Marketing Olfattivo: intervista a Maurizio Bellini di Aroma Design

L’essere umano può chiudere gli occhi davanti alla bellezza, davanti alla grandezza.  Può turarsi le orecchie per non ascoltare una melodia, ma non può sottrarsi al profumo.  Fra tutti i sensi l’olfatto è l’unico che arriva direttamente al cervello, alle nostre emozioni, senza intermediari. Studi di mercato hanno evidenziato come il ricordo di un brand aumenti se nell’ambiente troviamo una profumazione gradevole. Nasce così il Marketing Olfattivo.

Per comprendere e per sapere di più sul significato di questo strumento utilizzato da chi comunica un brand, abbiamo rivolto alcune domande dr Maurizio Bellini, titolare di Aroma Design.
Marketing Olfattivo: cosa l’ha portata a fare ricerca in questo settore? 
Sicuramente il motore principale è stata la curiosità e la possibiltà di lavorare su progetti articolati dove il successo è legato ad un mix di componenti tra cui individuare necessità spesso inespresse, identificare il consumatore tipo o il consumatore desiderato e centrarne le esigenze, il tutto non perdendo di vista le diverse tipologie di ambiente in cui diffondere . Insomma una sorta di equazione con diverse incognite dove spesso è fondamentale il processo di affinamento fatto sulle diverese variabili.
Detto così sembra matematica, nella realtà è una attività straordinariamente varia dove contribuiscono le esperienze tecniche e dove bisogna lavorare in tandem con il committente per realizzazione dell’effetto desiderato. Si entra nel mondo del Marketing Olfattivo per curiosità ma ci si rimane per passione.
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Quanto l’esperienza americana vi ha influenzato nelle vostre scelte imprenditoriali. 
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Moltissimo e pochissimo insieme.
Sicuramente negli Stati Uniti, dove è nato il Marketing Olfattivo così come lo intendiamo nella sua accezione moderna, si possono incontrare gli esempi più spettacolari di teatralizzazione realizzati attraverso l’utilizzo del profumo: i grandi casinò, centri commerciali, Hotel e Musei offrono la possibilità di verificare come l’ambiente muta in relazione alla diffusione della fragranza.
Inoltre è grazie al lavoro fatto dai nostri colleghi di Charlotte (NC) che siamo entrati in contatto con ScentDirect_Open_NoBackgroundun mondo accademico che ha realizzato studi su come varia il comportamento del consumatore in relazione agli aspetti olfattivi nell’ambiente: una stessa famiglia di consumatori è disposta a variare la sua aspettativa di investimento per lo stesso prodotto se questo è inserito in un determinato contesto olfattivo.
Allo stesso tempo abbiamo dovuto mixare tutte le informazioni ricevute con la diversità del nostro consumatore tipo; rielaborare tutta la libreria delle fragranze rendendola adatta alle aspettative di un pubblico, quello italiano, totalmente diverso da quello statunitense.
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Questa attività, continuamente in evoluzione, è stata sicuramente la parte più stimolante del progetto perché ci ha consentito di entrare nel merito delle aspettative e delle emozioni che prova il consumatore del nostro territorio.
Com’è cambiato nel tempo l’atteggiamento delle imprese nei confronti del marketing olfattivo.
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Le Aziende Italiane sono in questo momento in una fase di valutazione: estremamente incuriosite dal Marketing Olfattivo ma prive, ancora, di dati oggettivi che gli consentano di valutare quale possa essere l’effetto sul proprio consumatore.
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Lavorare con la una Azienda presente in 109 paesi nel mondo ci ha consentito di identificare i diversi atteggiamenti e quindi le diverse motivazioni all’investimento da parete dei Brand.
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I Brand anglosassoni e nord europei, sostenuti da una mole impressionante di dati provenienti sopratutto dal lavoro di ricercatori e accademici oltre che dai media, sono fortemente orientati ad investire nell’olfattivo: hanno la ceretezza che aumentando la “spettacolarizzazione” del punto vendita aumentino le vendite. Il ritorno sull’investimento è assicurato.
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Nei paesi del Medio Oriente e Asia la spettacolarizzazione del punto vendita equivale a posizionare il proprio prodotto/servizio ad uno status più elevato: il marketing olfattivo è funzionale al punto vendita come lo sono la musica in store, l’arredamento il gioco di luci etc. In questi paesi il Marketing Olfattivo è visto come un elemento indispensabile per attrarre il consumatore desiderato, quello cioè con la maggiore propensione all’investimento.
 
