Le credenziali del Gruppo Gelati, nelle opere in progettazione della D and G Patisserie, nel Sud Est asiatico. Appuntamento a Kuala Lumpur Malesia, la competenza e l’eccellenza siglano la fama, il gusto e la tradizione culinaria dei nostri prodotti ci contraddistinguono nel mondo, oggi in un globo cosi diversificato, di tendenza e in forte espansione industriale, il senso di appartenenza del made in Italy domina la qualità nel settore food. Questo incarico mostra tutto il repertorio, in fattore impegno e serietà, il progetto è molto eloquente, creare uno stabilimento industriale di pasticceria di nicchia del Bel Paese, in un territorio propulsore di queste attitudini.
Lefay Resorts nasce nel 2006 dalla visione degli imprenditori Alcide e Liliana Leali. Alcide Leali fonda nel 1989 la Compagnia aerea Air Dolomiti, con l’obiettivo di fornire servizi di collegamento per gli uomini d’affari dal Nord Italia al resto d’Europa. La grande attenzione prestata alla qualità del servizio di bordo e l’elevatissima efficienza fanno di Air Dolomiti un ambasciatore del Made in ltaly nel mondo e un caso unico di successo nel settore, facendole ottenere i più prestigiosi riconoscimenti a livello mondiale. Negli anni successivi Alcide e Liliana Leali maturano la decisione di intraprendere una nuova sfida per un’iniziativa imprenditoriale: nel 2006 viene quindi fondala la Lefay Resorts con l’obiettivo di creare e gestire una collezione di eco-resort caratterizzati da una riproposizione, in chiave moderna, della classica nozione di lusso, da un forte impegno nei confronti dell’ambiente e da un concetto innovativo di benessere globale.
“Creare luoghi sognati”, questa è la nuova vision della famiglia Leali: i valori che caratterizzano questo modello sono il nuovo lusso: secondo Lefay il concetto di lusso si sta ridefinendo ed è sempre più associato a concetti come spazio, natura, silenzio, tempo per se stessi, servizio discreto, sottovoce, ma attento ad ogni dettaglio; ed il rispetto per l’ambiente: il turismo di lusso al giorno d’oggi non può prescindere da imperativi quali la minimizzazione dell’impatto ambientale in fase progettuale e realizzativa, l’utilizzo di fonti energetiche alternative e rinnovabili, il rispetto dell’ambiente nella gestione dei servizi nonché il contributo allo sviluppo sociale ed economico delle comunità locali.
Il Resort è stato realizzato secondo l’innovativo concetto di benessere globale Lefay che pone grande importanza al rispetto dell’ambiente. Le camere del Resort sono state realizzate con tessuti naturali, pregiati materiali come rnarmi italiani, legno di ulivo e noce, adottando una tecnologia avanzata per regalare piccoli lussi e far sentire gli ospiti al centro di una grande attenzione.
Lefay SPA è un esclusivo tempio del benessere di oltre 3.000 mq, dove mente e corpo si rigenerano attraverso la riscoperta delle emozioni più autentiche e dell’armonia con se stessi. All’interno della SPA il benessere è ovunque: nell’esplosione di luce che filtra dalle ampie vetrate, nel meraviglioso parco, nell’acqua delle piscine, nella magica atmosfera che circonda ogni cosa.
“Persino il cibo può diventare cibo per l’anima”. Partendo da questo presupposto, che vede la tavola
come parte integrante di un percorso di benessere, è stato creato Lefay Vi tal Gourmet, una filosofia che esprime il rispetto delle stagioni e il loro susseguirsi, la ricerca di materie prime di qualità, di prodotti del territorio e la valorizzazione della freschezza degli ingredienti.
L’Executive Chef Matteo Maenza trasferisce con creatività e contemporaneità questa filosofia nelle ricette dai sapori mediterranei proposte nei due ristoranti del Resort, dedicando particolare attenzione agli aspetti salutari del cibo, puntando sulla dieta mediterranea, dove l’olio extravergine d’oliva è protagonista delle ricette proposte all’interno del Resort.
Il raffinato ristorante La Grande Limonaia, situato al piano superiore della struttura con spettacolare vista sul Lago, propone il meglio della cucina e dei sapori della tradizione mediterranea. Durante il corso dell’anno il menù à la carte varia a seconda del susseguirsi delle stagioni. portando in tavola prodotti sempre freschi e di provenienza locale accompagnati dai migliori vini italiani cd internazionali. E per coloro che vogliono stare attenti alla linea viene proposta anche una scelta di piatti a basso contenuto calorico dal menu “La Leggerezza nell’Essere”.
Incontriamo Matteo Maenza durante un week end novembrino di puro relax, coccolati dagli colori e dagli aromi della spa. La cena si snoda tra piatti di grande qualità tecnica e raffinata presentazione.
In apertura un crudo di gamberi rossi marinati, maionese alle mele verdi biologiche e cerfoglio; si tratta di gamberi viola di Gallipoli marinati espressi con olio cuvée Lago e buccia di lime grattugiata accompagnati da una remoulade di sedano rapa e mele verdi biologiche, fornite in stagione da L’orto di Domenico, un camionista della zona che 8 anni fa è sceso dal suo camion per dedicarsi alla Terra, ed una “maionese” senza uova ottenuta centrifugando delle mele verdi emulsionandolo a olio e lecitina di soja.
In un’alternanza di mare e terra, ecco la tartare di manzo Fassone con insalata di erbe, tartufo nero del Monte Baldo e senape biologica. Il manzo e’ della cooperativa per la tutela della razza Piemontese, condita con olio, sale di Cervia , pepe di Sarawak , olio cuvée Lago con salsa alla senape biologica Altoatesina e tartufo nero del Monte Baldo.
Proseguiamo con un Filetto di San Pietro al vapore con cannelloni di verdure, piatto che fa parte delle proposte giornaliere per il menu Leggerezza Nell’Essere, viene accompagnato da un cannellone di cicoria pan di zucchero farcito con verdure biologiche a julienne e saltate con olio extra vergine.
Il piatto principale e’ una tenerissima costata di manzo taglio “Tomahawk” alla griglia, patate schiacciate e insalata di erbe; tomahawk è l’ascia di battaglia dei nativi americani, questa per la forma da il nome a questa costata i manzo con un osso lungo circa 30 cm, presenta un’alta marezzatura che lo rende tenerissimo e molto gustoso. Viene accompagnato da patate biologiche schiacciate, condite con olio extra vergine d’oliva Casaliva e misticanza di erbe.
