A seguito delle problematiche legali emerse ed ai momenti di tensione verificatisi talvolta sfociati in violenti episodi di guerriglia urbana, prendiamo esempio dal caso Uber in riferimento al quale, il Tribunale Civile di Milano con decorrenza maggio 2015 ha disposto il blocco su tutto il territorio nazionale della prestazione del servizio considerandone gli operatori alla stregua di concorrenti sleali, valutandone anche la possibile aggravante dell’elusione fiscale. Vedi anche il caso Airbnb piattaforma telematica, il quale continua a subire attacchi da parte di albergatori e di Associazioni di Categoria.
Per motivi appena brevemente indicati, sembra una necessità improrogabile, l’adozione di un quadro normativo aggiornato, in grado di tenere in considerazione e disciplinare i cambiamenti che le piattaforme on line stanno apportando giorno dopo giorno. Nonostante l’accreditamento de facto del fenomeno, risulta più che evidente l’assenza di regole chiare ed omogenee, in grado di regolare in modo univoco la materia.
E’ questo, dunque, un fenomeno talmente importante da avere attirato l’attenzione delle Istituzioni nazionali e sovranazionali. La Commissione Europea, nel giugno 2016, ha emesso due Comunicazioni COM (2016) 288 e COM (2016) 356, spingendo in tal modo i paesi membri a definire un insieme di regole volte ad eliminare le ambiguità o i vuoti normativi rispetto alle nuove situazioni e fattispecie che si sono create grazie al sempre maggior e repentino sviluppo dell’economia collaborativa.
La Commissione, si legge nel documento denominato An European agenda for the collaborative economy, ha apprezzato l’importanza della sharing economy ed ha ritenuto che questa, se promossa e sviluppata in modo responsabile, equilibrato e sostenibile, possa dare un contributo importante alla crescita e all’occupazione nell’Unione Europea.
Ciò può avvenire esclusivamente rispettando la normativa nazionale di riferimento. Ma è proprio su questo punto che nascono i primi dubbi. Innanzitutto perché molti Stati membri non hanno ancora adottato una specifica normativa, secondariamente perché la sharing economy rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale. L’invito che la Commissione rivolge agli Stati membri è quello di riesaminare la normativa nazionale vigente al fine di garantire che i requisiti di accesso al mercato continuino ad essere giustificati da un obiettivo legittimo e siano anche necessari e proporzionati. Divieti assoluti, continua la Commissione, nonché restrizioni quantitative all’esercizio di un’attività costituiscono normalmente misure di ultima istanza che in generale dovrebbero essere applicate solo se e laddove non sia possibile conseguire un legittimo obiettivo di interesse generale con una disposizione meno restrittiva. Gli Stati membri, pertanto, devono agevolare e sostenere lo sviluppo della sharing economy evitando, laddove non sia del tutto indispensabile, di applicare restrizioni o veti.
Ed è proprio grazie alla sharing economy che si è potuto assistere alla nascita e allo sviluppo delle cosiddette piattaforme di collaborazione, ossia intermediari che mettono in comunicazione, attraverso un marketplace, i prestatori e gli utenti ed agevolano le transazioni tra di essi. Negli ultimi anni si è registrata una notevole crescita di tali piattaforme. Ognuna di esse è specializzata in una specifica attività. Un primo e significativo passo in tale direzione è stato fatto con la proposta di legge italiana n. 3564 (attualmente in corso di esame in commissione) presentata il 27 gennaio 2016 alla Camera dei deputati da un gruppo di parlamentari appartenenti all’ “Intergruppo innovazione tecnologica”, con il professato scopo di disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi.
Le sopracitate comunicazioni della Commissione è successiva alla stesura della proposta di legge n. 3564/2016, e di fatto contiene indicazioni, suggerimenti, ma non direttive e su alcuni aspetti evidenzia i rischi dei possibili divieti. La proposta di legge dovrebbe, quindi, tener conto ed adeguarsi per quanto necessario al contenuto delle Comunicazioni della Commissione.
La proposta di legge contiene anche alcune disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione, ossia l’utilizzo comune di una risorsa, come ad esempio beni di consumo, mezzi di trasporto, ma anche prodotti digitali, spazi ed immobili commerciali e non come la casa e l’ufficio, competenze e servizi di vario genere; inoltre, la proposta suddetta reca disposizioni riguardanti anche la relazione peer to peer (ossia il rapporto orizzontale tra i soggetti coinvolti che si distingue dalle forme tradizionali di rapporto tra produttore e consumatore, volto a rispondere a nuovi bisogni, tra cui, ad esempio, la crescente necessità di interagire negli scambi in una modalità più partecipativa) e la presenza di una piattaforma digitale che supporta tale relazione fungendo da market place, ovvero un luogo d’incontro virtuale in cui, sovente, è presente anche un meccanismo di reputazione digitale e le transazioni avvengono tramite pagamento elettronico.
La proposta di legge n. 3564/2016 è preceduta da una corposa introduzione, prima nel suo genere in Europa e già ribattezzata Sharing Economy Act, abbreviato in SEA, condensata in 12 articoli che costituiscono soluzioni di “compromesso” tra istanze corporativistiche, liberalismo economico e protezione dei consumatori. L’intento, come detto, è quello di trovare un compromesso in grado di gestire le nuove piattaforme digitali in una logica di integrazione con il mercato tradizionale.
Limitando questo elaborato all’analisi dei punti salienti, il disegno di legge prevede principalmente: l’obbligo di iscrizione delle piattaforme sharing ad un registro elettronico nazionale, previa presentazione di un documento di policy aziendale attraverso cui esplicitare le condizioni contrattuali e la devoluzione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) del compito di regolare e vigilare sull’attività delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione. Infatti, attraverso l’istituzione di un registro elettronico, le piattaforme dovranno ottenere l’approvazione proprio dall’AGCM che, in sostanza, valuterà la sussistenza di incongruenze ed eventuali violazioni normative o concorrenza sleale nei confronti dei settori tradizionali. Inoltre, in materia fiscale, è prevista la denominazione del reddito percepito da attività di sharing economy come «reddito da attività di economia della condivisione non professionale», con applicazione di un’imposta del 10% per redditi che non superino i diecimila euro. I redditi superiori a diecimila euro sono, invece, cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente. I gestori operano, in relazione ai redditi generati mediante le piattaforme digitali, in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori.
Di notevole interesse l’articolo 4, che si sofferma su alcuni dettagli che servono a definire cosa rientri nel concetto di sharing economy e che cosa no. Per esempio, non rientrano in questa tipologia i servizi per i quali il gestore stabilisce una tariffa fissa.
Anche altri paesi europei hanno varato o stanno discutendo normative di regolamentazione, promozione e monitoraggio del fenomeno. In Belgio è in vigore dall’1 luglio 2016 un trattamento fiscale di vantaggio per i redditi marginali dell’economia collaborativa, approvato con la Loi programme du 1 juillet 2016. In Francia, la legge sull’economia digitale in votazione il 27 settembre 2016 al Senato, comprende disposizioni sulla fiscalità degli individui che utilizzano le piattaforme collaborative oltre i 5000 euro.
Nel Regno Unito, il governo già a marzo 2015 ha formulato delle raccomandazioni basate su un’analisi indipendente con implicazioni anche per la produzione di statistica ufficiale e favorito la condivisione degli immobili a Londra attraverso il Deregulation Act, mentre nella primavera 2016 ha incluso nella legge di bilancio uno “sconto” fiscale aggiuntivo per le attività marginali basate sulle piattaforme digitali.
Dott.ssa Luana Tumbarello
Studio Legale Franzetta Dassano
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