L’Italia è ancora in una fase interlocutoria: investire ancora nel visuale o percorrere nuove strade? 
Quello che trovo molto significativo è che la maggior parte dei responsabili che nelle Aziende italiane si occupano/interessano al Marketing Olfattivo – quelli che lavorano nell’innovazione del punto vendita – ci contattino al ritorno da un viaggio all’estero.
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Credo che lo sforzo maggiore da parte di noi operatori del settore in questo momento debba essere rivolto a creare informazione per le Aziende e, questo personalmente lo trovo molto importante, metterci a disposizione dei ricercatori italiani, perchè partendo da analisi empiriche possano studiare il comportamento del consumatore in presenza delle variabili olfattive.
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Come si arriva alla scelta della fragranza da associare ai vari settori, e quante prove si fanno in media per definire quello giusto? 
Si parte facendosi raccontare dall’interlocutore quanto più possibile sulla storia della propria Azienda, sui propri clienti e sui propri punto vendita ; insieme a lui si realizza un documento nel quale si descrive, tra le altre cose, la fragranza giusta per il proprio consumatore.
È assolutamente necessario fare insieme questo percorso perchè domandare “descrivimi la fragranza per i tuoi punto vendita” risulta disorientante .
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Dopo questa prima parte del percorso si lavora sulla realizzazione di un documento dove siamo noi a raccontare quello che abbiamo recepito sull’Azienda, sul suo consumatore, sui suoi punti vendita.
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È  un passaggio determinante perchè si arriva ad una sintesi tra quello che si è trasferito e quello che è stato recepito.
Dal sito web  aromadesign.it
Dal sito web aromadesign.it
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Solo dopo questo lavoro di affinamento si presentano 4/5 soluzioni olfattive. Si parte sempre da fragranze di libreria e se il numero dei punti vendita lo consente si passa alla realizzazione di una firma olfattiva, cioè di una fragranza propria destinata a seguire e a caratterizzare i punto vendita del cliente. Risulterà determinante in questo caso non solo valutare il cliente tipo, gli ambienti, i prodotti ma anche i diversi ambiti territoriali nel quale il committente vorrà diffondere la fragranza.
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Solo dopo questi passaggi si realizza una “signature” e se ne produce la scheda tecnica di sicurezza nel quale si certifica che la fragranza risponde alle indicazioni dell’IFRA (International Fragrace Association). Prodotta la certificazione si introduce la fragranza nei punti vendita pilota e successivamente si passa alla estenzione del progetto.
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Anche il singolo punto ha necessità di un percorso analogo, ovviamente senza passare attraverso la realizzazione di una fragranza propria ma attingendo dalla libreria olfattiva a disposizione.
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Ovviamente le fragranze cambiano in relazione all’ambiente e dello stato in cui si trova il consumatore tipo, e la tipologia di acquisto o di servizio che si appresta a valutare. Genericamente gli ambienti, e conseguentemente le fragarnze, si distinguono in macrofamiglie: ambiente dove il consumatore si reca per effettuare un acquisto critico (mutuo, autovettura, mobile) l’acquisto cioè di un bene o servizio che accompagnerà il consumatore nel medio/periodo; ambiente Relax, dove il consumatore cerca un’oasi di tranquillità, ambienti ospitalità dove il cliente trascorre un periodo di vacanza o di riposo dopo una giornata lavorativa etc.
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Per ciascun ambiente ci sono una o più fragranze funzionali alle aspettative/necessità del consumatore: in una sala di attesa di uno studio medico il paziente attende anche oltre i 40″ in uno stato spesso di ansia e preoccupazione. Uno studio del Psychology of Waiting ha dimostrato che l’attesa per una prestazione o per un consulto medico risulta frustrante, avvilente e peggiora ulteriormente i disagi che hanno spinto il paziente a ricorrere alle cure mediche; inoltre nel paziente interviene il fenomeno dell’ansia la quale peggiora la percezione sgradevole dell’attesa e in specifici casi questa può degenerare in attacchi di panico.
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La diffusione di una fragranza vanigliata ha come caratteristica la capacità di variare in positivo il tempo e può stimolare l’organismo alla produzione di ossitocina, un’alleato naturale per controllare la depressione e l’ansia
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State seguendo gli sviluppi dei brevetti che riguardano il mondo virtuale? 
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La rete sicuramente potrà diventare una opportunità di veicolazione del Marketing Olfattivo.
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Allo stato attuale non si reperiscono ancora soluzioni che possano sfruttare una tale opportunità, mentre è sempre più frequente interagire in contesti multimediali e quindi la diffusione delle fragranze deve coincidere con l’enunciazione di uno slogan o con il passaggio di un video su un maxischermo.
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Presto in una nota catena della Grande Distribuzione saranno posizionati dei Totem dove l’interazione del consumatore sarà esaltata da una diffusione diversificata di fragranze: si sfrutta cioè la mamoria olfattiva per esaltare la campagna promozionale di prodotti/servizi.
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Obbiettivi futuri?
Come ho già avuto occasione di dire mi piacerebbe portare avanti l’interazione con il mondo accademico perchè anche in Italia si portino avanti sperimentazioni empiriche attraverso le quali si possa analizzare il comportamento del consumatore in presenza ed in assenza di Marketing Olfattivo; contribuire, quindi, alla realizzazione di dati oggettivi che possano essere utilizzati dal mercato imprenditoriale per valutare la straordinaria incisività del Marketing Olfattivo.
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Roberta Coco
Interior Designer e Visual Merchandiser