Tra una portata e l’altra ne approfittiamo per alcune domande allo chef.Qual è la tua storia personale ed il tuo percorso professionale ?
La mia passione per la cucina è nata già nell’adolescenza, sono sempre stato affascinato dai racconti di alcuni amici più grandi, cuochi o camerieri, che parlavano continuamente di viaggi, esperienze, divertimento; poi sono diventato consapevole della possibilità di creare qualcosa con le mie mani, qualcosa che trasmettesse un messaggio a chi lo mangia, che potesse stupire, insomma un veicolo con cui comunicare.
Questo sentimento si è ulteriormente rafforzato dopo aver letto il libro “Il Cuoco perfetto”, in cui viene riportata una parte dell’intervista allo Chef francese Guy Savoy, che definisce la ristorazione come il “business della felicità”. Sono fortemente convinto che a volte un piatto possa davvero rendere dei momenti speciali. Questo è, per così dire, il mio credo professionale.
Ho iniziato a lavorare in estate in un piccolo ristorantino del mio paese a 15 anni come lavapiatti e aiutavo lo chef nei momenti di “crisi”, frequentavo la scuola alberghiera e poi nei week end ho continuato a frequentare questo ristorante come aiuto cuoco ed intanto investivo gran parte del mio stipendio in libri di cucina, il mio primo libro “Il Cucchiaio d’Argento”.
Nelle estati successive ho girato un po’ facendo il commis nei vari hotel italiani e finita la scuola a 19 anni mi sono trasferito a Roma per lavorare con Fabio Baldassarre a L’Altro Mastai dove sono rimasto per circa 4 anni per partire alla volta della Francia , prima a Parigi a L’Hotel De Crillon e dopo a Valence da Madame Pic, rientrato in Italia per un breve periodo mi sono spostato in seguito dai Roca al Celler per poi approdare in Grecia per 3 anni al fianco di Baldassarre nuovamente ,con il quale abbiamo aperto il 2011 il Ristorante Unico e dopo un passaggio all’Andana in Toscana sono arrivato al Lefay Resorts dove opero da ormai 2 anni.
Vecchie e nuove cucine: tu dove ti collochi? (Tradizione e innovazione della tradizione)
Tutti i piatti che propongo a Lefay Resort sono caratterizzati dall’unione tra innovazione tradizione, certo puo sembrare una frase scontata, ma effettivamente essendo nato ed essendomi formato negli anni in cui la ristorazione ha subito importanti rivoluzioni adotto una filosofia di cucina che attinge da piatti della tradizione italiana e della mia tradizione e dalla mia memoria , ma allo stesso tempo innovativa perche riadattata ai tempi attuali. E’ una cucina che amo definire “personale” perché fatta e servita da persone che amano cucinare, mangiare e parlare all’infinito di cibo.
Sperimento e attingo ad una grande varietà di tradizioni culinarie italiane, ma con una particolare attenzione per il Mediterraneo, con i suoi profumi, il suo sole, i suoi colori, la varietà dei suoi prodotti, come capperi, limoni, pomodori, erbe aromatiche, ed il suo rigore quasi seducente nello scandire la stagionalità.
Cosa intendi per “stile italiano”? Ritieni si possa trasmettere e insegnare l’italianità attraverso la cucina? …e in altri settori?
Lo stile italiano in cucina è rappresentato secondo me proprio dalle mille sfaccettature della tradizione gastronomica italiana, se per stile intendiamo la poliedricità culinaria, l’Italia ha uno stile unico, riconosciuto nel mondo, e caratterizzato dalla frammentazione regionale, siamo l’unico paese al mondo che puo’ vantare un ampia gamma di materie prime, dal pesce agli ortaggi alle carni ai formaggi, salumi tutti con una loro storia e tradizione.
Sicuramente l’Italia ha insegnato “italianità” al Mondo e non a caso la cucina italiana è la più famosa è la cucina più praticata / apprezzata al mondo, anche se come spesso accade c’è sempre un risvolto della medaglia negativo, i più famosi sono sempre i più imitati ed è stato proprio in questo che l’Italia non si è saputa difendere.
Spesso la qualità percepita è mediamente più bassa di quella reale è ciò è dovuto alla mancanza di uno standard qualitativo.
Non sempre un grande chef fa un grande ristorante è questo lo hanno capito molto prima di noi altre nazioni, vedi la Spagna che ha creato un proprio stile ed una propria identità anche non avendo un background gastronomico/culturale pari al nostro, hanno creato nei loro ristoranti la sinfonia perfetta tra cucina e sala elaborando come risultato finale il grande ristorante capace di regalare un’ emozione, un’ esperienza unica.
Noi italiani siamo Maestri dell’Ospitalità ma raramente riusciamo a creare la sinfonia perfetta, forse anche questa la motivazione di pochi ristoranti tre stelle Michelin in italia dove da sempre si fa cucina e ospitalità.
Un altro problema può derivare a mio avviso proprio dalle mille sfaccettature della cucina italiana e dall’assenza di una matrice, una codificazione della cucina stessa, pensare che il primo in Italia è stato Marchesi trent’anni fa, infatti si parla sempre all’estero di cuochi italiani che valorizzano prodotti italiana e non di cucina italiana, come magari accade per la cucina francese.
In altri settori lo stile italiano si identifica sicuramente con il lusso e l’artigianalità.
Come nasce un piatto nuovo nella cucina del Lefay ?
I miei piatti come dicevo in precedenza, nascono sempre dalla mia memoria, cucino in realtà quello che vorrei mangiare se fossi io seduto al tavolo di un ristorante d’hotel e vi soggiornassi per alcuni giorni, ma do anche molto spazio ai miei cuochi che venendo da regioni diverse portano quella “memoria” che rende unico il piatto, mi piace ascoltare i loro pareri, le loro idee e assaggiamo insieme i piatti e magari ognuno di loro suggerisce qualcosa, lo si riprova all’infinito finché non siamo sicuri che il piatto possa “funzionare”.
