Il 23 novembre del 1936 esce il primo numero di “LIFE”, la rivista più popolare e influente del Novecento. A fondarla è l’editore Henry R. Luce, pioniere del giornalismo illustrato: l’obiettivo di “LIFE” è “vedere la vita, vedere e provare il piacere dello sguardo; vedere ed essere stupiti; vedere ed essere istruiti”. Essere testimoni oculari dei grandi avvenimenti della storia e sostenere i valori del New Deal. Non a caso in copertina campeggiano i possenti pilastri della diga di Fort Peck, in Montana.
A realizzare quella immagine è Margaret Bourke-White, protagonista di primo piano del fotogiornalismo del XX secolo. Alla sua straordinaria opera è dedicata la mostra curata da Monica Poggi e ospitata fino al 6 ottobre da CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, con un corpus di 150 fotografie dagli anni Trenta ai Sessanta, tra cui alcuni scatti iconici, entrati nella storia e nei libri di storia: il primo ritratto di Stalin; il cielo sopra la Piazza Rossa illuminato dalle esplosioni durante l’attacco tedesco su Mosca del 26 luglio del 1941; Gandhi fotografato con il suo arcolaio poco prima di essere assassinato (1946); gli afroamericani in fila per ricevere cibo e vestiti davanti al grande cartellone pubblicitario che esalta l’American Way (1937).
Le trasformazioni del mondo sono il cuore della ricerca estetica di Margaret Bourke-White (nata a New York nel 1904, sarà costretta ad abbandonare la fotografia nel 1957 a causa del morbo di Parkinson, per poi spegnersi nel 1971 all’età di sessantasette anni). Si afferma sulle pagine di “Fortune”, magazine dedicato all’economia e all’industria, realizzando celebri reportage sulle fabbriche americane. Una delle immagini più note di questo periodo è quella che la ritrae accovacciata su uno dei grandi gargoyle del Chrysler Building, mentre fotografa dall’alto il brulichio della città sottostante.
Se inizialmente i suoi lavori si contraddistinguono per la quasi totale assenza dell’uomo in favore dei simboli della modernità e del progresso, dalle architetture ai macchinari industriali, dai grattacieli alle vedute dall’alto di Manhattan, con la pubblicazione del libro “You have seen their faces” (1937) compie un cambio di rotta, concentrandosi sulla denuncia delle contraddizioni della società americana, la povertà, la segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti. Fra i primi reportage che Margaret Bourke-White realizza per “LIFE” ce ne sono alcuni particolarmente significativi, come le fotografie dedicate all’alluvione del fiume Ohio in Louisiana, il servizio realizzato presso una comunità di eschimesi nel nord-ovest del Canada e le immagini realizzate nella ‘conca della polvere’, una grande area nel centro degli Stati Uniti che negli anni Trenta viene colpita da una violenta siccità.
Prima fotografa occidentale ammessa in Russia negli anni Trenta, la Bourke-White è anche la prima donna ad essere accreditata dall’esercito americano sui teatri di guerra, durante la Seconda guerra mondiale. Segue le forze di aviazione statunitensi in Nord Africa, poi, partendo da Napoli, documenta la liberazione dell’Italia. Nel 1945 segue l’avanzata delle truppe alleate in Germania, fino alla liberazione del campo di sterminio di Buchenwald, dove ritrae i sopravvissuti scheletrici, gli ammassi di corpi nudi, i pezzi di pelle tatuata usati per fare paralumi.
Nel dopoguerra racconterà la sanguinosa separazione tra India e Pakistan, il conflitto in Corea, l’apartheid in Sudafrica. Prediligendo la posa della presa diretta spontanea, Margaret Bourke-White ha saputo trasformare anche le persone più umili in attori universali, eroici anche nella miseria.
Emanuele Rebuffini