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Intervista a Mauro Biondini: “l’Opera lirica, e non solo”

Mario Biondini
Mario Biondini

Sulla figura di Mauro Biondini esistono diversi pensieri. La sua storia è costellata dal dono di amare la musica e le sue opere liriche, e soprattutto quella magica passione per tutto ciò che arte e che alimenta la vita.

Un vissuto stimolante riporta una carriera devota alla musica ma che indubbiamente trova la sua carica interiore mettendosi in gioco nell’umiltà di trasmettere il Sapere. Quel sentimento che presta per raccontare l’anima e lo spirito delle cose, caratterizzati dall’esprimere universi affini, tra musica, regia, e voglia di comunicare.

Dobbiamo avere una immensa riconoscenza nei confronti di Mauro Biondini, cultore e regista  delle opere liriche e non solo. A 70 anni è un amore il suo, tra  musica e regia, che ha radici profonde, sentimento, eleganza, solidarietà, il suo sodalizio ha spettacolari e coinvolgenti trascorsi. È proprio così che si impara davvero ad amare l’arte, senza dimenticare i modelli e gli esempi, insieme a quella melodia che evoca in noi tanti ricordi, dove ognuno  può ritrovarsi e prendere un respiro.

Nella vita di Mauro Biondini tutto parte dalla passione, porta a mille sfaccettature, così la sua prima nota lo lega alla lirica e al grande Verdi, che perfettamente rappresenta nei suoi capolavori dedicati, sintetizzando nei suoi film-documentari, l’essenza sofisticata della musica, prima in lista, cent’anni della Corale Verdi, al Teatro di Regio.

Lui trova l’ispirazione nella musica, dando un tocco profondo alla sua interpretazione, col preciso intento di fare amare l’opera. Partendo da questo ideale e parlando di successo ottenuto, la storia è davvero magica.

 

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Se pensiamo a una pellicola che ci racconti le tracce dell’opera, non possiamo non leggere la firma di Mauro Biondini, che riesce nel miracolo di toccare le emozioni dello spettatore.