Ovviamente seguendo stagionalità dei prodotti e reperibilità, ma credo sia banale ormai sottolineare questo concetto laddove c’è sempre più la tendenza a utilizzare prodotti a km 0 e di stagione, soprattutto in un Luogo come Lefay che fa della sostenibilità ambientale il suo punto di partenza.
Come si inserisce e si integra un ristorante gourmet in una struttura alberghiera che fa del benessere e della salute il proprio cavallo di battaglia ?
Coniugare il mangiar bene con le varie esigenze alimentari dei nostri ospiti, in particolare per coloro che seguono i programmi salute Lefay SPA Method, significa dedicare particolare attenzione agli aspetti salutari del cibo senza rinunciare al gusto. In pratica significa rinunciare all’utilizzo di fondi cotti per ore, burro e panna. In cucina utilizziamo solo olio extravergine d’oliva biologico prodotto nelle aziende agricole Lefay sul Garda e in Toscana. Non è stato affatto semplice, ma dopo un lungo lavoro di ricerca e studio su testi specialistici di cucina mediterranea, vegetariana e gourmet ho elaborato le ricette dei nostri menu, caratterizzate dal rispetto delle stagioni e dal loro susseguirsi, realizzate solo materie prime di qualità che valorizzano la freschezza degli ingredienti. Questi sono i contenuti della filosofia proposta nei nostri ristoranti che abbiamo chiamato “Lefay Vital Gourmet”.
Inoltre, per gli ospiti che seguono i programmi salute e benessere all’interno della SPA, abbiamo realizzato assieme al Dott. Corradin, Presidente del Comitato Scientifico Lefay SPA Method, un menù light “La Leggerezza nell’Essere”, un approccio dietetico, detossinante e lievemente ipocalorico che ha l’obiettivo di assicurare il rifornimento energetico attraverso alimenti particolarmente selezionati per la loro qualità e trattati con metodi di cottura che non sollecitano in modo eccessivo l’apparato digerente.
Il menù La “Leggerezza nell’Essere” può essere richiesto al ristorante “La Grande Limonaia” per la colazione e la cena e nella “Trattoria La Vigna” per il pranzo e la cena.
Diversificare l’offerta gastronomica o ampliare la gamma dei servizi legati alla ristorazione. Come si affronta una crisi economica in Italia ?
“Crisi? Lo fece anche Arnaud de Pontac di aumentare la qualità dei vini per combattere le avversità economiche nel 1660 d.c.” questa è una frase che avevo letto tempo fa su di un libro e che mi viene sempre in mente quando si parla di crisi economica e che effettivamente fa riflettere ma indica anche l’unica via per poter sopperire alla crisi è cioè fare qualità, in tempi di crisi più che mai la gente punta ad acquistare meno quantità ma sempre di maggiore qualità, si concede magari una sola cena durante il soggiorno ma ha aspettative qualitative altissime.
Inoltre credo sia molto utile anche ampliare la gamma dei servizi offerti soprattutto in un resort di grandi dimensioni.
In un’epoca in cui è tutto cosi veloce, in cui si vuole tutto e subito, dove si acquista on line, (anche il cibo!) anche la ristorazione di alta gamma deve essere “prêt-à-porter” il rapporto qualità prezzo è molto importante non hanno più ragione di esistere i ristorantoni ingessati con conti da capogiro, bisogna far avvicinare la gente ai ristoranti, fare cultura per creare l’identità italiana.
Tutta la provincia di Brescia, dalla Franciacorta, al Garda, alla bassa, sta vivendo una sorta di “rinascimento gastronomico”, testimoniato anche dai riconoscimenti costantemente in crescita sulle principali guide nazionali. A quando la stella michelin a La Grande Limonaia ?
Da buon meridionale sono superstizioso! Preferisco non parlarne…
Ciao Matteo, e buona fortuna …
Si ringrazia per la collaborazione, Ing. Massimo Gelati
Nuove forme del gusto si inaugurano nella grande distribuzione, il Gruppo Metro firma e personalizza, la prima scuola indirizzata al settore formativo dell’alta cucina. Questo progetto nasce da un approccio diverso come concetto e uso, l’ Accademia si rivolge al quadro Horeca, un passaggio chiave che rende protagonista la classe industriale alberghiera e i suoi svariati canali.
Il contesto sorge all’interno della Metro di San Donato Milanese, a tagliare il nastro presenti: Claude Sarrailh, nuovo Amministratore Delegato di METRO Italia, Andrea Checchi, Sindaco di San Donato, Philipphe Palazzi, chief customer marketing officer Metro, Claudio Truzzi Manager Metro Cash carry Italia. Una grande partenza che unisce il gruppo Mondiale Metro, alle competenze dei più fiorenti fuori serie del gusto in fattore cucina, all’azione il team di chef attentamente selezionato. Nel coronamento degli elementi, si ritrova a dirigere nelle vesti di Direttore scientifico, uno dei più stimati chef fuori serie noto al pubblico, Claudio Sadler.
Affiancati in un fare disciplinato e creativo, la Nazionale Italiana Cuochi, trasforma la materia prima, in forma, gusto, colore, profumo, in squisite pietanze, una carrellata che intreccia dimostrazioni e dialogo, intorno al più grande simbolo di unione culturale, il cibo. La struttura ha un’anima moderna, pulita, funzionale, delle attitudini che si contraddistinguono nelle grandi cucine, risultato infallibile, pensato fin nei minimi dettagli per acquisire un standard qualitativo importante nelle postazioni lavorative, come poesia, dove le mansioni di un cuoco rendono le sue azioni confortevoli in ogni passaggio.
Dalle straordinarie dimostrazioni culinarie, al palcoscenico di assaggi e degustazioni, per coccolare e deliziare tutti i presenti. Una volta dimostratoci e raccontatoci le future prospettive di Metro Academy, sarà difficile non sposarne il progetto, la stagione partirà con le attività e i corsi più innovativi, qui la qualità non è un’illusione, cultura, formazione, tutto rappresentato dall’avanguardia e la professionalità Metro. La creazione di Metro Academy sarà un’esemplare forma di insegnamento, una rotta che punta dritto al domani di ogni professionista, criterio decisivo per far brillare ancora la nostra Italia.
Il balzo verso progetti formativi di design collegati al food prende una strada a senso unico.
