Incontro con un autore che non ha perso la nostalgia delle sane fondamenta di un racconto chiamato cucina.
Spesso sono e le scelte di una vita, che si suggellano nella nostra memoria e che ci raccontano di più di una persona, della stessa conversazione in sé.
La soggettività con cui Marino Marini riempie la sua biblioteca, con i suoi libri, i manoscritti, le opere pregiate esprime la sua letizia Migliaia di raccoglitori che contengono l’elenco delle opere collezionate personalmente, meticolosamente, e forse sono uno dei motivi per cui quest’uomo straordinario trova espressione.
E così di anni ne sono passati parecchi, vissuti sul campo, coltivati e arricchiti da grandi idee: per anni dirige Slow Food, di cui ne è curatore, seguendo una costante ricerca sull’archeologia e la storia enogastronomica.
Chef, curatore, educatore delle ragioni più profonde della cucina: un approccio che cattura larghi orizzonti.
Osterie D’Italia è il frutto nero su bianco del nucleo completo del suo altissimo valore, dei luoghi dove vale la pena fermarsi. Marino Marini ne è il padre ideatore, colui che partorì la più grande lettura sulla cucina familiare del territorio.
Sono entrata nella sua biblioteca in Alma, pensando a quanto è affascinante e contagioso questo luogo, a quanta persuasione e cultura trasmette la sua persona.
Dialoghiamo con un grande collezionista e vero talento poliedrico Marini:
“Osterie d’Italia”, sono sinonimo di civiltà e tradizione dei sapori dell’antichità. Si riscopre il bisogno di capire il legame con la cultura d’origini. In che modo si rapporta, secondo il suo giudizio, la cultura storica culinaria, con le nuove generazioni e con le recenti mode come quella del “cibo di strada”?
La gente incomincia a capire che quello che non rientra nella nostra cultura, ci va bene fino ad un certo punto, ma poi ci disturba. I giovani oggi cercano altre risposte. Il McDonald’s può essere comodo, ma l’esigenza dell’identità culinaria è diventata un cult. E’ corretto parlare di ritorno all’origini, e della forte affluenza da parte dei giovani, nell’imparare il valore di un codice alimentare, attraverso quello che può essere l’informazione educativa, formativa, gli eventi dedicati. Il Salone del Gusto è pieno di giovani, come sono d’esempio tantissimi altri eventi enogastronomici. L’Osteria, cosi come la tradizione, sono il ponte verso i propri luoghi, sentimenti, la propria terra.
Parliamo di cose importanti: di libri, un vero e proprio valore aggiunto nella sua vita, lei è un collezionista di pezzi preziosi, aggiungerei di viaggi singolari. Qual è il suo rapporto con essi?
Il primo libro che mi ha regalato mio fratello è stato Artusi, grande scrittore e critico gastronomico. Ho sempre fatto la felicità degli editori, “politica, saggi, classici, a un certo punto con la nascita di Slow Food ho sentito l’esigenza di concretizzare il mio interesse verso argomenti che toccavano la storia e la civiltà del cibo e dell’alimentazione. Il mio rapporto con la lettura, con i libri è riflessione, empatia, confronto, un rapporto fisico, diretto, immediato.
Oltre ad essere un grande lettore, lei vanta la paternità di diversi libri. Come quello di “La Gola”, un’opera che ha vinto il quinto premio Bancarella, aggiudicandosi il più celebre dei risultati. C’è un capitolo a cui lei è più affezionato, a cui ha dedicato una ragione più intrinseca?
Il capitolo che mi ha dato più soddisfazioni è stato quello più banale: “il risotto alla Milanese”. Il paragrafo dedicato al piatto ha identificato l’importanza e l’origine di ogni singolo componente, dalla presenza del riso, allo zafferano ecc… quindi la ricostruzione storica, la nascita, la forma, non è solo la ricetta.
Il sapere è da sempre potere, soprattutto se è unito alla passione. Lei della sua passione ne ha fatto il suo fuoco sacro. C’è una storia, una ricetta, ed un rimpianto, che non l’abbandonano mai?
Io sono contento di avere scelto questa nobile professione, aver fatto il cuoco mi ha trasmesso la cognizione di amare e scoprire i mille volti di questo mondo. Ho avuto la fortuna, ma anche la volontà di andare oltre alla figura dello chef. I sacrifici non sono mancati, si lavorava tanto, poco spazio ai divertimenti, tanta attenzione nel migliorarsi, questo mi ha portato ad avere delle idee che si proiettavano ad ampliare la cultura culinaria in larga scala.
Il manifesto di Slow food nasce ufficialmente nel dicembre 89, nei tre anni precedenti vigeva Arcigola, con tanto di iscritti e tesserati. L’incontro con Carlo Petrini, avviene tramite Santo Bertrocchi presidente provinciale dell’Arci del mio paese. Fece il mio nome e Petrini mi offri il ruolo di responsabile di Arcigola a Brescia. Una sera a Parigi, di fronte ad ostriche e Champagne, a spese di Arcigola, leggemmo il Gambero Rosso di cui eravamo soci al 50%: stavano pubblicizzando l’uscita di una guida dell’osterie. Noi non eravamo d’accordo, a questo punto ci separammo aprendo per conto nostro una casa editrice, e cosi parti l’avventura. Con in mano un taccuino da Peppino Cantarelli, famosa Osteria storica dall’ora, lanciai l’idea nuova: non ci son più l’osterie, stanno scomparendo, vogliamo indagare in ogni regione la presenza di esse? Nacque la prima edizione con 800 indirizzi e ”Osterie d’Italia” prese vita.
In ultima istanza, comprendiamo in che modo e in quale direzione, la tradizione culinaria sia un elemento culturale. In altre parole Marini ci insegna che il valore evocativo del cibo esprime l’unione tra cultura, storia, riflessioni e la speranza di accrescerle, ereditarle, col più nobile dei sentimenti: l’amore per la cultura d’appartenenza.