Orgoglioso ed impegnato in un lavoro commovente da tutti i punti di vista, è stato protagonista di diversi documentari, più di un centinaio nel corso della sua carriera, trovandoci a citarne alcuni ricordiamo: Dedlà da l’àcua , con Verdi nella sua terra, il capolavoro con Carlo Bergonzi,”arte e vita”, tenore lirico recentemente scomparso. I filmati sulla Tebaldi, la corale di Verdi, Maria Luigia una sovrana, una donna, le Perle della provincia di Parma.

Una straordinaria ricchezza culturale. La sua esperienza è fantastica, una realtà che racconta musica, soggetti e territorio, dal momento che essere parmigiano lo rende entusiasta, non perdendosi così l’occasione di raffigurare le bellezze territoriali di Busseto e dintorni.

La creatività e le qualità di quest’uomo sono preziose: critico, intellettuale, curioso, sportivo, appassionato di cucina, sono tutti aspetti che rivestono la sua vita. E proprio a questo ci riferiamo quando scriviamo “lirica e non solo”.

Cus Parma storia di un amore, racconta una importante e forte storia di identità sportive, successi di tante generazioni legate allo sport, alla cultura, al sacrificio di sostenere le discipline, in quella che oggi è la più grande polisportiva dell’Emilia: il Cus  Parma.

Biondini ha percorso e vissuto insieme per vent’anni queste vicende, perché lo sport è altrettanto parte integrante delle sue passioni,  così da proclamarlo un tecnico sportivo di tutto rispetto.

Si è sempre spinto al massimo, incitando e spronando gli altri a fare lo stesso, queste caratteristiche stanno alla base della sua vita e questo ci permette di capire chi per noi rappresenti.

Nel mondo della musica lirica e non solo, lei è ritenuto un “ maestro”. Un regista, integro, discreto, esemplare, che raccoglie e dirige testimonianze più svariate ed apprezzate dell’arte musicale. Che cosa ne pensa degli attuali artisti crescenti, possiamo affidarci al loro impegno?

È chiaro che parlando e dando un giudizio di questo tipo, si sconfina spesso nella retorica. Il cast che c’era allora, e cito due nomi d’elite: Piero Cappuccilli e Flaviano Labò, possiamo definirli delle leggende. Una volta c’era lo studio a pari passo con la gavetta, e meno possibilità, quindi emergevano solo coloro che avevano tantissima qualità, non erano frutto di un sistema di collocamento dei vari procuratori, il mondo è cambiato ovviamente, e non solo nella lirica. Ai giorni nostri ti posso dire guardando da un lato positivo, che sono molto di più i giovani che si approcciano, al teatro, giusto per guadagnare delle emozioni. Parlando di giovani promesse non ci sono delle grandi voci Italiane, Roberto Aronica che stasera canta nella “Forza del Destino” attualmente lo ritengo il più elevato tenore Italiano, Francesco Meli un altro giovane brillante. Una certezza assoluta che ci rende orgogliosi, è quella di essere stati portatori  emblematici di una cultura musicale, che acclama e premia i grandi del panorama Italiano.

Che cosa ha rappresentato per lei il tenore Carlo Bergonzi, lei l’ha ricordato con estremo affetto, specie quando assistiamo al suo documentario: fa emergere un silenzio pieno di musica, recita, ci racconta, capace davvero di raccontarci la grande “Opera”, e la grande bellezza di un uomo, come ci è riuscito?

Ho giocato la sola carta che mi rimaneva, le mie emozioni, le mie sensazioni, fare dei lavori come si suol dire di pancia. Carlo Bergonzi è figlio di frequentazioni teatrali, figlio di grandi momenti. Lo incontrai in occasione di un Aida. Da lì incominciò una frequentazione affettiva, un’amicizia che passava prima di tutto in stima e senso per la musica, così in una maniera del tutto naturale, composta da una fiducia reciproca, incominciammo a girare la storia della sua vita, abbiamo lavorato assieme per due anni, Busseto, Vidalenzo, in Teatro, nel suo arbergo i Due Forscari, Milano, Bergonzi non ha mai letto una riga della sceneggiatura, o tenuto fede al copione, le cose più importanti, quello che trasmetti, che insegni, che lasci, le esprimi quando fai bene il tuo mestiere, e lui era lo specchio di questo bene prezioso. Una parabola che avrà sempre una scia ineguagliabile.