Milano, 5 novembre 2014. Un meraviglioso colloquio ha inaugurato la presentazione del primo Master in Food Design, organizzato dalla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM e dalla SPD Scuola Politecnica di Design. Nuovi concetti si aprono per i futuri progettisti del settore alimentare, ristrutturando i meccanismi della filiera alimentare e di tutti i suoi compartimenti.
Oggi come non mai, c’è un forte legame col cibo, che si rinnova in maniera contemporanea, dove coltivare il senso del bello individua un’attività precisa, ideando il gusto per la perfezione estetica.
Il food si sposa col design, l’abitare il cibo è scandito da figure professionali che sviluppano le loro capacità a 360° nel contesto culturale dell’agroalimentare. Il Master Universitario in Food Design, nasce dalla volontà di plasmare la nascita di nuovi professionisti: design, manager, proposti ad esprimere la versione più sensibile negli accostamenti più memoriali, in ordine di sensazioni ed emozioni legate al cibo, ed ai suoi simboli più intriseci.
Ma questo percorso che storia ha? “ Ha dietro figure, esponenti, sponsor, partnership, design strategici, realtà comunicative”, che alimenteranno l’amministrazione formativa sotto tutti gli aspetti.
Aleggia un senso di compiutezza negli interventi dei protagonisti: Mauro Porcini, Chief Design Officer PepsiCo, Martì Guixè Designer e pioniere, dei principi di ergonomia e funzionalità al progetto degli alimenti, Stefano Giovannoni, Designer e architetto, Davide Paolini, giornalista e critico gastronomico, Davide Oldani, chef del ristorante il D’O, Antonello Fusetti, Direttore SPD, Giovanni Puglisi, Rettore dell’Università, Vincenzo Russo, Professore dell’Ateneo Milanese.
Si è depositato così un intenso rapporto di scambio e di collaborazione tra i professionisti e il pubblico, ma soprattutto si è percepito molto della capacità di creare realtà ideali, che definiscono temi e aspetti universali, un fattore determinante nello studio di nuovi progetti nel Food Design.
Una delle cose che ci accomuna tutti, nel ricercare scelte consapevoli, è la qualità, evocando nei confronti di questa parola, il mezzo, che comporta a valorizzarne il contenuto, una miscela che rilascia un’apertura innovativa sulla frontiera rappresentativa è funzionale del food.
L’evoluzione costante nel tempo ha fatto sì che il cibo diventasse un complemento che interagisce in maniera sempre più forte, col piatto che va presentato. Tutto scaturisce nel nostro caso da un’interpretazione ed una prospettiva, che custodisce queste relazioni. All’interno di tantissime aziende, appunto, il simbolo decorativo, come può essere il packaging, è in evoluzione, un punto che racconta e valorizza il target del prodotto. Il risultato? Una grandissima richiesta di collaborazioni con i designer, è tutta una filiera che costruisce i fattori determinanti dell’immagine del Brand.
Questi concetti espressi oggi, e condivisi da chi ne assorbe l’importanza è un linguaggio che diventa la sinfonia decorativa del cibo, la scala progettuale di un percorso creativo nel segno degli elementi del gusto, che non esita ad arricchire il cibo con oggetti e materiali, di forte impatto scenografico di design, con quell’indiscutibile “ savoir faire”, che non stanca mai di creare suggestioni.
Ringrazio l’Architetto Galluzzi Sofia, per la sua collaborazione e delucidazione dei temi di settore affrontati.
Sulla figura di Mauro Biondini esistono diversi pensieri. La sua storia è costellata dal dono di amare la musica e le sue opere liriche, e soprattutto quella magica passione per tutto ciò che arte e che alimenta la vita.
Un vissuto stimolante riporta una carriera devota alla musica ma che indubbiamente trova la sua carica interiore mettendosi in gioco nell’umiltà di trasmettere il Sapere. Quel sentimento che presta per raccontare l’anima e lo spirito delle cose, caratterizzati dall’esprimere universi affini, tra musica, regia, e voglia di comunicare.
Dobbiamo avere una immensa riconoscenza nei confronti di Mauro Biondini, cultore e regista delle opere liriche e non solo. A 70 anni è un amore il suo, tra musica e regia, che ha radici profonde, sentimento, eleganza, solidarietà, il suo sodalizio ha spettacolari e coinvolgenti trascorsi. È proprio così che si impara davvero ad amare l’arte, senza dimenticare i modelli e gli esempi, insieme a quella melodia che evoca in noi tanti ricordi, dove ognuno può ritrovarsi e prendere un respiro.
Nella vita di Mauro Biondini tutto parte dalla passione, porta a mille sfaccettature, così la sua prima nota lo lega alla lirica e al grande Verdi, che perfettamente rappresenta nei suoi capolavori dedicati, sintetizzando nei suoi film-documentari, l’essenza sofisticata della musica, prima in lista, cent’anni della Corale Verdi, al Teatro di Regio.
Lui trova l’ispirazione nella musica, dando un tocco profondo alla sua interpretazione, col preciso intento di fare amare l’opera. Partendo da questo ideale e parlando di successo ottenuto, la storia è davvero magica.
Se pensiamo a una pellicola che ci racconti le tracce dell’opera, non possiamo non leggere la firma di Mauro Biondini, che riesce nel miracolo di toccare le emozioni dello spettatore.
Orgoglioso ed impegnato in un lavoro commovente da tutti i punti di vista, è stato protagonista di diversi documentari, più di un centinaio nel corso della sua carriera, trovandoci a citarne alcuni ricordiamo: Dedlà da l’àcua , con Verdi nella sua terra, il capolavoro con Carlo Bergonzi,”arte e vita”, tenore lirico recentemente scomparso. I filmati sulla Tebaldi, la corale di Verdi, Maria Luigia una sovrana, una donna, le Perle della provincia di Parma.
Una straordinaria ricchezza culturale. La sua esperienza è fantastica, una realtà che racconta musica, soggetti e territorio, dal momento che essere parmigiano lo rende entusiasta, non perdendosi così l’occasione di raffigurare le bellezze territoriali di Busseto e dintorni.
La creatività e le qualità di quest’uomo sono preziose: critico, intellettuale, curioso, sportivo, appassionato di cucina, sono tutti aspetti che rivestono la sua vita. E proprio a questo ci riferiamo quando scriviamo “lirica e non solo”.
