Ossidazioni, idrogrammi, inversioni tonali, immagini solarizzate, sfere liquide, cerchi luminosi macchie biomorfe, vibrazioni visive, matasse filanti: 50 immagini che raccontano la transizione dalla fotografia oggettiva al non figurativo tra la metà degli anni Trenta e la fine dei Cinquanta, grazie a sette grandi fotografi italiani capaci di rivoluzionare il linguaggio fotografico attraverso la sperimentazione di nuove tecniche.
«Forma/Informe», ospitata dalla GAM di Torino fino al 27 settembre, curata dalla storica e teorica della fotografia Antonella Russo, è un viaggio nella fotografia sperimentale e informale, ovvero quando la fotografia cessa di essere cronaca documentaria, non si sofferma più sulle persone e sugli ambienti, non pretende di raccontare la realtà bensì di descrivere l’essenza delle cose. Una investigazione nel cuore della materia del mondo, questo vuole essere la fotografia ‘non oggettiva’ e ‘non figurativa’: foto che decompongono gli oggetti, fino a coglierne la segreta struttura interna.
Si parte dalle indagini sul luminismo fotografico di Giuseppe Cavalli (1904-1961) e dalla sperimentazione di Luigi Veronesi (1908- 1998), per poi passare al grafismo ottico di Franco Grignani (1908-1999), le cosmografie cromatiche di Pasquale De Antonis (1908-2001), la pioneristica ricerca sul materico di Piergiorgio Branzi (1928), fino alle “scomposizioni” di Paolo Monti (1908-1982) e di Nino Migliori (1926), quest’ultimo considerato uno dei grandi fotografi del neorealismo e al contempo un protagonista indiscusso dell’informale fotografico del secondo dopoguerra.
Chiamato il ‘maestro dei toni chiari’, Giuseppe Cavalli per primo ha contribuito a sdoganare la fotografia come arte, rivendicandone una dignità e uno statuto proprio tra le arti visive. I suoi scatti paiono opere metafisiche volte a cogliere la valenza plastica delle cose e il “ritmo palpitante” negli oggetti, come la pallina appoggiata su un gradino (1949), un muretto vuoto (1950) o un capanno su un molo battuto dalle onde (Opera n.20).
Esponente del MAC Movimento Arte Concreta (insieme a Dorazio, Fontana, Munari e Sottsass), pittore, grafico, scenografo oltre che fotografo, Luigi Veronesi nella sua lunga carriera ha prodotto immagini di accoppiamenti di positivo-negativo, inversioni tonali, sovraimpressione e immagini solarizzate. Tra queste, Le stelle dalla mia finestra (1940), un cielo senza luna attraversato da scie luminose e puntini bianchi, reso con graffiature che alternano il bianco e nero e grigio e che danno movimento alla fotografia.
Franco Grignani, pittore e fotografo autodidatta e graphic designer (nel 1972 vinse il Leone d’argento alla Biennale di Venezia), ha messo la fotografia a servizio della grafica con esperimenti di esposizioni multiple e sovrapposizioni di diversi negativi. A fine anni Quaranta ha affinato la sua ricerca moltiplicando le sperimentazioni: così sono nate le “dissonanze percettive”, le “vibrazioni visive”, le “rotazioni formali” e le “tensioni visive”(come La folla e la La luce spennellata realizzate nel 1954).
Uno dei protagonisti più autorevoli della fotografia italiana, il novarese Paolo Monti, ‘maestro dei toni scuri’, ha dedicato buona parte della sua ricerca alla fotografia “astratta” intesa come produzione di forme primordiali (Le astrazioni involontarie del 1952 e Colori del 1958), mentre Pasquale De Antonis (fu fotografo di scena di Luchino Visconti, nonché autore di una delle prime indagini etnofotografiche condotte in Italia, nelle vallate d’Abruzzo) ha realizzato foto senza la macchina fotografica, elaborando una personale e particolare tecnica basata sull’utilizzo di più fonti luminose filtrate da uno schermo cartaceo forato in più punti, per poi arrivare a fissare direttamente sulla carta sensibile le mille forme che andavano assumendo gocce e liquidi oleosi o inchiostri densi versati su una lastra di vetro retroilluminata.
Come per Nino Migliori, anche quella di Piergiorgio Branzi è stata una carriera prevalentemente neorealista. L’artista e giornalista toscano ha esordito nel gruppo La Bussola, è stato corrispondente per la Rai da Mosca e da Parigi, e ha fotografato per oltre cinquant’anni ogni città del Mediterraneo. Alla GAM troviamo esposti scatti inediti della serie Montmartre (1954), vedute urbane del quartiere parigino ancora ferito dalla guerra: facciate rigate di muffa, muri scrostati, tubature e infissi in precario equilibrio, pareti dissestate, un diario visivo che racconta sofferenza e degrado.
Infine, Nino Migliori, che ha iniziato a scrivere un nuovo vocabolario fotografico alla fine degli anni Quaranta, in una minuscola camera oscura allestita in un angolo della cucina di casa, usando acidi per lo sviluppo e fissaggio applicati su ritagli di carta, perché un foglio intero era troppo prezioso. La carta veniva cosparsa di liquido di sviluppo e poi esposta alla luce artificiale, o solare o di una fiamma. Così nascevano le Ossidazioni. Quindi, ecco i Pirogrammi, piccole bruciature inferte alla pellicola con una punta riscaldata o esposte a una fiamma, mentre gli Idrogrammi fissano tracce di gocce di acqua o liquidi schiumosi applicati sul lastrino dell’ingranditore, cosicché l’immagine pare un organismo vivente, una costellazione di cellule sospese come in un liquido amniotico.
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Emanuele Rebuffini