Non solo opera, arte, sport e regia, ma anche impegno sociale, solidale, una sensibilizzazione volta ai meno fortunati: “il documentario Dedlà da l’àcua” ha sostenuto la mensa dei poveri, raccogliendo 6.000,00 €, con la vendita dei Cd. Che effetto fa passare attraverso questa causa, soprattutto se il mezzo è frutto della sua passione?

Io ho giocato tutto me stesso su una scelta di vita, attraversando un percorso fatto di sensibilizzazione, dissipando questo messaggio, ho avuto l’appoggio di vari enti: RotaryLions, amministrazioni Provinciali, Comunali, tutti sono stati disposti a darmi una mano. Coperti i costi, tutti i lavori che ho fatto sono stati in beneficenza. Così come con “Le Perle della Provincia” il cui profitto è andato alla scuola dei giovani della Corale Verdi. È un po’ come cogliere il vero contatto, trasmettere la nobiltà verso chi ne ha davvero bisogno, ed è questo un vero miracolo.

Sono passati poco più di cinquant’anni dal suo via alla musica, come lei ha raccontato al teatro di Reggio nel 62, fu una bella lotta per ottenere i biglietti. Davano: “la forza del destino”. Rispetto al passato oggi lei si ritrova ad essere primo spettatore, opinionista, ideatore, dirigente emblematico di “Vi racconto l’Opera”, una serie che riassume le opere in scena, dunque se assunto un ruolo che le veste a pennello, me ne parli.

Sarò molto onesto, in prima persona mi ritrovo a vivere e respirare il Teatro, le mie giornate sono scandite da questa costanza. Come semplice spettatore in questi ultimi undici anni, mi sono reso conto che l’entusiasmo e la partecipazione, degli appassionati dei tempi passati è un po’ scemata. Figlia dei tempi la scarsa qualità degli allestimenti, la cultura non da profit. Io col mio programma “Vi racconto l’Opera” ho cercato di informare e educare verso una direzione culturale che sviluppa continuità.

Domanda più spensierata. Lei ha avuto la capacità di unire oltre la passione per l’Opera, quello dello sport, simultaneamente questi compiti si sono rilevati processi di una vita che gli hanno concesso tante soddisfazioni. Se le dico Cus Parma, cosa le viene in mente?

Cus Parma è stata la mia occasione, l’università da cui arrivo, lascia dietro di se tante possibilità, si trattava di attuare la grande filosofia dei Campus Americani. Io avevo grande entusiasmo e delle idee, da dove si poteva lavorare. Ho avuto la fortuna di organizzare eventi che rimangono impagabili, grandi meeting di atletica leggera, campionati del mondo,  miscelati alla cultura, accompagnando sempre queste realtà alla musica, due bellissime vocazioni. Tante consulenze sportive mi hanno visto primeggiare a spalla con grandi nomi: Barilla, Parmacotto, Cariparma, a un certo punto amministravo più di 300 attività sportive. Questi percorsi rimarranno sempre delle lezioni eterne, lo specchio in cui io mi posso osservare, in ogni momento io ne senta nostalgia.

Essere illuminati attraverso il racconto e la vocazione di Biondini, ci ha reso il compito prezioso. In quasi due ore il nostro caro protagonista apre lo scrigno della sua vita, narra il ruolo più difficile da interpretare, e si racconta a cuore aperto.

Nell’atmosfera immutata del Teatro di Regio, a Parma, tutto è sembrato speciale, in un linguaggio dove le parole non bastano, quello che si capisce arriva dalle emozioni.

Grazie Mauro Biondini.