Cus Parma storia di un amore, racconta una importante e forte storia di identità sportive, successi di tante generazioni legate allo sport, alla cultura, al sacrificio di sostenere le discipline, in quella che oggi è la più grande polisportiva dell’Emilia: il Cus Parma.
Biondini ha percorso e vissuto insieme per vent’anni queste vicende, perché lo sport è altrettanto parte integrante delle sue passioni, così da proclamarlo un tecnico sportivo di tutto rispetto.
Si è sempre spinto al massimo, incitando e spronando gli altri a fare lo stesso, queste caratteristiche stanno alla base della sua vita e questo ci permette di capire chi per noi rappresenti.
Nel mondo della musica lirica e non solo, lei è ritenuto un “ maestro”. Un regista, integro, discreto, esemplare, che raccoglie e dirige testimonianze più svariate ed apprezzate dell’arte musicale. Che cosa ne pensa degli attuali artisti crescenti, possiamo affidarci al loro impegno?
È chiaro che parlando e dando un giudizio di questo tipo, si sconfina spesso nella retorica. Il cast che c’era allora, e cito due nomi d’elite: Piero Cappuccilli e Flaviano Labò, possiamo definirli delle leggende. Una volta c’era lo studio a pari passo con la gavetta, e meno possibilità, quindi emergevano solo coloro che avevano tantissima qualità, non erano frutto di un sistema di collocamento dei vari procuratori, il mondo è cambiato ovviamente, e non solo nella lirica. Ai giorni nostri ti posso dire guardando da un lato positivo, che sono molto di più i giovani che si approcciano, al teatro, giusto per guadagnare delle emozioni. Parlando di giovani promesse non ci sono delle grandi voci Italiane, Roberto Aronica che stasera canta nella “Forza del Destino” attualmente lo ritengo il più elevato tenore Italiano, Francesco Meli un altro giovane brillante. Una certezza assoluta che ci rende orgogliosi, è quella di essere stati portatori emblematici di una cultura musicale, che acclama e premia i grandi del panorama Italiano.
Che cosa ha rappresentato per lei il tenore Carlo Bergonzi, lei l’ha ricordato con estremo affetto, specie quando assistiamo al suo documentario: fa emergere un silenzio pieno di musica, recita, ci racconta, capace davvero di raccontarci la grande “Opera”, e la grande bellezza di un uomo, come ci è riuscito?
Ho giocato la sola carta che mi rimaneva, le mie emozioni, le mie sensazioni, fare dei lavori come si suol dire di pancia. Carlo Bergonzi è figlio di frequentazioni teatrali, figlio di grandi momenti. Lo incontrai in occasione di un Aida. Da lì incominciò una frequentazione affettiva, un’amicizia che passava prima di tutto in stima e senso per la musica, così in una maniera del tutto naturale, composta da una fiducia reciproca, incominciammo a girare la storia della sua vita, abbiamo lavorato assieme per due anni, Busseto, Vidalenzo, in Teatro, nel suo arbergo i Due Forscari, Milano, Bergonzi non ha mai letto una riga della sceneggiatura, o tenuto fede al copione, le cose più importanti, quello che trasmetti, che insegni, che lasci, le esprimi quando fai bene il tuo mestiere, e lui era lo specchio di questo bene prezioso. Una parabola che avrà sempre una scia ineguagliabile.
Non solo opera, arte, sport e regia, ma anche impegno sociale, solidale, una sensibilizzazione volta ai meno fortunati: “il documentario Dedlà da l’àcua” ha sostenuto la mensa dei poveri, raccogliendo 6.000,00 €, con la vendita dei Cd. Che effetto fa passare attraverso questa causa, soprattutto se il mezzo è frutto della sua passione?
Io ho giocato tutto me stesso su una scelta di vita, attraversando un percorso fatto di sensibilizzazione, dissipando questo messaggio, ho avuto l’appoggio di vari enti: Rotary, Lions, amministrazioni Provinciali, Comunali, tutti sono stati disposti a darmi una mano. Coperti i costi, tutti i lavori che ho fatto sono stati in beneficenza. Così come con “Le Perle della Provincia” il cui profitto è andato alla scuola dei giovani della Corale Verdi. È un po’ come cogliere il vero contatto, trasmettere la nobiltà verso chi ne ha davvero bisogno, ed è questo un vero miracolo.
Sono passati poco più di cinquant’anni dal suo via alla musica, come lei ha raccontato al teatro di Reggio nel 62, fu una bella lotta per ottenere i biglietti. Davano: “la forza del destino”. Rispetto al passato oggi lei si ritrova ad essere primo spettatore, opinionista, ideatore, dirigente emblematico di “Vi racconto l’Opera”, una serie che riassume le opere in scena, dunque se assunto un ruolo che le veste a pennello, me ne parli.
Sarò molto onesto, in prima persona mi ritrovo a vivere e respirare il Teatro, le mie giornate sono scandite da questa costanza. Come semplice spettatore in questi ultimi undici anni, mi sono reso conto che l’entusiasmo e la partecipazione, degli appassionati dei tempi passati è un po’ scemata. Figlia dei tempi la scarsa qualità degli allestimenti, la cultura non da profit. Io col mio programma “Vi racconto l’Opera” ho cercato di informare e educare verso una direzione culturale che sviluppa continuità.
Domanda più spensierata. Lei ha avuto la capacità di unire oltre la passione per l’Opera, quello dello sport, simultaneamente questi compiti si sono rilevati processi di una vita che gli hanno concesso tante soddisfazioni. Se le dico Cus Parma, cosa le viene in mente?
Cus Parma è stata la mia occasione, l’università da cui arrivo, lascia dietro di se tante possibilità, si trattava di attuare la grande filosofia dei Campus Americani. Io avevo grande entusiasmo e delle idee, da dove si poteva lavorare. Ho avuto la fortuna di organizzare eventi che rimangono impagabili, grandi meeting di atletica leggera, campionati del mondo, miscelati alla cultura, accompagnando sempre queste realtà alla musica, due bellissime vocazioni. Tante consulenze sportive mi hanno visto primeggiare a spalla con grandi nomi: Barilla, Parmacotto, Cariparma, a un certo punto amministravo più di 300 attività sportive. Questi percorsi rimarranno sempre delle lezioni eterne, lo specchio in cui io mi posso osservare, in ogni momento io ne senta nostalgia.
