Quel che resta di Dio. «Arma il prossimo tuo» al Museo del Risorgimento

Siria, Afghanistan, Iraq, Israele e Cisgiordania, e poi i Balcani, l’Ucraina, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan. Luoghi del mondo devastati da guerre recenti o ancora in corso. Luoghi in cui si continua a pregare. E a uccidere – e morire – in nome di Dio. Perché se le guerre postmoderne hanno molteplici cause (politiche, economiche, culturali), tuttavia sono accomunate da una sottile linea rossa: la religione, il dovere di combattere in nome di Dio. Quella linea rossa, quel confine che mai come in guerra separa la vita dalla morte, che due fotoreporter torinesi, Paolo Siccardi e Roberto Travan, hanno raccontato nei centodieci scatti della mostra fotografica «Arma il prossimo tuo. Storie di uomini, conflitti, religioni», che chiude il 9 settembre al Museo Nazionale del Risorgimento.

Siria – Aleppo; 2012. Giovani combattenti dell’esercito siriano di liberazione si lanciano in battaglia; al grido di “Allah Akbar”: “Allah è grande”. (foto P. Siccardi)

La mostra è suddivisa in quattro macro aree – Balcani (Bosnia, Serbia, Kosovo, Albania); Europa e Caucaso (Ucraina, Nagorno-Karabakh); Medio Oriente (Afghanistan, Iraq, Cisgiordania, Golan, Siria, Isreale,); Africa (Repubblica Centraficana, Sud Sudan) – e utilizza il linguaggio duro, diretto ed emozionante della fotografia di reportage per fare emergere i modi in cui la fede viene vissuta nelle zone teatro di conflitti.

Sud Sudan – Bor, 2014.
Nella chiesa cattolica di Saint Andrews si prega per i cristiani Dinca
massacrati delle truppe di etnia Nuer, per lo più composte da musulmani e animisti (foto P. Siccardi)

Un’idea nata mentre Roberto Travan e Paolo Siccardi riordinavano i loro archivi. Foto che raccontano quel che resta di Dio nei luoghi in cui si combatte, si soffre, si muore. È il Dio urlato dai miliziani di Aleppo prima di lanciarsi in battaglia nella città ridotta in macerie, è quello pregato sottovoce nelle trincee che da venticinque anni separano il Nagorno-Karabakh dall’Azerbaijan, è quello impigliato nel filo spinato che protegge le chiese, le moschee le sinagoghe dal Kosovo a Gerusalemme, è quello tatuato sulla pelle sbiadita dei sondati del Donbass.

Nagorno-Karabakh – Talish, 2016.
Un sacerdote abbandona il villaggio dopo la violenta offensiva dell’Azerbaijan.
A Talish tre civili sono stati trucidati e mutilati delle orecchie.
«Uccisi da mercenari islamici al soldo dall’Azerbaijan» affermano i testimoni (foto R.Travan)

«Queste foto sono lampi di crudo dolore – scrive Domenico Quirico nel testo in catalogo – La guerra e i segni di dio: piccoli e grandi, pendagli e lapidi, chiese e moschee, segni tracciati sui muri e scritte che gridano dio come documentano queste fotografie strazianti che grondano ancora dolore. La fede ottiene dall’essere umano ciò che nessun’altra dottrina ha mai ottenuto. Nel bene e nel male».

http://www.museorisorgimentotorino.it