 

 

 

 

Intervista a Matteo Baronetto: tecnica, estro e classe. La sua cucina un’improvvisazione ragionata

 

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La Distilleria Bocchino di Canelli (At) propone il Concorso culinario “Lo Spirito del Tempo”, evento nato in  collaborazione con Passione Gourmet, che ha preso il via lo scorso gennaio 2014. In autunno sarà proclamato il cuoco  vincitore, scelto fra chi avrà saputo osare e esprimere al meglio la versatilità dei famosi distillati, attraverso un’interpretazione attuale di una ricetta storica della tradizione italiana.

Protagonista e vincitore del mese di luglio è il piemontese Matteo Baronetto, Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino, che propone il piatto “ Branzino al vapore e coda di bue brasata”. La sua ricetta ha convinto gli esperti fra i 150 assaggi effettuati: un successo meritato.

Il ristorante Del Cambio, un monumento della storia e ristorazione italiana, è da qualche mese il suo regno. Dopo un’accurata e attenta ristrutturazione e riqualificazione, questo luogo magico ha riaperto: una sfida per lo Chef, che è stato per molti anni il braccio destro di Carlo Cracco. Ne esce un’immagine precisa di una cucina intrigante, riconoscibile a prova di un talento libero di esprimersi.

Lo Chef in questo piatto propone la sua cucina, di forte personalità, sicura, concreta, di ricerca continua, composta da pochi ingredienti, che coinvolge, sollecita l’immaginario e la memoria dell’interlocutore su vari livelli, dove l’incontro tra mare e terra trovano il loro punto di equilibrio.

Matteo Baronetto, classe 1977, nato a Giaveno, un paese vicino a Torino, studia all’Alberghiero di Pinerolo, matura esperienze professionali presso La Betulla a San Bernardino di Trana (To). Successivamente approda dal Maestro Gualtiero Marchesi presso L’Albereta, dove ha modo di conoscere Carlo Cracco. Lo seguirà alle Clivie di Piobesi  d’Alba e al Cracco-Peck di Milano, successivamente Ristorante Cracco. Dall’aprile 2014 è Executive Chef del ristorante Del Cambio a Torino.

Ci troviamo seduti  nel più elegante ristorante, della città più elegante d’Italia, precisamente nel “Bar Cavour” avvolti in un’atmosfera magica. In questa intervista ci accompagna con lo sguardo, da un suo conosciutissimo ritratto, un grande habitué del Cambio, famoso registra dell’Unità d’Italia.

A soli 17 anni lei scrisse un paio di lettere a Carlo Cracco, dove gli domandava di poter lavorare con lui all’Albereta, allora gestita dal Maestro Gualtiero Marchesi. Lo stesso Cracco ricorda questo episodio nell’introduzione del suo conosciutissimo libro “ Se vuoi fare il figo usa lo scalogno”. Aggiungendo che fu molto colpito dalla sua determinazione e decise di accettare la sua candidatura.  

Che ricordi, motivazioni ed emozioni l’hanno spinta così giovane a scrivere proprio a questo chef?

A Carlo Cracco mi lega un affetto sincero. Ai tempi, un mio professore della scuola alberghiera, che conosceva un sommelier che lavorava da Gualtiero Marchesi, mi chiese se alla fine della scuola volevo andare a fare esperienza all’Albereta, io accettai e fu il mio tramite. Inoltre proprio in quel momento Carlo Cracco, chef all’Albereta, cercava una persona alle prime armi per la sua brigata: disponibile, volenterosa, che non si tirasse indietro. Furono proprio queste le caratteristiche che seppe apprezzare in me. Iniziò tutto così. La cosa più bella e magica, è che non mi rendevo conto di dove stato andando, non sapevo cosa significasse una cucina con 20 cuochi e fino ad allora non conoscevo la fama del Maestro Marchesi.

Lei è stato eletto vincitore per il mese di luglio del Concorso “Lo spirito del Tempo” by Distilleria Bocchino, col piatto “Branzino al vapore e coda di bue brasata”, che propone consistenze, cotture di elementi distanti, ma che inaspettatamente danno vita a un bilanciamento di gusto sorprendente. Da dove prende corpo l’idea di rivisitare questo piatto e quali sono gli equilibri che modellano i sapori?