Essere illuminati attraverso il racconto e la vocazione di Biondini, ci ha reso il compito prezioso. In quasi due ore il nostro caro protagonista apre lo scrigno della sua vita, narra il ruolo più difficile da interpretare, e si racconta a cuore aperto.
Nell’atmosfera immutata del Teatro di Regio, a Parma, tutto è sembrato speciale, in un linguaggio dove le parole non bastano, quello che si capisce arriva dalle emozioni.
Alma, scuola della cucina Italiana, registra un’altra novità. Venerdì 10 0ttobre ha sancito l’appuntamento più atteso dell’anno per gli studenti del 23° corso Superiore di cucina, la serata degli show neo cuochi che ha segnato un passaggio chiave nel loro percorso. Quanto meno la svolta che li rende a pieno titolo giovani cuochi.
Proprio così: quel diploma tanto atteso, un prima e un dopo raccontato.
L’aspettativa di assistere a queste avvincenti cerimonie crea una continuità, che alimenta una comunicazione di interazione anche con chi non ne è coinvolto in prima persona. Lo si capisce lanciando un breve sguardo a chi, da sotto il palco, alimenta le speranze per il proprio figlio o beniamino. Sul palco, ad uno ad uno, sfilano giubbe bianche e strette di mano: quelle pronte ad afferrare il meritato diploma, frutto di uno studio e di un percorso durato dodici mesi intensi, attraverso una formazione altamente professionale che solo Alma, scuola di cucina, ha il prestigio di governare.
” La famiglia di Alma”, cosi mi piace apostrofarla, è ricca di persone che hanno dato e continuano a dare tanto, la stessa ragione che rende Alma la scuola di cucina internazionale più prestigiosa del settore.
Gualtiero Marchesi, (Rettore Alma), Andrea Sinigaglia, (Direttore Alma), Giovanni Ciresa, (Coordinatore Didattico), Matteo Berti, (Coordinatore Didattico di Pasticceria), Michel Magada, Tiziano Rossetti, Marco Soldati, ecc.. e l’Ingegnere Accademico Massimo Gelati (Sicurezza degli Alimenti), quest’ultimo dimostratosi molto apprezzato dall’indice di gradimento degli studenti.
Tutti presenti a consolidare e rappresentare l’istituzione Alma insieme ai ragazzi neodiplomati.
Non sono mancati sorrisi, interventi, aneddoti mentre un monitor mostrava le mirabili performance culinarie degli allievi, che conquistavano la nostra attenzione. Veri capolavori di ciò che hanno appreso e recepito dall’insegnamento Alma: la scommessa e la nascita di nuovi chef di valore.
Tra le tesi che più si sono distinte figura quella di Rattini Giorgio, un cammino nei meandri della Sicilia, il racconto di un viaggio nella Ragusa più energica, fatta di sapori, territorio e tradizioni antiche. Nel cuore e nelle menti di questi giovani chef, la passione è calda come un raggio di sole.
La serata si è celebrata consumando un ricco buffet, curato e preparato dagli esperti della cucina Alma. Si è concluso un anno significativo, di grande successo. Lo dimostra intensamente la crescita di iscrizioni, decisamente ogni anno maggiore del precedente. A supportare questa espansione hanno partecipato attivamente alcuni giornalisti del TG5, che hanno dedicato un servizio sulle migliori scuole di Arti e Mestieri d’Italia.
Non solo una grande conclusione, ma il rinnovo di un nuovo anno che è già sul nascere. L’immagine è quella di un fermento di un sabato mattina del giorno successivo, l’11 ottobre, che stringe la mano al giorno passato, dando così il via all’inaugurazione del XI anno Accademico.
Quest’anno la cerimonia d’apertura si è alimentata di temi e realtà profonde: la conferenza tenuta da Claudio Della Seta (Capo Redattore del TG5) ha tenuto banco e affrontato la discussione dell’occupazione, il peso delle testimonianze, e il valore di tali protagonisti, dei mestieri d’arte in Italia.
Di fronte a tanta valenza comunicativa e prospettive, la Reggia di Colorno brillava e brulicava di oltre 400 giovani studenti, dei workshop, o il fascino di una fotografia della mostra dei Mestieri d’Arte, che ha annunciato un inizio caratterizzato da una preminenza che solo Alma e i suoi partecipanti possono regalarci.
Si ringrazia inoltre l’intervento di apertura di: Andrea Zaniari, Presidente della Camera di Commercio di Parma.
Questa esperienza mi ha spinto non solo a raccontarvi la storia dei successi, o quella di condividerne la passione o il valore: questa è anche la testimonianza di quelle persone, che oggi tengono salde le fondamenta della causa più nobile che esista: “il lavoro”, trovando espressione in un opera antica come il mestiere del saper cucinare.
È stata una grande manifestazione l’iniziativa che si è svolta a Milano, all’interno del palazzo Isimbardi. Nel comunicato diffuso da tutte le persone presenti, pubblico ed esperti, il messaggio primario annunciava: “L’importanza della sostenibilità, sul fronte del tessile”.
A sostenere questa grande partita hanno preso posizione diverse figure, aziende, istituzioni, col patrocinio dell’Expo 2015, simbolo imprescindibile del sostegno della salvaguardia del nostro pianeta, ragione in più per prepararci a riflettere, ed imparare l’importanza della moda sostenibile.
Se finora a guadagnare l’attenzione del consumo dei prodotti eco-sostenibili, compariva la filiera delle materie prime collegate all’alimentazione, oggi non si può più ignorare, o mettere in secondo piano, l’importanza del tessuto che entra in contatto con la nostra pelle, in gioco c’è la salute personale e la tutela dell’ambiente in cui viviamo. Non si tratta più di prestare attenzione a ciò che ingeriamo, oggi è di fondamentale importanza guidare, e lasciarsi guidare da altre fonti, che agiscono comunicando e diffondendo una cultura e una disciplina a favore dell’essere umano e della natura, un ciclo che si compensa universalmente.
Attenzione ed occhi puntati, dunque sono stati rivolti alla magnifica esposizione di capi realizzati con materiali sostenibili, creazioni di chi tiene fede dei materiali biologici,ecologici e naturali, nello stesso tempo liberandosi dai pregiudizi del poco “cool”,c’era da stupirsi ammirando le collezioni. La creatività sostenibile non mancherà a divenire attrattiva globale.
