorito fino a tempi recenti da diffusi atteggiamenti di sottovalutazione e rimozione.

La colonizzazione ‘ndranghetista si è affermata a macchia di leopardo con una particolare predilezione per i comuni minori, che per molte ragioni (i piccoli centri della Calabria sono le roccaforti delle ‘ndrine, è più facile mimetizzarsi e più bassa la soglia di attenzione delle popolazioni) sono risultati più facilmente espugnabili. In questa avanzata i clan calabresi non hanno seguito la legge delle metropoli del riciclaggio ma quella che nella relazione viene chiama la ‘legge dei fortini’.