Proprio in questa creazione è racchiuso un passaggio che sto cercando di compiere; l’esatto passaggio di Baronetto da Cracco a Milano, a Baronetto al Cambio a Torino. In questo piatto definito da Alberto Cauzzi, ideatore e presidente del progetto Passione Gourmet, geniale, irriverente, terribilmente buono, ogni elemento fa “a pugni” con l’altro. Partendo dal piatto tradizionale, la coda di bue classica, il branzino diventa la sua degna consistenza e lascia percepire tutta la sua delicatezza. Nella mia visone di cucina apprezzo molto, un piatto che abbia solamente due passaggi, che non confonda, che faccia riflettere e non sia troppo bello esteticamente.

Definisco la mia cucina “un’improvvisazione ragionata”: l’improvvisazione è il momento, l’attimo, l’approccio con un’idea nuova, il termine ragionata indica il modo, la possibilità di poterla proporre. Coniglio e salmone ad esempio, sono un abbinamento che sconvolge gli equilibri, una rottura con gli schemi e un’evocazione di un prodotto, come il salmone, che è stato bistrattato negli ultimi 25 anni.  Il primo piatto che ho ideato con l’abbinamento carne e pesce, fu nel 2002, il rognone di vitello con i ricci di mare. In natura esistono prodotti, che anche se di categorie diverse, hanno delle affinità. In questo caso la ferrosità del rognone, la sua nota aromatica si lega molto bene col salmastro e la sapidità del riccio.

Creativo, attento, talentuoso, posato, non ha bisogno di “fare rumore” per far notare la sua bravura a chi se ne intende. Milano per Torino, un ritorno alle origini, un cambiamento importante al ristorante Del Cambio. 

Ci racconta le sue impressioni dopo alcuni mesi dall’apertura?

In seconda superiore avevo già fatto uno stage al Cambio, quello che io considero uno dei ristoranti simbolo di Torino. In questo ristorante sento una percezione di libertà. Carlo Cracco mi aveva dato in mano la cucina del suo ristorante con una fiducia incondizionata, una rarità in questo ambiente. Quando è entrato in un mondo che non era più mio, dove c’era una concezione diversa delle cose, mi sono reso conto, in un modo molto umile, che non ero più adatto a seguirlo.

Un ristorante di successo ha al suo interno, in cucina, una brigata che deve funzionare all’unisono, come un’orchestra.

Quali sono gli elementi che le fanno capire e scegliere i suoi collaboratori?

Non sono io che scelgo le persone, ma sono le persone che scelgono me, che decidono di rimanere. Per chi vuole lavorare nella mia cucina, impegno e dedizione sono fondamentali.  Non meno importanti il rispetto delle persone e delle regole. Apprezzo le persone che hanno la voglia e la volontà di seguirti nello sviluppare un lavoro, nel decodificarlo, quando si sviluppano pensieri che non sai dove ti porteranno.

In un’intervista al ristorante Del Cambio, prima dell’apertura ufficiale, lei ha espresso la sua volontà di sostenere un principio culinario tradizionale piemontese, rielaborando il suo attuale metodo. Torino come ha accolto la sua proposta?

Sono molto contento dei risultati. A Torino c’era la necessità di ritrovare un luogo dove poter mangiare in modo diverso e in tutta onestà non pensavo di poterlo fare in 5 mesi.  Non ho ancora vinto la mia partita, con i Piemontesi e Torinesi, ma devo dire che c’è stato un senso di affetto e rispetto molto caldo nei miei confronti. Mi sono sentito accettato e riconosciuto come un piemontese che torna in patria, dopo aver lavorato quattordici anni a Milano. A mio favore devo dire che mi sono rivolto a loro con umiltà, non era mia intenzione fare quello che dice “adesso vi faccio vedere io”.  Ho cercato solo, e questo è il mio pensiero, di varare la nave. Nel varo di una nave da crociera, come questo, bisogna essere sensibili, ma anche riflessivi. Un grande pilota, un comandante, non può non essere riflessivo.

Matteo Baronetto è stato protagonista di una trascinante testimonianza: lo ringraziamo per averci accolto in un luogo affascinante e intriso di storia.