Sui passi più decisi a diffondere concetti ed esempi, sono i messaggi lanciati dalle persone coinvolte in prima persona, interventi, premesse, progetti, testimonianze che segnano una storia tra il prima e il domani, quel domani composto dalla “moda naturale.”
Si ringraziano i seguenti partecipanti: Silvia Garnero, Assessore alla Moda, Eventi ed Expo della Provincia di Milano
Anna Detheridge, Connecting Cultures Paolo Foglia, Responsabile Ricerca & Sviluppo di ICEA – Istituto Certificazione Etica e Ambientale Marco Ricchetti, Sustainability Lab Mauro Rossetti, Direttore dell’Associazione Tessile e Salute – Osservatorio nazionale tessile-abbigliamento-pelle-calzature Pier Giorgio Silvestrin, Imprenditore e Vice Presidente CNA Federmoda Nazionale Mauro Vismara, Titolare della Maeko Tessuti, Produzioni tessuti con filati naturali Cristina Tajani, Assessore alle Politiche per il lavoro e Sviluppo economico del Comune di Milano
G Ristorante italiano, ristorante del Golden Palace all’interno del Gruppo HCS, leader in Italia della ristorazione 5 stelle con a capo il Presidente Carlo Samuelli e l’Executive Chef Diego Rigotti, lo Chef stellato più giovane d’Italia, continua con gli appuntamenti denominati “Gustus et Vinum, L’aperivino”, il progetto attivo da Aprile 2014 e volto alla presentazione delle principali cantine piemontesi e non, si evolve coinvolgendo maggiormente ed in prima persona i produttori di vino che diventano i veri protagonisti della serata.
Ogni mercoledì, un aperitivo di degustazione accoglierà gli appassionati e i buongustai in attesa della cena nella splendida cornice del G Ristorante italianoal’interno del quale, in un momento conviviale comune, l’attore protagonista,
il produttore, terrà banco raccontando le peculiarità e le caratteristiche dei suoi vini piacevolmente intervallati da aneddoti e da episodi legati alla cantina e al territorio, degustando piatti stellati studiati nel dettaglio dallo Chef Diego Rigotti in abbinamento alle etichette presentate.
Gustus et Vinum
degustazione e cena gourmet, l’appuntamento che unisce curiosià, passione e conoscenza, amore e gusto.
Così com’è avvenuto per il cibo, la moda fa parte di quella cultura materiale che si è manifestata nella storia nell’uso e nella lavorazione delle risorse locali. L’interesse crescente dei consumatori per comprendere cosa stia dietro ai prodotti in termini di qualità, impatto ambientale, condizioni di lavoro, giusto rapporto qualità e prezzo, trova riscontro in molte iniziative che nascono dal mondo della ricerca, dalle aziende, dalle istituzioni e dai consumatori.
L’Expo può diventare l’occasione per le aziende della moda “naturale” di comunicare i valori che riflettono il meglio del Made in Italy: una filiera trasparente che garantisca la quali- tà e la sostenibilità dei suoi prodotti, la giusta remunerazione del lavoro, la specificità delle diverse professionalità. Parallelamente al confronto, verrà presentato il lavoro di artisti e stilisti che operano nell’ambito di un nuovo linguaggio per esprimere i concetti propri della moda.
AGRICOLTURA MILANOFESTIVAL
Sabato 4 ottobre 2014 – Ore 17.00
Sala Affreschi di Palazzo Isimbardi – Corso Monforte, 35 – Milano
Saluto
Silvia Garnero, Assessore alla Moda, Eventi ed Expo della Provincia di Milano
Intervengono:
Anna Detheridge, Connecting Cultures
Paolo Foglia, Responsabile Ricerca & Sviluppo di ICEA – Istituto Certificazione Etica e Ambientale
Marco Ricchetti, Sustainability Lab
Mauro Rossetti, Direttore dell’Associazione Tessile e Salute – Osservatorio nazionale tessile-abbigliamento-pelle-calzature Pier Giorgio Silvestrin, Imprenditore e Vice Presidente CNA Federmoda Nazionale
Mauro Vismara, Titolare della Maeko Tessuti,
Produzioni tessuti con filati naturali
Conclude
Cristina Tajani, Assessore alle Politiche per il lavoro e Sviluppo economico del Comune di Milano
Coordina
Marina Bigi, Direttore di TuStyle
Aziende Selezionate aderenti CNA Federmoda Torino
Elena Imberti
Gabriella Deplano
Elisa Giampietro
Lucia Russo
Rossella Calabrò
La Distilleria Bocchino di Canelli (At) propone il Concorso culinario “Lo Spirito del Tempo”, evento nato in collaborazione con Passione Gourmet, che ha preso il via lo scorso gennaio 2014. In autunno sarà proclamato il cuoco vincitore, scelto fra chi avrà saputo osare e esprimere al meglio la versatilità dei famosi distillati, attraverso un’interpretazione attuale di una ricetta storica della tradizione italiana.
Protagonista e vincitore del mese di luglio è il piemontese Matteo Baronetto, Executive Chef del ristorante ”Del Cambio” a Torino, che propone il piatto “ Branzino al vapore e coda di bue brasata”. La sua ricetta ha convinto gli esperti fra i 150 assaggi effettuati: un successo meritato.
Il ristorante Del Cambio, un monumento della storia e ristorazione italiana, è da qualche mese il suo regno. Dopo un’accurata e attenta ristrutturazione e riqualificazione, questo luogo magico ha riaperto: una sfida per lo Chef, che è stato per molti anni il braccio destro di Carlo Cracco. Ne esce un’immagine precisa di una cucina intrigante, riconoscibile a prova di un talento libero di esprimersi.
Lo Chef in questo piatto propone la sua cucina, di forte personalità, sicura, concreta, di ricerca continua, composta da pochi ingredienti, che coinvolge, sollecita l’immaginario e la memoria dell’interlocutore su vari livelli, dove l’incontro tra mare e terra trovano il loro punto di equilibrio.
Matteo Baronetto, classe 1977, nato a Giaveno, un paese vicino a Torino, studia all’Alberghiero di Pinerolo, matura esperienze professionali presso La Betulla a San Bernardino di Trana (To). Successivamente approda dal Maestro Gualtiero Marchesi presso L’Albereta, dove ha modo di conoscere Carlo Cracco. Lo seguirà alle Clivie di Piobesi d’Alba e al Cracco-Peck di Milano, successivamente Ristorante Cracco. Dall’aprile 2014 è Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino.
