Mesina Miller, Miss Playboy settembre 1975, splendida e nuda. Ozzy Osbourne e lo squalo dentato del manifesto del film “Jaws” di Steven Spielberg. Lo scrittore statunitense James Baldwin, Vivienne Westwood e la cantante Bobbie Gentry. Sono gli anni Settanta riletti attraverso il filtro della memoria personale dall’artista americano Robert Davis (nato a Nortfolk nel 1970, Virginia e si è diplomato all’Art Institute di Chicago, vive e lavora a New York).
Fino al 20 gennaio la Luce Gallery ospita “1975”, primo capitolo di un progetto in quattro parti in cui l’eclettico artista intende ripercorrere fatti, personaggi ed oggetti che hanno segnato la sua adolescenza in Virginia: una ventina di disegni di piccolo formato a matita su carta, rigorosamente in bianco e nero, e tre colorate sculture in legno dipinte a matita. I disegni sono così perfetti ed eleganti che se guardati ad una certa distanza paiono essere fotografie, e sorprende la scelta del bianco e nero per raccontare quell’epoca psichedelica dominata da colori accesi.
«I lavori in mostra possono essere interpretati come un’estensione composita del ritratto dell’artista stesso, interessato alla fluida interrelazione dell’esperienza negli aspetti della psicologia e dell’identità – spiega il gallerista Nikola Cernetic – nei suoi disegni troviamo i simboli, le icone, i vestiti, gli arredi, insomma le atmosfere che hanno segnato gli anni Settanta. Robert Davis ha collaborato per lungo tempo con David Langlois con il quale ha esposto in numerose sedi istituzionali, tra cui il museo di Arte Contemporanea di Chicago e il Warhol Museum a Pittsburg, e questa è la terza mostra che ospitiamo alla Luce Gallery. E proprio qualche giorno fa alla Cue Art Foundation di New York si è inaugurata la mostra con i lavori di Robert Davis dedicati al 1976.»
«Ognuna delle immagini assume veste iconica – aggiunge Nikola Cernetic – quasi come fosse una reliquia per l’influenza che ha avuto sull’estetica e la comprensione di un’epoca: intellettuali, atleti, artisti, oggetti di design del periodo, o semplicemente il camion che guidava il padre o le fragole che allora si raccoglievano, tutto ciò rappresenta il simbolo di un periodo che per l’artista è stato formativo e che tutt’oggi influenza il suo cammino. Il significato di ogni disegno viene raggruppato senza gerarchia alcuna, scolpendo la natura frammentata della memoria, che incide sulla difficoltà dell’individuazione e gli effetti palpabili di ogni ricordo. Solo la presentazione assemblata nella mostra consentono una visione adulta dell’insieme».
http://www.lucegallery.com
Emanuele Rebuffini