Ci troviamo seduti nel più elegante ristorante, della città più elegante d’Italia, precisamente nel “Bar Cavour” avvolti in un’atmosfera magica. In questa intervista ci accompagna con lo sguardo, da un suo conosciutissimo ritratto, un grande habitué del Cambio, famoso registra dell’Unità d’Italia.
A soli 17 anni lei scrisse un paio di lettere a Carlo Cracco, dove gli domandava di poter lavorare con lui all’Albereta, allora gestita dal Maestro Gualtiero Marchesi. Lo stesso Cracco ricorda questo episodio nell’introduzione del suo conosciutissimo libro “ Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”. Aggiungendo che fu molto colpito dalla sua determinazione e decise di accettare la sua candidatura.
Che ricordi, motivazioni ed emozioni l’hanno spinta così giovane a scrivere proprio a questo chef?
A Carlo Cracco mi lega un affetto sincero. Ai tempi, un mio professore della scuola alberghiera, che conosceva un sommelier che lavorava da Gualtiero Marchesi, mi chiese se alla fine della scuola volevo andare a fare esperienza all’Albereta, io accettai e fu il mio tramite. Inoltre proprio in quel momento Carlo Cracco, chef all’Albereta, cercava una persona alle prime armi per la sua brigata: disponibile, volenterosa, che non si tirasse indietro. Furono proprio queste le caratteristiche che seppe apprezzare in me. Iniziò tutto così. La cosa più bella e magica, è che non mi rendevo conto di dove stato andando, non sapevo cosa significasse una cucina con 20 cuochi e fino ad allora non conoscevo la fama del Maestro Marchesi.
Lei è stato eletto vincitore per il mese di luglio del Concorso “Lo spirito del Tempo” by Distilleria Bocchino, col piatto “Branzino al vapore e coda di bue brasata”, che propone consistenze, cotture di elementi distanti, ma che inaspettatamente danno vita a un bilanciamento di gusto sorprendente. Da dove prende corpo l’idea di rivisitare questo piatto e quali sono gli equilibri che modellano i sapori?
Proprio in questa creazione è racchiuso un passaggio che sto cercando di compiere; l’esatto passaggio di Baronetto da Cracco a Milano, a Baronetto al Cambio a Torino. In questo piatto definito da Alberto Cauzzi, ideatore e presidente del progetto Passione Gourmet, geniale, irriverente, terribilmente buono, ogni elemento fa “a pugni” con l’altro. Partendo dal piatto tradizionale, la coda di bue classica, il branzino diventa la sua degna consistenza e lascia percepire tutta la sua delicatezza. Nella mia visone di cucina apprezzo molto, un piatto che abbia solamente due passaggi, che non confonda, che faccia riflettere e non sia troppo bello esteticamente.
Definisco la mia cucina “un’improvvisazione ragionata”: l’improvvisazione è il momento, l’attimo, l’approccio con un’idea nuova, il termine ragionata indica il modo, la possibilità di poterla proporre. Coniglio e salmone ad esempio, sono un abbinamento che sconvolge gli equilibri, una rottura con gli schemi e un’evocazione di un prodotto, come il salmone, che è stato bistrattato negli ultimi 25 anni. Il primo piatto che ho ideato con l’abbinamento carne e pesce, fu nel 2002, il rognone di vitello con i ricci di mare. In natura esistono prodotti, che anche se di categorie diverse, hanno delle affinità. In questo caso la ferrosità del rognone, la sua nota aromatica si lega molto bene col salmastro e la sapidità del riccio.
Creativo, attento, talentuoso, posato, non ha bisogno di “fare rumore” per far notare la sua bravura a chi se ne intende. Milano per Torino, un ritorno alle origini, un cambiamento importante al ristorante Del Cambio.
Ci racconta le sue impressioni dopo alcuni mesi dall’apertura?
In seconda superiore avevo già fatto uno stage al Cambio, quello che io considero uno dei ristoranti simbolo di Torino. In questo ristorante sento una percezione di libertà. Carlo Cracco mi aveva dato in mano la cucina del suo ristorante con una fiducia incondizionata, una rarità in questo ambiente. Quando è entrato in un mondo che non era più mio, dove c’era una concezione diversa delle cose, mi sono reso conto, in un modo molto umile, che non ero più adatto a seguirlo.
Un ristorante di successo ha al suo interno, in cucina, una brigata che deve funzionare all’unisono, come un’orchestra.
Quali sono gli elementi che le fanno capire e scegliere i suoi collaboratori?
Non sono io che scelgo le persone, ma sono le persone che scelgono me, che decidono di rimanere. Per chi vuole lavorare nella mia cucina, impegno e dedizione sono fondamentali. Non meno importanti il rispetto delle persone e delle regole. Apprezzo le persone che hanno la voglia e la volontà di seguirti nello sviluppare un lavoro, nel decodificarlo, quando si sviluppano pensieri che non sai dove ti porteranno.
In un’intervista al ristorante Del Cambio, prima dell’apertura ufficiale, lei ha espresso la sua volontà di sostenere un principio culinario tradizionale piemontese, rielaborando il suo attuale metodo. Torino come ha accolto la sua proposta?
Sono molto contento dei risultati. A Torino c’era la necessità di ritrovare un luogo dove poter mangiare in modo diverso e in tutta onestà non pensavo di poterlo fare in 5 mesi. Non ho ancora vinto la mia partita, con i Piemontesi e Torinesi, ma devo dire che c’è stato un senso di affetto e rispetto molto caldo nei miei confronti. Mi sono sentito accettato e riconosciuto come un piemontese che torna in patria, dopo aver lavorato quattordici anni a Milano. A mio favore devo dire che mi sono rivolto a loro con umiltà, non era mia intenzione fare quello che dice “adesso vi faccio vedere io”. Ho cercato solo, e questo è il mio pensiero, di varare la nave. Nel varo di una nave da crociera, come questo, bisogna essere sensibili, ma anche riflessivi. Un grande pilota, un comandante, non può non essere riflessivo.
Matteo Baronetto è stato protagonista di una trascinante testimonianza: lo ringraziamo per averci accolto in un luogo affascinante e intriso di storia.